Verità, inesattezze o falsità? La linea di confine per il risarcimento del danno da diffamazione

In tema di risarcimento dei danni da diffamazione, il requisito della verità della notizia non è leso da eventuali inesattezze secondarie o marginali che non alterino la portata informativa nel complessivo contesto dell’articolo giornalistico.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14447/17 depositata il 9 giugno. Il caso. La Suprema Corte torna sul tema del risarcimento dei danni derivanti da diffamazione in occasione dell’azione intentata da un avvocato nei confronti del Ministero dell’Interno per ottenere il risarcimento dei danni per pretese dichiarazioni diffamatorie contenute nelle relazioni della Polizia di Stato nell’ambito delle indagini sulla strage di Capaci del 23 maggio 1992. Dopo una parziale pronuncia favorevole in primo grado, la Corte d’appello rigettava sia il gravame principale che quello incidentale e, reputando diffamatorie solo alcune notizie secondarie, confermava nel quantum il risarcimento riconosciuto dal primo giudice. Il Ministero dell’Interno ricorre dunque in Cassazione, mentre l’avvocato resiste con controricorso. Prescrizione. Il Collegio sgombra innanzitutto il campo da ogni dubbio in merito alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno morale da diffamazione, invocata dal Ministero, ricordando che il termine di prescrizione decorre dal momento in cui la parte lesa viene a conoscenza del fatto illecito e non dal momento in cui l’agente lo pone in essere. Notizie diffamatorie. Con un ulteriore motivo di ricorso, il Ministero si duole per la ritenuta portata diffamatoria delle notizie contestate. Sul tema gli Ermellini affermano che il requisito delle verità dei fatti oggetto della notizia asseritamente diffamatoria non è scalfito da inesattezze secondarie o marginali ove non alterino, nel contesto dall’articolo o di altro mezzo di diffusione, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili . Nel caso di specie, i giudici di merito avevano riscontrato la falsità solo di alcune notizie di valenza del tutto secondaria, essendosi le altre notizie pubblicate sulla stampa rivelate del tutto veritiere . Ed infatti, come torna a sottolineare la Corte, la domanda di risarcimento del danno per lesione della reputazione personale ex art. 2043 c.c. richiede che la condotta asseritamente diffamatoria della persona sia valutata con riferimento all’effettiva lesione dell’onore e della reputazione di cui quest’ultima goda tra i consociati e non quam suis , e cioè in riferimento alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione . La censura del ricorrente trova dunque accoglimento. La Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 marzo – 9 giugno 2017, n. 14447 Presidente Di Palma – Relatore Valitutti Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato il 12 giugno 1998, l’avv. M.R. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Caltanissetta, il Ministero dell’Interno, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per pretese dichiarazioni diffamatorie contenute nelle relazioni redatte dal Servizio Centrale Operativo S.C.O. della Polizia di Stato, del omissis e del omissis , nel quadro delle indagini svolte all’indomani della strage di del omissis . Il Tribunale adito, con sentenza n. 60/2006, accoglieva parzialmente la domanda, condannando il Ministero dell’Interno al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 95.000,00 a favore dell’avv. M. . 2. La Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza n. 112/2012, depositata il 25 giugno 2012, rigettava sia l’appello principale proposto da M.R. , sia l’appello incidentale proposto dall’Amministrazione dell’Interno. La Corte territoriale respingeva, invero, l’eccezione di prescrizione proposta dal Ministero, reputava diffamatorie solo talune notizie secondarie contenute nelle predette relazioni, e confermava, nel quantum, il risarcimento del danno riconosciuto all’appellante principale dal giudice di prime cure. