Blitz dei carabinieri nell’appartamento sbagliato: coppia spaventata ma non risarcita

Indiscutibile l’errore compiuto dai militari. Certo anche il disagio vissuto da moglie e marito. La situazione di incertezza e il comportamento ambiguo della coppia però rendono non censurabile l’azione compiuta dagli esponenti dell’Arma.

Blitz dei carabinieri per arrestare il presunto componente di un gruppo criminale. Il primo tentativo, però, va a vuoto, perché i militari sbagliano appartamento. Immaginabile il disagio della coppia che si ritrova la porta sfondata e le forze dell’ordine dentro casa ciò nonostante, viene respinta la richiesta di risarcimento avanzata sia nei confronti del Ministero della Difesa che nei confronti degli esponenti dell’Arma Cassazione, ordinanza n. 25416/2017, Sezione Terza Civile, depositata il 26 ottobre 2017 . Cattura. Ricostruito nei dettagli l’episodio. 3 carabinieri si recano in un immobile in provincia di Trento per catturare un uomo raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare , ma sbagliano nell’individuare l’abitazione e fanno irruzione nell’appartamento di una coppia di coniugi, estranei ai fatti, bloccando il marito , poi immediatamente rilasciato . Una volta chiarito l’equivoco, dovuto anche al fatto che l’abitazione della persona da catturare è posizionata di fianco a quella della coppia, i carabinieri portano finalmente a termine l’operazione. Ci sono tuttavia degli strascichi giudiziari, perché marito e moglie pretendono un ristoro economico per il danno patito in conseguenza della violazione del domicilio e dello spavento subito . La loro domanda viene però respinta. Secondo i Giudici, difatti, la condotta dei militari non può ritenersi colposa, sia per l’oggettiva impossibilità di identificare con esattezza il domicilio della persona da catturare, sia per la condotta ambigua tenuta dalla coppia, col marito che ha atteso prima di aprire la porta di casa e, dopo averla aperta, intravedendo 3 persone in divisa, l’ha subito richiusa . Queste azioni, osservano i Giudici, hanno rafforzato nei militari il sospetto di trovarsi dinanzi alla persona ricercata . Incertezza. La decisione della Corte d’Appello viene ora confermata dai magistrati della Cassazione, nonostante le obiezioni mosse dal legale della coppia. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’ non si può ignorare che non esistevano norme di legge che stabilissero con quali criteri andasse individuato, da parte della polizia giudiziaria, il domicilio di un ricercato da sottoporre a custodia cautelare . Di conseguenza, in questo caso, va ritenuta corretta la condotta dei militari, alla luce della diligenza da essi esigibile . In particolare, analizzando i dettagli della vicenda, viene sottolineato che il domicilio della coppia aveva la porta d’ingresso accanto alla porta d’ingresso dell’appartamento del ricercato e che tra le due porte vi erano due campanelli posti verticalmente uno sopra l’altro, senza che alcuna indicazione consentisse di stabilire a quale appartamento si riferisse il campanello superiore e a quale quello inferiore . Ciò significa, spiegano i giudici, che i militari si trovarono in una condizione di obiettiva incertezza, causata dallo stato dei luoghi , incertezza poi acuita dalla ambiguità dell’uomo erroneamente fermato, il quale dopo aver domandato chi avesse bussato e dopo aver ricevuto la risposta Carabinieri!”, socchiuse la porta per poi richiuderla in tutta fretta . Anche per i giudici della Cassazione, come già per quelli della Corte d’appello, quel comportamento fu connotato da scarsa chiarezza e collaborazione . Ritenuta non censurabile l’errore compiuto dai carabinieri, viene meno definitivamente l’ipotesi del risarcimento a favore della coppia.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 giugno – 26 ottobre 2017, n. 25416 Presidente Spirito – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2010 Ru. Su. ed An. Ta. convennero dinanzi al Tribunale di Trento il Ministero della Difesa, Ar. Se., Gi. Mo. e Wi. Jo. Ga., esponendo che - Ar. Se., Gi. Mo. e Wi. Jo. Ga. erano militari appartenenti all'arma dei Carabinieri - il 21.10.2008, alle 5.00 del mattino, i convenuti si recarono nell'immobile sito a omissis , al fine di catturare tale Gi. La Ba., raggiunto da un provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dall'autorità giudiziaria - nell'esecuzione di tale operazione, i Militi errarono nell'individuare l'abitazione della persona da fermare, e fecero irruzione nell'abitazione degli attori, bloccando Ru. Su., persona estranea ai fatti che peraltro venne immediatamente rilasciato - all'accaduto aveva assistito la moglie di Ru. Su., An. Ta Gli attori chiesero perciò, sulla base dei fatti appena riassunti, la condanna di tutti i convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale rispettivamente patito in conseguenza della violazione del domicilio, dello spavento e della manus iniectio. 