La polizza assicurativa del professionista risponde anche se non viene indicato chi è stato (nello studio) l’autore del danno

L’assicurazione copre i danni del professionista anche se non è indicato chi è l’autore materiale del fatto che ha costituito il danno per il cliente.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22339 del 26 settembre 2017, ha accolto il ricorso di un professionista nei confronti della sua assicurazione professionale per i giudici di legittimità il professionista è coperto da polizza anche se non indica all’interno del suo studio chi è l’autore materiale del danno effettuato nei confronti del cliente. Il caso. Una SRL proponeva azione di risarcimento danni per responsabilità professionale nei confronti del proprio commercialista, per non aver eseguito correttamente gli obblighi di domiciliazione assunti, smarrendo o mancando di ricevere, come era suo compito, e di inoltrare alla società alcune raccomandate contenenti una cessione di credito, ed inducendo in tal modo la società attrice, ignara dell’intervenuta cessione, ad effettuare il pagamento del debito ceduto nei confronti del proprio originario creditore, e a dover rinnovare tale pagamento in favore della banca cessionaria. Il professionista chiamava in causa la propria compagnia assicuratrice per la responsabilità professionale. La domanda di risarcimento danni nei confronti del commercialista veniva rigettata in primo grado ma accolta in appello, con condanna del commercialista a risarcire i danni alla società per circa 26.000,00 euro. La domanda di manleva proposta dal commercialista verso la propria compagnia di assicurazioni veniva invece rigettata, sul presupposto che il commercialista avesse omesso di indicare chi fosse il responsabile della mancata presa in consegna delle raccomandate dirette alla SRL, impedendo in questo modo alla compagnia di assicurazioni di potersi rivalere verso il responsabile ed impedendo l’operatività della polizza. Il commercialista ha proposto ricorso per cassazione. Mancata diligenza? Il commercialista ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della normativa vigente in materia, affermando di aver ammesso la propria mancanza di diligenza in relazione alla mancata ricezione di alcune raccomandate rilevanti per la società sua cliente, e che la Corte d’Appello sarebbe incorsa in errore nel ritenere inoperante la polizza assicurativa. Per i Giudici di legittimità tale motivo di ricorso è fondato e va accolto il ricorrente deduce che la polizza garantiva contro gli errori propri ed anche contro gli atti commessi con dolo da suoi dipendenti e contro atti compiuti da suoi collaboratori purché indicati in polizza. La Corte d’Appello ha affermato che, non avendo lui indicato, all’interno del personale e dei collaboratori dello studio, chi dovesse essere ritenuto responsabile per la mancata ricezione delle raccomandate, non avrebbe consentito di verificare che effettivamente il difetto di diligenza fosse imputabile a soggetti coperti dalla garanzia assicurativa. Il ricorrente precisa che, non avendo all’epoca collaboratori fissi, e non sapendo di preciso quale fosse stata la sorte delle raccomandate, di certo indirizzate presso il suo studio, ove si domiciliava il cliente e dove all’epoca dei fatti era anche in corso una ristrutturazione, e quindi chi, in concreto, le avesse smarrite, si era assunto direttamente la responsabilità dell’accaduto e quindi che avrebbe dovuto esser coperto dall’assicurazione, che lo assisteva per eventuali errori forieri di danni connessi all’esercizio della sua attività professionale. La Cassazione, nell’accogliere il ricorso, rileva che l’assicurazione per la responsabilità professionale è una forma di assicurazione per la responsabilità civile volta a tutelare il professionista-assicurato dal rischio connesso ai danni provocati a terzi, nell’esercizio della sua attività professionale e dei suo collaboratori, trasferendo sull’assicuratore, previo il pagamento del premio assicurativo, il rischio connesso e l’obbligo di indennizzare i terzi danneggiati.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 11 maggio – 26 settembre 2017, n. 22339 Presidente Travaglino – Relatore Rubino I fatti di causa La Labor s.r.l. proponeva azione di risarcimento danni per responsabilità professionale nei confronti del proprio commercialista, rag. A.M., per non aver eseguito correttamente gli obblighi di domiciliazione assunti, smarrendo o mancando di ricevere, come era suo compito, e di inoltrare alla società alcune raccomandate contenenti una cessione di credito, ed inducendo in tal modo la società attrice, ignara dell’intervenuta cessione, ad effettuare il pagamento del debito ceduto nei confronti del proprio originario creditore, e a dover rinnovare tale pagamento in favore della banca cessionaria. Il professionista chiamava in causa la propria compagnia assicuratrice per la responsabilità professionale. La domanda di risarcimento danni nei confronti del commercialista veniva rigettata in primo grado ma accolta in appello, con condanna del commercialista a risarcire i danni alla società per circa 26.000,00 Euro. La domanda di manleva proposta dall’A. verso la propria compagnia di assicurazioni veniva invece rigettata, sul presupposto che il commercialista avesse omesso di indicare chi fosse il responsabile della mancata presa in consegna delle raccomandate dirette alla Labor, impedendo in questo modo alla compagnia di assicurazioni di potersi rivalere verso il responsabile ed impedendo l’operatività della polizza. Il rag. A.M. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi nei confronti di Labor s.r.l. in liquidazione volontaria, per la cassazione della sentenza n. 2171/2013, depositata dalla Corte d’Appello di Roma il 6 dicembre 2013. Resiste con controricorso la Carige s.p.a., subentrata alla Levante Ass.ni s.p.a Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata. La Procura Generale non ha formulato conclusioni scritte. Le ragioni della decisione Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 46, 2230 e 1176 c.c affermando di aver ammesso la propria mancanza di diligenza in relazione alla mancata ricezione di alcune raccomandate rilevanti per la società sua cliente, e che la corte d’appello sarebbe incorsa in errore nel ritenere inoperante la polizza assicurativa. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, facendo riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non più vigente al momento della proposizione del ricorso. La censura attinente alla motivazione non può pertanto essere presa in considerazione. Il primo motivo di ricorso invece è fondato e va accolto, sulla base delle considerazioni che seguono, prendendo in considerazione ai fini dell’argomentazione dei rilievi contenuti nel primo motivo quanto specificato nel complesso del ricorso. Il ricorrente deduce che la polizza lo garantiva contro gli errori propri ed anche contro gli atti commessi con dolo da suoi dipendenti e contro atti compiuti da suoi collaboratori purché indicati in polizza. La corte d’appello ha affermato che, non avendo lui indicato, all’interno del personale e dei collaboratori dello studio, chi dovesse essere ritenuto responsabile per la mancata ricezione delle raccomandate, non avrebbe consentito di verificare che effettivamente il difetto di diligenza fosse imputabile a soggetti coperti dalla garanzia assicurativa. Il ricorrente precisa che, non avendo all’epoca collaboratori fissi, e non sapendo di preciso quale fosse stata la sorte delle raccomandate, di certo indirizzate presso il suo studio, ove si domiciliava il cliente e dove all’epoca dei fatti era anche in corso una ristrutturazione, e quindi chi, in concreto, le avesse smarrite, si era assunto direttamente la responsabilità dell’accaduto e quindi che avrebbe dovuto esser coperto dall’assicurazione, che lo assisteva per eventuali errori forieri di danni connessi all’esercizio della sua attività professionale. Il motivo è fondato. L’assicurazione per la responsabilità professionale è una forma di assicurazione per la responsabilità civile volta a tutelare il professionista-assicurato dal rischio connesso ai danni provocati a terzi nell’esercizio della sua attività professionale, trasferendo sull’assicuratore, previo il pagamento del premio assicurativo, il rischio connesso e l’obbligo di indennizzare i terzi danneggiati. Ciò che rileva, ai fini dell’operatività della polizza assicurativa, è se il comportamento posto in essere rientri nell’ambito dell’attività individuata dalla polizza come risarcibile, o se si collochi al di là. Essa presuppone che il danno sia stato causato dal professionista, direttamente attraverso l’attività professionale carente, o indirettamente per carenze organizzative o di diligenza del proprio studio del quale egli indirettamente risponde. Qualora non sia, come nella specie, contestato che il comportamento per il quale il commercialista è stato ritenuto responsabile verso il cliente rientrasse nel rischio assicurato, egli non è di per sé tenuto, ai fini dell’operatività della polizza, ad indicare all’assicuratore l’effettivo, materiale responsabile dell’attività dannosa, sia essa attiva o omissiva, che potrebbe non essere neppure in grado di individuare con certezza. Né a tanto può ritenersi obbligato dalla previsione contrattuale che estenda, come nella specie, la copertura assicurativa, oltre ai danni dei quali sia responsabile il titolare dello studio, ai danni provocati a terzi da altri soggetti individuati operanti abitualmente all’interno dello studio i dipendenti dello studio, per comportamenti dolosi, i collaboratori indicati nominativamente perché è una previsione volta ad ampliare il novero dei soggetti per la cui attività può essere chiamata a rispondere l’assicurazione, e non a circoscriverlo alle sole ipotesi di specifica individuazione dei responsabili del singolo atto foriero di conseguenze pregiudizievoli per i terzi. Sarebbe stato piuttosto onere dell’assicurazione dedurre e provare che il comportamento era stato posto in essere da soggetto non garantito e per il quale il professionista non era chiamato a rispondere, ovvero né dal commercialista né da altra persona al cui operato, in base alle previsioni della polizza, si estendeva la garanzia professionale. La sentenza impugnata va cassata in accoglimento del primo motivo, e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.