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso il Ministero dell’Interno nei confronti dell’avv. M.R. , sulla base di cinque motivi. Il resistente ha replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale affidato a nove motivi. Ragioni della decisione 1. Con il primo e secondo motivo di ricorso, il Ministero dell’Interno denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 cod. civ., nonché l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis . 1.1. Il ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione per decorso del termine quinquennale previsto dall’art. 2947 cod. civ., proposta dall’Amministrazione dell’Interno, convenuta in giudizio dall’avv. M.R. al fine di ottenere il risarcimento per pretese dichiarazioni diffamatorie contenute nelle due relazioni redatte dal Servizio Centrale Operativo S.C.O. della Polizia di Stato, del omissis e del omissis , nel quadro delle indagini svolte all’indomani della strage di del omissis . Tra le utenze telefoniche significative risultavano, invero, anche quelle intestate all’avv. M. , da una delle quali - come riferito dal S.C.O. nella relazione del omissis - era partita una comunicazione sospetta pochi minuti prima che il dr. F. uscisse dal suo ufficio romano, per recarsi all’aeroporto di Nei confronti del M. la Procura della Repubblica, in data omissis , richiedeva, pertanto, l’autorizzazione a procedere alla Camera dei deputati, essendo il medesimo, all’epoca, parlamentare della Repubblica. 1.2. Orbene, nell’impugnata sentenza la Corte d’appello confermando la decisione di prime cure - ha ritenuto che la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dovesse essere fatta risalire al 30 settembre 1994, quando, secondo l’attestazione di cancelleria, gli atti di che trattasi erano divenuti ostensibili alle parti nell’ambito del procedimento penale , con la conseguenza che alla data in cui l’azione risarcitoria fu promossa dall’avv. M. omissis , il termine quinquennale di prescrizione non poteva considerarsi decorso. Osserva, per contro, il Ministero che la conoscibilità delle pretese notizie diffamatorie da parte del M. vi sarebbe stata fin dalla data della richiesta di autorizzazione a procedere del omissis , alla quale era stata, difatti, allegata l’informativa del S.C.O. della Polizia di Stato in data omissis , contenente le tre notizie ritenute diffamatorie dai giudici dei due gradi di merito 1 la circostanza che l’avv. M. fosse collega di studio dell’avv. Mo. , che si era occupato più volte di reati di mafia 2 il suo interessamento nella Clinica omissis 3 i rapporti di parentela con M.G. e B. , pregiudicati per fatti di mafia. Sicché, dovendo stabilirsi l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione quinquennale, ex art. 2947 cod. civ., al omissis , ne conseguirebbe che, al momento della proposizione dell’azione risarcitoria omissis , tale termine era ormai ampiamente decorso. 1.3. Le censure sono inammissibili. 1.3.1. Va osservato, infatti, che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno morale da diffamazione decorre non dal momento in cui l’agente compie il fatto illecito, bensì dal momento in cui la parte lesa ne viene a conoscenza, ossia dal momento in cui il danneggiato abbia avuto - o avrebbe dovuto avere, usando l’ordinaria diligenza - sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato alla condotta diffamatoria Cass. 07/10/2011, n. 20609 Cass. 25/05/2010, n. 12699 . Ed, in tal senso, si è espressa anche la decisione citata dalla sentenza impugnata, relativa ad un’ipotesi di danno aquiliano derivante dall’illegittimo trattamento di dati personali, nella quale il documento contenente i dati indebitamente diffusi era allegato agli atti di un procedimento penale, con la conseguenza che - secondo questa Corte - la prescrizione del diritto al risarcimento non poteva che decorrere dal momento in cui il preteso danneggiato aveva avuto legalmente la possibilità di attivarsi per conoscere gli atti di indagine Cass. 21/06/2011, n. 13616 . 