Si getta dalla finestra della classe: incolpevoli scuola e insegnanti

La ragazza, all’epoca studentessa di scuola media, ha riportato gravi lesioni. Ricostruito il drammatico episodio, i Giudici respingono la richiesta di risarcimento presentata dalla giovane e dai genitori. Esclusa la responsabilità di insegnanti, scuola e Ministero.

Repentino, fulmineo, imprevedibile. Così può essere catalogato il tentativo di suicidio messo in atto da una studentessa, buttatasi da una finestra della sua scuola durante una lezione. Impossibile perciò parlare di vigilanza lacunosa da parte dell’istituto. Escluso, di conseguenza, il risarcimento chiesto dai genitori e dalla ragazza al Ministero dell’Istruzione Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 17085/17, depositata oggi . Vigilanza. Linea di pensiero comune per i Giudici, prima in Tribunale, poi in Corte d’Appello e ora, infine, in Cassazione. In sostanza, va escluso che gli obblighi di vigilanza e di protezione gravanti sull’istituto scolastico e sugli insegnanti possano estendersi al punto di considerare la concreta prevedibilità ed evitabilità dell’atto autolesivo compiuto dalla ragazza, studentessa di scuola media, all’epoca del drammatico episodio. In questa ottica viene evidenziato che il tentato suicidio si è verificato in modo inconsulto e repentino , così da escludere ogni legame di causalità tra le eventuali omissioni contestabili alla scuola e ai docenti e i gravi danni alla salute riportati dalla ragazza, lasciatasi cadere nel vuoto dal secondo piano dell’edificio. Tutto ciò rende assolutamente non plausibile il risarcimento preteso dai genitori e dalla figlia, che avevano chiamati in causa, sin dal primo grado, il Ministero dell’Istruzione e l’istituto scolastico.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 8 giugno – 11 luglio 2017, n. 17085 Presidente Spirito - Relatore Dell'Utri Fatto e diritto Rilevato che, con ordinanza ex art. 348-bis e 347-ter c.p.c. resa in data 9/7/2014, la Corte d'appello di L'Aquila ha dichiarato inammissibile l'appello proposto da Ro. Me. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di L'Aquila ha rigettato la domanda proposta da Ni. Me. e Li. Ma., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore Ro. Me., nei confronti del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, nonché della Scuola Media Statale G. Rossetti di Vasto che avevano esteso il contraddittorio alla Generali Italia s.p.a. a fini di manleva , per la condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni sofferti dagli attori a seguito dell'atto autolesivo compiuto dalla minore Ro. Me., consistito nel lasciarsi cadere nel vuoto dal secondo piano dell'edificio scolastico durante l'orario delle lezioni provocandosi gravi danni alla salute che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l'insussistenza di ragionevoli probabilità di accoglimento dell'appello proposto dalla Me., avendo il giudice di primo grado correttamente escluso che gli obblighi di vigilanza e di protezione d'indole contrattuale gravanti sull'istituto scolastico e sugli insegnanti della ragazza potessero estendersi al punto di considerare la concreta prevedibilità ed evitabilità dell'atto autolesivo oggetto d'esame, siccome compiuto dalla Me. in modo inconsulto e repentino, tale da risolvere ogni legame di causalità tra le eventuali omissioni contestabili ai convenuti e l'evento lesivo dedotto in giudizio che avverso la sentenza del giudice di primo grado, Ro. Me. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d'impugnazione che il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca resiste con controricorso che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede considerato, che, con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2051 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. , per avere i giudici del merito trascurato la considerazione del profilo, pur evidenziato in occasione dell'introduzione della controversia, relativo alla qualificazione della responsabilità dei convenuti di sensi dell'art. 2051 c.c., tenuto conto degli specifici rischi connessi alla custodia dell'edificio scolastico, nella specie lasciato privo di protezioni o parapetti atti ad evitare o, quantomeno, a ostacolare la realizzazione di gesti autolesivi incontrollati dei minori ospitati per le lezioni scolastiche che il motivo è inammissibile che, infatti, a fronte dell'avvenuta qualificazione, ad opera del Tribunale di L'Aquila, della prospettata responsabilità dei convenuti sotto il profilo dell'inadempimento delle obbligazioni di vigilanza e di protezione sugli stessi gravanti, l'odierna ricorrente ha del tutto omesso di evidenziare e di documentarne le occorrenze, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso ex artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c. l'effettiva prospettazione e l'eventuale fase processuale in cui detta prospettazione sarebbe stata avanzata della responsabilità dei convenuti in relazione alla condizione di custodi dell'edificio scolastico, con la conseguente sussumibilità del fatto dedotto entro lo spettro applicativo dell'art. 2051 c.c. che, peraltro, tale prospettazione neppure si desume in modo chiaro ed inequivoco dalla lettura dell'atto d'appello allegato all'odierno ricorso, risultando ivi configurati, da un lato, l'eventuale responsabilità dell'amministrazione scolastica ex art. 2051 c.c. in relazione alla doverosa custodia sull'alunna cfr. pag. 6 dell'atto d'appello ribadito, in relazione alla violazione dei doveri di vigilanza del personale scolastico, alle pagine 10-12 , in nessun modo ricollegabile alla responsabilità in veste di custode della res dannosa e, dall'altro, un vago e generico riferimento, contenute nel medesimo confuso con testo concettuale, alla responsabilità per la custodia dell'edificio, senza ulteriori approfondimenti e specificazioni che tali omissioni e ambiguità concettuali valgono a impedire in radice ogni possibilità di verifica, da parte di questo collegio, della tempestività dell'avvenuta prospettazione, nel senso indicato in ricorso, della domanda avanzata nei confronti delle controparti, con la conseguente inammissibilità delle censure sul punto sollevate in questa sede, dovendo ritenersi che, con la censura in esame, la ricorrente abbia inammissibilmente introdotto una domanda 'nuova', comportante il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, con la conseguente alterazione dell'oggetto sostanziale dell'azione e dei termini della controversia cfr., sul punto, Sez. L, Sentenza n. 10316 del 16/07/2002, Rv. 555820 - 01 che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2048 c.c. ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c , per avere i giudici del merito erroneamente interpretato la condotta del personale scolastico in occasione della vicenda dedotta in giudizio, muovendo sulla base di una travisata lettura delle circostanze di fatto dalle quali era emersa l'insussistenza di alcuna obiettiva imprevedibilità del gesto autolesivo compiuto dalla minore, con la conseguente piena configurazione della responsabilità di detto personale per il fatto dannoso denunciato che il motivo è inammissibile che, con il motivo in esame, la ricorrente - lungi dal denunciare l'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge - allega un'erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa operazione che non attiene all'esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l'aspetto del vizio di motivazione cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745 Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171 , neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la Me. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell'epigrafe del motivo d'impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall'odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell'interpretazione fornita dai giudici di merito del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa che, si tratta, come appare manifesto, di un'argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una tipica erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato che, ciò posto, il motivo d'impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564 Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892 , non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell'omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti che sulla base delle argomentazioni che precedono, dev'essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore dell'amministrazione statale controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, agli accessori come per legge e al rimborso delle spese prenotate a debito. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 8/6/2017.