2. Ar. Se., Gi. Mo. e Wi. Jo. Ga. si costituirono e, oltre a chiedere il rigetto della domanda, domandarono che in caso di accoglimento della pretesa attorea fossero garantiti dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la società Zurich, che provvidero a chiamare in causa. Il Ministero della Difesa si costituì e chiese il rigetto della domanda attorea. La Zurich si costituì e chiese anch'essa il rigetto della domanda attorea. 3. Con sentenza 3.7.2012 n. 651 il Tribunale rigettò la domanda. La Corte d'appello di Trento, adita dai soccombenti, con sentenza 20.11.2013 n. 312 rigettò il gravame. Ritenne il giudice d'appello che la condotta dei militari non potesse ritenersi colposa sia per l'oggettiva impossibilità di identificare con esattezza il domicilio della persona da catturare sia per la condotta ambigua di Ru. Su., che dapprima attese prima di aprire la porta di casa e dopo averla aperta, intravedendo tre persone in divisa, la richiuse subito condotta che ad avviso della Corte d'appello non poteva non rafforzare nei Militi il sospetto di trovarsi dinanzi alla persona ricercata. 4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da Ru. Su. e da An. Ta., con ricorso fondato su tre motivi. Hanno resistito con un controricorso unitario ed illustrato da memoria Ar. Se., Gi. Mo. e Wi. Jo. Ga Con separati controricorsi hanno resistito altresì il Ministero della Difesa e la Zurich, che ha pur essa depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. E' denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1176, 2043, 2059 c.c Deducono, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe violato le norme suddette, perché ha escluso la colpa dei Carabinieri nonostante essi tennero di una condotta violativa delle regole di comune prudenza e diligenza. Assumono che la colpa civile deve essere accertata confrontando la condotta concretamente tenuta dall'autore del danno, con quella che avrebbe tenuto, nelle medesime circostanze, l'homo eiusdem generis et condicionis di cui all'art. 1176 c.c. soggiungono che nel caso di specie, un ufficiale di polizia giudiziaria accorto e diligente avrebbe tenuto una condotta diversa da quella dei tre convenuti, perché prima di procedere all'irruzione avrebbe accertato con sicurezza quale fosse l'abitazione del ricercato deducono, infine, che l'eventuale condotta di Ru. Su., oltre ad essere incolpevole, non poteva scusare la condotta dei Carabinieri, giacché l'errore altrui non può scusare una condotta di per sé colpevole. 1.2. Il motivo è infondato. La colpa civile consiste essenzialmente nella devianza da una regola di condotta. La regola di condotta, dalla cui violazione può scaturire la colpa, può consistere in una norma giuridica o in una regola di comune prudenza. La pronuncia giudiziale della colpa civile esige pertanto due accertamenti la ricostruzione della condotta che si assume essere stata colposa, e la individuazione della regola cui la condotta si sarebbe dovuta uniformare. Quando la condotta che si assume colposa sia consistita nella violazione d'una norma giuridica di legge, di regolamento, di contratto , l'individuazione di tale norma costituisce una valutazione in diritto, come tale sindacabile in sede di legittimità. Quando, invece, la condotta che si assume colposa sia consistita nella violazione d'una regola di comune prudenza, lo stabilire se una tale regola esista e quale ne sia il contenuto costituisce un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato. Nel caso di specie, ovviamente, non esistevano norme di legge che stabilissero con quali criteri andasse individuato, da parte della polizia giudiziaria, il domicilio d'un ricercato da sottoporre a custodia cautelare. Correttamente, pertanto, la Corte d'appello ha valutato la condotta dei convenuti alla stregua della diligenza da essi esigibile ai sensi dell'articolo 1176 c.c., e l'averla esclusa è valutazione per un verso non sindacabile in questa sede, in quanto avente ad oggetto un accertamento di fatto e per altro verso è valutazione sorretta da una motivazione certo non mancante, né irrazionale. La Corte d'appello, infatti, ha accertato che il domicilio degli odierni