Trattamento dei dati personali…quali sono i limiti al loro utilizzo?

La Cassazione in relazione al trattamento dei dati personali afferma che, ai sensi dell’att. 4 e 11 d.lgs. n. 196/03, questi vadano gestiti rispettando i canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità del loro nuovo utilizzo, ma non è necessario, ai sensi dell’art. 24 d.lgs. n. 196/03, il consenso dell’interessato ove i dati stessi siano impiegati per esigenza di difesa delle proprie situazioni soggettive e negli stretti limiti in cui ciò sia necessario.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 19423/17, depositata il 3 agosto. Il caso. Il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello rigettavano il ricorso proposto da un cliente di una banca. Quest’ultimo lamentava l’illegittima diffusione, nel suo ambito familiare e successiva segnalazione al sistema informatico creditizio, dei dati relativi alla propria posizione debitori nei confronti dell’Istituto di credito e richiedeva al Giudice una contestuale condanna al risarcimento per il danno da lui subito. Avverso tale pronuncia il soccombente ricorreva in Cassazione. Il trattamento dei dati personali. La Cassazione in relazione al trattamento dei dati personali afferma che, ai sensi dell’att. 4 e 11 d.lgs. n. 196/03, questi vadano gestiti rispettando i canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità del loro nuovo utilizzo, ma non è necessario, ai sensi dell’art. 24 d.lgs. n. 196/03, il consenso dell’interessato ove i dati stessi siano impiegati per esigenza di difesa delle proprie situazioni soggettive e negli stretti limiti in cui ciò sia necessario . Nel caso di specie, la Corte rileva che l’istituto creditorio abbia utilizzato i dati in questione al solo fine di realizzare le proprie ragioni creditorie. Ne deriva che, anche i solleciti recapitati dall’istituto all’indirizzo dei genitori e le comunicazioni telefoniche all’utenza degli stessi non possa configurare un uso illecito dei dati personali del cliente. Anche in considerazione del fatto che il domicilio e l’utenza telefonica del ricorrente erano in comune con i genitori, e che il pagamento delle rate di finanziamento in questione erano state effettuate dalla società di famiglia della quale il padre del ricorrente era socio. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 marzo – 3 agosto 2017, n. 19423 Presidente Di Palma – Relatore Valitudi Fatti di causa 1. Il dott. G.R.G.F. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la Banca di Desio e della Brianza s.p.a., chiedendo la condanna al risarcimento dei danni per l’illegittima diffusione, nel suo ambito familiare, e per la successiva segnalazione al sistema informativo creditizio CRIF dei dati relativi alla sua posizione debitoria nei confronti dell’istituto di credito convenuto. Il Tribunale adito, con sentenza n. 583/2011, rigettava la domanda. 2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1348/2013, depositata il 27 marzo 2013, rigettava l’appello proposto dal G. . La Corte territoriale riteneva, invero, che nel comportamento dell’istituto di credito concretatosi nell’invio di terzi due società di recupero crediti presso la casa dei genitori del G. , nelle telefonate effettuate presso la loro utenza, e nell’invio alla medesima utenza di un fax di sollecito al pagamento di quanto dovuto dal G. alla banca non fosse ravvisabile una violazione dei principi di correttezza e di liceità, ai sensi degli artt. 11, comma 1, lettera a e 154, comma 1, lettera c del d.lgs. n. 196 del 2003. E ciò, in quanto la banca aveva fatto uso dei dati forniti dallo stesso cliente e contenuti nel contratto di finanziamento da questi sottoscritto, sicché non sarebbe risultata provata in atti la connessione causale tra il trattamento dei dati operato dall’istituto di credito ed i danni lamentati dal G 3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso G.R.G.F. nei confronti della Banca di Desio e della Brianza s.p.a., affidato a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ. La resistente ha replicato con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con i tre motivi di ricorso, che per la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente, G.R.G.F. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12, 15 e 154, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, 112 cod. proc. civ., 2697, 2050, 1226 e 2056 cod. civ., 2, 3, e 29 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ 1.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello, confermando la decisione di prime cure, abbia erroneamente ritenuto che l’azione proposta in giudizio dal G. diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per l’illegittima diffusione, nel suo ambito familiare, e per la successiva segnalazione al sistema informativo creditizio CRIF dei dati relativi alla sua posizione debitoria nei confronti della Banca di Desio e della Brianza s.p.a. fosse inquadrabile nell’azione contrattuale, laddove l’istante avrebbe inteso proporre un’azione di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196. La Corte territoriale avrebbe, invero, erroneamente escluso che nel comportamento dell’istituto di credito concretatosi nell’invio di terzi società di recupero crediti presso la casa dei genitori del G. , nelle telefonate effettuate presso la loro utenza e nell’invio alla medesima utenza di un fax di sollecito al pagamento di quanto dovuto dal G. alla banca non fosse ravvisabile una violazione dei principi di correttezza e di liceità, ai sensi degli artt. 11, comma 1, lettera a e 154, comma 1, lettera c del d.lgs. n. 196 del 2003. 