Vittima di estorsione: la Cassazione spiega come e quando risarcire il danno morale

Il diritto al risarcimento del danno morale, patito dalla vittima in conseguenza di un illecito penale, va riconosciuto in rapporto al grado ed alla capacità di resistenza che ci si può attendere da un soggetto medio.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con ordinanza n. 18327/17 depositata il 25 luglio. Il caso. L’attrice citava in giudizio i convenuti chiedendo il risarcimento al danno patito in conseguenza del reato di tentata estorsione aggravata per il quale, fra l’altro, era intervenuta sentenza irrevocabile di condanna. Vincitrice in primo grado ma soccombente in appello l’attrice decide di proporre ricorso in Cassazione lamentando il fatto che la Corte territoriale non aveva fatto buon uso dei principi che regolano, nell’ambito in questione, il risarcimento del danno morale. Danno morale. La Cassazione sostiene che la Corte d’Appello ha sbagliato a ritenere il danno morale collegato alla specifica capacità di reazione del singolo individuo e non, invece, al grado di resistenza media che è lecito aspettarsi da una persona di normale cultura e forza d’animo qualora si trovi, per l’appunto, in presenza di una minaccia estorsiva. Proprio in virtù di questo ragionamento, la S.C. si ritrova ad affermare il principio di diritto secondo cui in materia di conseguenze dannose di un illecito penale , nella specie la tentata estorsione aggravata, il diritto al risarcimento del danno morale consistente nel turbamento e nella sofferenza patiti dalla vittima sussiste e va riconosciuto in rapporto al grado ed alla capacità di resistenza che ci si può attendere da un soggetto medio . In tal senso, non è rilevante la circostanza per cui, in considerazione del particolare coraggio della vittima, il fatto non le abbia impedito di denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine. Affinché i Giudici di merito si attengano a detto principio nella decisione della causa, la Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 6 aprile – 25 luglio 2017, n. 18327 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. G.M.L. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, A.G. , S.S. e G. chiedendo che fossero condannati al risarcimento del danno da lei patito in conseguenza del reato di tentata estorsione aggravata perpetrato nei suoi confronti, reato per il quale era intervenuta sentenza irrevocabile di condanna. Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse in parte la domanda e condannò i convenuti al pagamento della somma di Euro 58.000 a titolo di danno morale. 2. Avverso la sentenza è stato proposto appello da parte dei convenuti soccombenti e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 16 settembre 2015, ha accolto il gravame e, in riforma della decisione del Tribunale, ha rigettato la domanda della G. , compensando integralmente le spese del doppio grado. Ha osservato la Corte di merito che dall’istruttoria svolta in sede civile e dagli atti del processo penale era emerso che la G. non era stata intimorita dalle minacce rivolte nei suoi confronti dagli appellanti, minacce che non erano state idonee a determinare una coazione psicologica, tanto che la stessa si era rivolta alle Forze dell’ordine ed aveva attivamente collaborato nelle indagini che si erano concluse col processo penale suindicato. rutto ciò escludeva la presenza di un danno morale soggettivo. 3. Contro la sentenza d’appello ricorre G.M.L. con atto affidato ad un motivo. Resistono con due separati controricorsi A.G. , S.S. e G. . Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis del codice di procedura civile e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ., irragionevole, contraddittoria ed illogica motivazione che si tramuta in violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost. e degli artt. 2043 e 2059 cod. civ., nonché dell’art. 651 del codice di procedura penale. 2. Il motivo è fondato. La sentenza impugnata - mentre ha correttamente ricordato che la condanna emessa in sede penale non determina, di per sé, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della vittima, danno che non può essere in re ipsa e va provato ogni volta, anche attraverso presunzioni v. l’ordinanza 12 aprile 2011, n. 8421, in linea con giurisprudenza costante - non ha fatto poi buon governo dei principi che regolano il risarcimento di quel danno. La Corte d’appello ha ritenuto che il fatto che la G. , ricevute le minacce, si fosse recata dagli organi di Polizia concordando anche la registrazione delle conversazioni telefoniche intrattenute con gli odierni controricorrenti, escludeva che tali minacce avessero avuto una forza tale da recarle ingiusto turbamento. Ed ha aggiunto che le richieste estorsive avevano avuto, piuttosto, l’effetto contrario, cioè quello di innescare una reazione orgogliosa e risoluta, tradottasi nell’immediata e costante collaborazione con l’autorità giudiziaria . 2.1. Questo ragionamento contiene alcuni errori. Il primo errore consiste nell’evidente confusione tra il turbamento provocato nella vittima di un episodio di estorsione e la sua capacità di non cedere alla coazione. Se una persona, dotata di maggiore coraggio, resiste alla minaccia, ciò non vuol dire che il turbamento non ci sia stato. È poi evidentemente contraddittorio negare, da un lato, la sofferenza ed il turbamento della vittima e, nel contempo, dare atto che la stessa si era rivolta agli organi di Polizia. Una minaccia risibile, tale da non implicare alcuna paura, sofferenza o turbamento nell’animo di chi la subisce non spingerebbe mai una persona dotata di normale buon senso a recarsi dalle forze dell’ordine per denunciare l’accaduto se ciò è avvenuto, invece, vuol dire che la vittima delle minacce ha evidentemente cercato protezione per un evento che aveva generato in lei proprio quel turbamento ingiusto che la Corte d’appello ha ritenuto di escludere. A ciò si deve aggiungere che, come la sentenza impugnata ha riferito, in conseguenza dell’episodio in esame la G. aveva presentato spontaneamente le dimissioni dall’incarico di presidente del consiglio di amministrazione della casa di cura dove lavorava, il che dimostra l’esistenza di evidenti ripercussioni della vicenda anche sul piano strettamente personale. Rileva il Collegio, inoltre, che è errata l’affermazione, sottesa al ragionamento svolto dalla Corte d’appello, secondo cui la sussistenza o meno del danno morale si ricollega alla specifica capacità di reazione del singolo individuo, anziché al grado di resistenza medio che è lecito attendersi dalla persona di normale cultura e forza d’animo in presenza di una minaccia estorsiva. Va invece ribadito che il danno morale, inteso come sofferenza conseguente al fatto estorsivo di cui si discute, non può essere ritenuto o meno esistente a seconda della maggiore o minore forza d’animo della vittima, poiché ciò equivarrebbe ad affermare che l’ordinamento tutela in misura diversa la persona a seconda del grado di resistenza che la stessa possiede in presenza di una minaccia, determinando un effetto paradossale in danno dei soggetti più coraggiosi. Sotto questo profilo, pertanto, sussiste anche la lamentata violazione di legge. 3. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata. Il giudizio è rinviato alla stessa Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione personale, affinché decida l’appello attenendosi al seguente principio di diritto In materia di conseguenze dannose di un illecito penale nella specie, episodio di estorsione , il diritto al risarcimento del danno morale consistente nel turbamento e nella sofferenza patiti dalla vittima sussiste e va riconosciuto in rapporto al grado ed alla capacità di resistenza che ci si può attendere da un soggetto medio, non assumendo rilievo la circostanza per cui, in considerazione del particolare coraggio della vittima, il fatto non le abbia impedito di denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine . Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici, o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nell’ordinanza.