ricorrenti aveva la porta d'ingresso accanto alla porta d'ingresso dell'appartamento del ricercato che tra le due porte vi erano due campanelli posti verticalmente uno sopra l'altro, senza alcuna indicazione che consentisse di stabilire a quale appartamento si riferisse il campanello superiore, ed a quale quello inferiore. Ha quindi ritenuto la Corte d'appello che i militari operanti si trovarono in una condizione di obiettiva incertezza causata dallo stato dei luoghi incertezza acuita dalla ambiguità del comportamento di Ru. Su., il quale dopo aver domandato chi avesse bussato, e dopo aver ricevuto la risposta Carabinieri! , socchiuse la porta per poi richiuderla in tutta fretta, comportamento che non irragionevolmente è stato ritenuto dalla Corte d'appello connotato da scarsa chiarezza e collaborazione . Del resto, da chi esegue una misura cautelare de libertate non ci si può attendere nulla di meno che efficienza e decisività nell'azione, sia per garantire la propria incolumità, sia per prevenire la fuga o reazioni violente del ricercato. Correttamente, pertanto, la corte d'appello ha ritenuto che lo sfondamento della porta e l'immobilizzazione delle persone che si trovavano all'interno dell'appartamento, pur erronea, non sia stata colposa. Non vi è stata, in conclusione, alcuna violazione di norme di diritto da parte della corte d'appello lo stabilire, poi, quale dovesse essere la condotta del carabiniere diligente ex articolo 1176 c.c. in un caso come quello di specie, è valutazione di fatto, non sindacabile in questa sede, e comunque sorretta da una motivazione non contraddittoria né irragionevole. 2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso. 2.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perché pongono questioni strettamente connesse. Con tali censure i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. nel testo modificato dall'art. 54 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134 . Deducono, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe omesso di considerare due fatti decisivi, ovvero a che nel caso di specie non ricorreva nessuna circostanza obiettiva idonea a trarre in inganno i carabinieri circa l'effettiva residenza della persona ricercata b che il provvedimento cautelare cui i Militi convenuti dovevano dare esecuzione risaliva a 20 giorni prima di quello in cui venne eseguito, sicché i Carabinieri in quel lasso di tempo avrebbero avuto ogni possibilità di individuare esattamente l'abitazione del prevenuto. 2.2. Ambedue i motivi sono infondati. La prima censura è infondata perché la Corte d'appello si è fatta carico di spiegare per quali ragioni le condizioni dei luoghi fossero tali da non consentire agli operanti di stabilire quale fosse l'appartamento riferibile alla persona da arrestare. E, come s'è detto, stabilire se queste circostanze fossero davvero decettive o non lo fossero, è questione di fatto riservata al giudice di merito. 2.3. La seconda censura è infondata perché il fatto che si assume essere stato trascurato non è significativo, e di conseguenza non è decisivo. Infatti, in mancanza di qualsiasi altro elemento, non è possibile stabilire se la ritardata esecuzione dell'arresto rispetto alla data del provvedimento restrittivo sia dovuta a negligenza degli operanti, ad esigenze investigative, ad irreperibilità del prevenuto, o ad altre ragioni ancora. Nemmeno è possibile sapere se i tre Militi operanti ricevettero l'ordine di procedere all'arresto ad horas, e quindi se fosse o meno a loro imputabile il ritardo tra la data dell'ordinanza restrittiva, e l'esecuzione dell'arresto. Di conseguenza, anche se la Corte d'appello avesse preso in esame quel fatto, da esso solo non avrebbe mai potuto trarre la conseguenza della sussistenza d'una condotta colposa dei tre convenuti. 3. Le spese. 3.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c, e sono liquidate nel dispositivo. 3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . Per questi motivi la Corte di cassazione - rigetta il ricorso - condanna Ru. Su. e An. Ta., in solido, alla rifusione in favore di Ar. Se., Gi. Mo. e Wi. Jo. Ga., in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55 - condanna Ru. Su. e An. Ta., in solido, alla rifusione in favore di Ministero della Difesa delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55 - condanna Ru. Su. e An. Ta., in solido, alla rifusione in favore di Zurich Insurance Company PLC delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Ru. Su. e An. Ta., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.