Socio escluso da associazione professionale: il risarcimento presuppone l’illegittimità della delibera

In caso di esclusione di un socio da un’associazione professionale, il Giudice che valuta la richiesta di risarcimento con domanda di condanna generica formulata dal socio escluso deve prima verificare l’esistenza di una causa di esclusione e solo dopo emettere sentenza di condanna generica.

La I sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20894 depositata in cancelleria il 7 settembre 2017 si è occupata di risarcimento danni in ipotesi di esclusione di un associato dall’associazione professionale. Il fatto. Un professionista socio di un’associazione professionale di avvocati, a seguito di delibera assunta dagli altri componenti ne era escluso, decideva così di rivolgersi al Tribunale onde domandare la nullità della delibera di esclusione oltre al risarcimento del danno che tale esclusione gli aveva cagionato. In primo grado le domande erano rigettate. In appello, la Corte territoriale riformava parzialmente la pronuncia dopo aver preso atto delle ragioni dell’esclusione del socio, consistenti nella formulazione di differenti addebiti nei suoi confronti, ed aver quindi confermato la pronuncia di primo grado su tale punto, riconosceva tuttavia al socio escluso il diritto al risarcimento del danno in forma generica, affermando che a tal fine fosse sufficiente la mera potenzialità del pregiudizio. Il danno che la Corte territoriale riteneva avesse subito il socio era individuabile nella diminuzione dei proventi e nelle ripercussioni del provvedimento sul prestigio dell’associato medesimo. La decisione era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione dagli associati soccombenti. Condanna di risarcimento generico senza accertamento. Delle doglianze proposte, quella che desta interesse concerne la mancanza di motivazione della sentenza impugnata la quale, pur condannando gli associati al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, non aveva tuttavia operato alcun accertamento presupposto finalizzato a valutare la legittimità della decisione di esclusione dell’associato. La sentenza infatti si era semplicemente limitata ed enucleare le azioni poste in essere dall’associato che avevano indotto gli altri membri dell’associazione ad adottare la delibera di esclusione, senza quindi entrare nel merito della sua legittimità. Gli Ermellini ritenevano questa valutazione fallace, evidenziavano quindi che normalmente l’atto costitutivo associativo contempla una serie di casistiche e di comportamenti richiesti agli associati e che normalmente tendono al perseguimento di obiettivi comuni dell’associazione. Sicché riteneva la Cassazione che i Giudici di appello avrebbero dovuto debitamente analizzare il caso onde verificare l’esistenza dei fatti contestati per poi comprendere se questi potessero rientrare nella nozione di grave inadempimento giustificativo della delibera di esclusione. Risarcimento sussistente in presenza di delibera illegittima. Pertanto, solo escludendo l’esistenza di una delibera valida i Giudici avrebbero potuto condannare gli associati al risarcimento del danno con pronuncia di condanna generica. Il ricorso era dunque accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello incaricata di verificare se le condotte dell’associato fossero legittimanti la delibera di esclusione e, solo in caso di esito negativo dell’accertamento, di valutare l’esistenza di un danno risarcibile anche in via potenziale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 14 giugno – 7 settembre 2017, n. 20894 Presidente Giancola – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con sentenza del 28 giugno 2012, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha accolto la domanda di condanna generica al risarcimento del danno, proposta con atto di citazione del 2 febbraio 1994 dall’avv. P.T. nei confronti degli altri componenti dell’associazione professionale, avendo invece condiviso la decisione di primo grado di cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di nullità della deliberazione di esclusione, assunta dall’assemblea dell’associazione in data 8 gennaio 1994. La corte territoriale, per quanto ancora rileva, preso atto delle ragioni dell’esclusione consistenti nella formulazione di svariati addebiti all’escluso, ha affermato che per la pronuncia di una condanna generica al risarcimento del danno sia sufficiente la mera potenzialità del pregiudizio ciò accade con l’esclusione da un’associazione, sia per l’eventuale diminuzione dei proventi professionali, sia per le ripercussioni sul prestigio dell’associato mentre le altre parti non hanno con certezza dimostrato l’inesistenza del danno. Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione gli odierni ricorrenti, sulla base di quattro motivi. Resiste l’intimato con controricorso. Il P.G. ha depositato le sue conclusioni, chiedendo in primis la rimessione alle Sezioni unite sulla natura della sentenza di condanna generica. Entrambe le parti hanno depositato le memorie. Ragioni della decisione 1. - I ricorrenti propongono avverso la decisione impugnata quattro motivi di ricorso, che possono essere come di seguito riassunti 1 violazione degli artt. 112 e 278 cod. proc. civ., oltre a mancanza di motivazione, perché l’attore aveva, in origine, proposto una domanda alternativa di condanna specifica o generica al risarcimento del danno, precisandola in quest’ultima solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, nel corso della quale i convenuti avevano dichiarato di non accettare il contraddittorio sulle domande nuove o modificate 2 violazione degli artt. 24 cod. civ. e 278 cod. proc. civ., oltre a mancanza di motivazione, avendo la sentenza impugnata condannato gli associati al risarcimento del danno, sia pure in via generica, per il solo fatto in sé dell’adozione della delibera di esclusione, della cui legittimità non ha operato nessun accertamento, laddove l’associazione, ai sensi della norma sostanziale ricordata, al ricorrere di taluni presupposti ha il potere di escludere l’associato 3 motivazione contraddittoria, perché dapprima la sentenza afferma che l’esclusione non ebbe effetto, avendo poi i soci concordato lo scioglimento della società, e, ciononostante, a quella ricollega la produzione di un danno 4 omessa motivazione, per non avere la corte del merito verificato neppure se la deliberazione ebbe qualche effetto, come invero non accadde. 2. - Il primo pregiudiziale motivo è infondato, in quanto la domanda di condanna generica fu proposta sin dall’atto introduttivo e ribadita all’udienza di precisazione delle conclusioni, nel corso della quale i convenuti non chiesero si procedesse in modo contestuale alla liquidazione del danno, essendosi invece limitati, come essi stessi in ricorso rammentano, alla formula di stile di non accettazione del contraddittorio sulle domande nuove o modificate come era tipico delle controversie ante novella del 1990 . Questa Corte ha chiarito fra le altre, Cass. 20 febbraio 2015, n. 3366 che, in caso di azione per il risarcimento dei danni, l’attore, ove abbia chiesto, alternativamente, la condanna generica o quella integrale, può limitare la propria pretesa alla sola pronuncia sull’an debeatur, senza necessità del consenso del convenuto, il quale, peraltro, può chiedere, in via riconvenzionale, che l’accertamento della responsabilità si estenda al quantum debeatur, onde verificare l’insussistenza del danno. Costituisce, inoltre, principio da tempo affermato cfr. es. Cass. 29 luglio 1983, n. 5221 e da ribadire in questa sede che, nel caso di domanda di risarcimento del danno, il divieto di separazione del giudizio sull’an da quello sul quantum non opera, se alla richiesta in tal senso dell’attore abbia prestato adesione il convenuto, anche se non espressamente, purché in modo certo ed univoco, come quando il convenuto medesimo non abbia sollevato alcuna eccezione al riguardo , e ciò persino quando ciò sia avvenuto nel momento in cui la controparte, nel precisare le conclusioni definitive, abbia limitato la propria domanda alla condanna generica, con riserva di richiedere il quantum in separato giudizio . In definitiva, il motivo va respinto. 3. - Il secondo motivo è fondato. La corte territoriale ha condannato gli odierni ricorrenti al risarcimento del danno, da liquidare in separata sede, senza accertare l’elemento essenziale della fattispecie, costituito da un fatto imputabile e contrario al contratto - l’illegittima esclusione dalla compagine associativa - che quell’ipotizzato danno avesse cagionato. Ed invero, la decisione impugnata dapprima afferma che l’esclusione dall’associazione fu deliberata per gli inadempimenti imputati all’associato - consistenti nell’avere egli dato causa al recesso di altro componente con i suoi atteggiamenti aggressivi, rifiutato di eseguire l’accordo di consulenza col medesimo concluso, utilizzato una carta intestata dello studio diversa dagli altri, dimostrato disinteresse per le sorti associative e per non aver dato seguito all’invito alla sollecita fatturazione dei propri compensi - e, quindi, senza esporre nessun’altra argomentazione circa la sussistenza di quegli inadempimenti come idonei a fondare la decisione di esclusione, ha nondimeno concluso che dall’esclusione in sé dunque, giustificata o no deriva pur sempre un danno potenziale, limitandosi a ricordare che è sufficiente la potenzialità del medesimo per la condanna generica a risarcirlo. Se, tuttavia, quest’ultimo assunto è condivisibile, rispondendo a principio che per detta condanna non occorra neppure la prova dell’an del pregiudizio, esso nondimeno non era, nella