1.2. Da siffatta erronea qualificazione dell’azione esperita in giudizio dall’odierno ricorrente, sarebbe derivato, poi, che in modo del tutto incongruo, ed in contrasto con quanto prescrive l’art. 2050 cod. civ., richiamato dall’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003, la Corte d’appello avrebbe applicato, nella fattispecie concreta, il disposto dell’art. 2697 cod. civ., onerando il G. dell’onere di provare non soltanto di avere puntualmente adempiuto le obbligazioni scaturenti dal contratto a suo tempo sottoscritto con la banca ma anche la sussistenza del credito azionato nei confronti dell’istituto di credito. 2. Le censure sono infondate. 2.1. Va difatti osservato, in proposito, che in tema di trattamento dei dati personali, i dati oggetto di trattamento, ai sensi degli artt. 4 e 11 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, vanno gestiti rispettando i canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza, rispetto alle finalità del nuovo loro utilizzo, ma non è necessario, ai sensi dell’art. 24 d.lgs. n. 196 cit., il consenso dell’interessato ove i dati stessi siano impiegati per le esigenze di difesa delle proprie situazioni soggettive e negli stretti limiti in cui ciò sia necessario Cass. Sez. U. 08/02/2011, n. 3033 . Soltanto l’inesatto trattamento dei dati consente, invero, di invocare, presso la competente autorità di garanzia, la tutela apprestata dalla legge, il cui disegno è funzionale alla difesa della persona e dei suoi fondamentali diritti e tende ad impedire che l’uso, astrattamente legittimo, del dato personale avvenga con modalità tali da renderlo lesivo di quei diritti Cass. 08/07/2005, n. 14390 . 2.2. Nel caso di specie, è del tutto evidente che l’istituto di credito ha utilizzato i dati del cliente per esigenze strettamente di realizzazione delle proprie ragioni creditorie, utilizzando peraltro come si evince dalla sentenza di appello al fine si sollecitare il pagamento di quanto dovuto, il domicilio dei genitori del G. e come recapito telefonico l’utenza in uso ai medesimi, indicati nello stesso contratto di finanziamento stipulato dal ricorrente. Tanto si desume, peraltro, anche dalla raccomandata della banca in data 4 febbraio 2008, trascritta nel ricorso, dalla quale risulta che le due società di recupero crediti si erano recate più volte presso il domicilio indicato e comunicato per iscritto nel contratto via OMISSIS , ed avevano, altresì, sollecitato il pagamento telefonando al numero del pari indicato e comunicato per iscritto nel contratto . Non può, di conseguenza, ritenersi che, nella specie, vi sia stato un uso illecito dei dati personali del cliente da parte della banca, in violazione del diritto alla privacy del medesimo e del suo nucleo familiare che, tra l’altro, considerata l’unicità di domicilio e di utenza telefonica, non avrebbe potuto non venire a conoscenza della situazione debitoria del G. . Tanto più che il pagamento delle rate del finanziamento de quo era stato effettuato dalla società di famiglia, della quale il padre del ricorrente era socio pp. 2 e 3 del ricorso . Rimasti vani tutti i tentativi di ottenere il pagamento delle somme dovute, la trasmissione della segnalazione al CRIF, da parte della banca, si era resa, pertanto, inevitabile. 2.3. Quanto all’onere della prova, è bensì vero che, alla stregua degli artt. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 e 2050 cod. civ., su colui che agisce per l’abusiva utilizzazione dei suoi dati personali incombe soltanto seppure in via preliminare rispetto alla prova, da parte del danneggiante della mancanza di colpa l’onere di provare il danno subito, siccome riferibile al trattamento del suo dato personale Cass. 23/05/2016, n. 10638 . E tuttavia, nel caso concreto tale prova deve ritenersi sia del tutto mancata, atteso il rilevato uso, da parte dell’istituto di credito, dei dati personali del G. per finalità del tutto lecite, come tali improduttive di danni risarcibili. Né l’istante ha riprodotto nel ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza artt. 366, primo comma n. 6 e 369, secondo comma n. 4 cod. proc. civ. le prove che assume non essere state ammesse dal giudice di appello, onde consentire alla Corte di valutarne, sulla base del solo ricorso, la concludenza e la decisività cfr., ex plurimis, Cass. 30/7/2010, n. 17915 Cass. 31/7/2012, n. 13677 Cass. 3/1/2014, n. 48 . 2.4. Le doglianze non possono, pertanto, trovare accoglimento. 3. Per le ragioni suesposte, il ricorso deve, di conseguenza, essere integralmente rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.