specie, sufficiente per la condanna stessa, dal momento che, invece, la corte territoriale avrebbe dovuto anzitutto verificare se in ipotesi facesse difetto una giusta causa di esclusione, e, solo in caso di verifica positiva, considerarla allora come cagione di danno risarcibile atteso che la sentenza di condanna generica postula, quale presupposto necessario e sufficiente a legittimarne l’adozione, l’accertamento di un fatto ritenuto, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di danni Cass. 11 ottobre 2016, n. 20444 . La procedura di esclusione dell’associato mediante deliberazione degli altri associati non ha carattere eccezionale nel campo associativo generale e si fonda sull’esistenza di fatti di grave inadempimento cfr. art. 24 e 2286 cod. civ. . Pur con riguardo all’epoca in cui si sono svolti i fatti di causa quando era ancora in vigore l’art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, la quale prevedeva il divieto dell’esercizio in forma societaria delle professioni protette, divieto in seguito abrogato dalla legge 7 agosto 1997, n. 266 mentre la riforma attuata con la legge 12 novembre 2011, n. 183, che all’art. 10 ha previsto la società tra professionisti - era consentita la conclusione di un contratto per la costituzione di associazioni professionali, reputato a contenuto atipico, che provvedessero all’esercizio in comune di talune attività, ed anche la costituzione di una società personale, avente oggetto diverso dall’opera propria del professionista, come lo svolgimento di attività meramente esecutive ed ausiliarie rispetto alle attività professionali protette cfr. Cass. 29 febbraio 2016, n. 3926 24 ottobre 2008, n. 25735 in entrambi i casi, era lecita la previsione di clausole di esclusione cfr., fra le altre, Cass. 16 aprile 1991, n. 4032 . Nella prospettiva dei rapporti associativi, invero, sovente i contratti costitutivi enumerano le condotte degli associati che, per la loro capacità di impedire o rendere non agevole il raggiungimento dei fini del gruppo consistenti nell’esercizio in comune dell’attività professionale e nel mantenimento di un’immagine esterna unitaria verso i clienti, siano causa di esclusione. Ciò risponde al fine lecito di favorire fra i consociati relazioni improntate a lealtà, correttezza, collaborazione e reciproca fiducia, senza le quali il raggiungimento del fine comune viene, se non totalmente impedito, quanto meno reso difficoltoso e di scarso risultato, sia per lo scadimento dell’immagine dello studio verso l’esterno, sia perché la conflittualità interna rappresenta un ostacolo al dispiegarsi di una fattiva e proficua collaborazione. Onde, nella specie, la corte del merito non avrebbe potuto esimersi dall’accertare, sulla scorta delle prove raccolte nel giudizio, se sussistessero i fatti contestati e se essi integrassero la nozione di grave inadempienza, come enunciata nel contratto associativo, tale da giustificare la deliberata esclusione. Ciò tenuto altresì conto come non ha mancato di rilevare il Procuratore generale nelle sue conclusioni , che fra le importanti ricadute di sistema della sentenza di condanna generica vi sono almeno la sua idoneità all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, la strumentalità rispetto al sequestro conservativo, l’ammissibilità di una condanna provvisionale. Il giudice del merito, quindi, esaminata la deliberazione di esclusione assunta dagli altri associati in ragione delle condotte imputate al soggetto escluso, solo in caso di esito negativo dell’indagine circa l’integrazione della fattispecie costitutiva della facoltà di esclusione in capo agli altri associati avrebbe potuto sia annullare la deliberazione reputata invalida, sia accogliere la domanda di condanna al risarcimento del danno in favore dell’associato escluso. Una volta cessata la materia del contendere, come ritenuto dal giudice di primo grado e confermato da quello d’appello, con riguardo alla prima domanda costitutiva, restava ancora da accertare il descritto presupposto prima di poter pronunciare la condanna, pur generica, al risarcimento del danno. 3. - Il terzo e quarto motivo sono assorbiti. 4. - In conclusione, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al giudice del merito, in diversa composizione, perché, esaminate le prove in atti, provveda a ad accertare se siano provate le condotte inadempienti imputate all’associato, poste a fondamento della deliberazione di esclusione b solo in caso di esito negativo di tale accertamento, passi ad esaminare se l’esclusione abbia prodotto un danno risarcibile, anche in via potenziale. Al giudice del merito si demanda pure la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, respinto il primo ed inammissibili il terzo ed il quarto motivo cassa la sentenza impugnata e rinvia innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.