1.3.2. Ebbene, nel caso di specie, l’Amministrazione ricorrente afferma che alla richiesta di autorizzazione a procedere del omissis - trascritta nel ricorso del Ministero nella parte essenziale, nel rispetto del principio di autosufficienza - sarebbe stata allegata l’informativa del S.C.O. della Polizia di Stato, al cui contenuto detta richiesta rinviava integralmente. Ed, in effetti, vi si affermava che la nota del omissis del Nucleo Centrale Criminalità Economica ed Informatica del S.C.O. della Polizia di Stato, che condensa tale risultato e che è allegata alla presente richiesta, va integralmente ritenuta richiamata nella presente richiesta . La nota in questione evidenziava, poi, che il M. conduceva uno studio di via omissis con l’avv. Mo.Sa. , appartenente al Foro di quella città, che il medesimo era interessato alla Clinica omissis , e che già dal 1990 la Questura di Caltanissetta aveva effettuato indagini per stabilire il rapporto esistente tra M.R. e i noti pregiudicati mafiosi M.G. e M.B. , i cui rapporti con il primo erano stati confermati da un testimone protetto. Per il che, le tre notizie ritenute false dai giudici di merito sarebbero state tutte contenute nell’incarto relativo alla richiesta di autorizzazione a procedere, con conseguente possibilità per il M. ad avviso del ricorrente - di venirne a conoscenza. 1.3.3. Tanto premesso, va osservato che la norma dell’art. 366 cod. proc. civ. - nel testo novellato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis - richiede a pena di inammissibilità sia l’esposizione sommaria dei fatti della causa , requisito che può ritenersi soddisfatto quando il contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso Cass. 02/08/2016, n. 16103 , sia la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, e la loro trascrizione nei punti essenziali, nel rispetto del principio di autosufficienza artt 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. cfr., ex plurimis, Cass. 9/04/2013, n. 9569 Cass. 15/07/2015, n. 14784 . 1.3.4. Nel caso di specie, la sentenza di appello ha affermato, sul punto relativo al decorso del termine quinquennale di prescrizione ex art. 2947 cod. civ., che manca del tutto la prova che il M. abbia avuto la possibilità, ed in quale data, di accedere effettivamente agli atti relativi all’autorizzazione a procedere presentata alla Camera nei suoi confronti, ivi comprese le predette note investigative. In altri termini, non risulterebbe provato - a parere del giudice di seconde cure - che il medesimo sia stato in grado di venire a conoscenza di tali atti prima che gli stessi fossero resi ostensibili alle parti nel processo penale omissis . Ebbene, a fronte di tale accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata, il ricorrente si è limitato ad affermare che detta autorizzazione a procedere sarebbe stata presentata alla Camera in data omissis , con l’allegata nota del S.C.O. della Polizia di Stato, e che la conoscibilità delle presunte notizie diffamatorie doveva essere determinata con riferimento alla comunicazione all’odierno resistente della richiesta di autorizzazione a procedere . E tuttavia, l’Amministrazione non ha neppure indicato - sebbene si trattasse di un fatto rilevante della causa - quando, ed in qual modo, il M. sarebbe venuto a conoscenza di detta richiesta di autorizzazione a procedere, con quale atto la stessa gli sarebbe stata comunicata, ed in quale data, provvedendo - se del caso - alla relativa trascrizione, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso. 1.4. Le doglianze in esame, in quanto inammissibili, non possono, pertanto, trovare accoglimento. 2. Con il terzo motivo di ricorso, il Ministero dell’Interno denuncia l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis . 2.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte territoriale abbia affermato la valenza diffamatoria delle notizie ritenute non veritiere contenute nelle relazioni del S.C.O. della Polizia di Stato, senza tenere in alcun conto, neppure per contestarle, le puntuali argomentazioni - riportate analiticamente nel ricorso per cassazione - svolte dall’Amministrazione circa l’insussistenza della portata diffamatoria delle notizie in questione, e pervenendo alla conclusione contestata sulla base di affermazioni del tutto stringate ed apodittiche. 2.2. La doglianza è fondata. 2.2.1. Ed invero, in tema di risarcimento dei danni da diffamazione, la verità dei fatti oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie o marginali ove non alterino, nel contesto dell’articolo o di altro mezzo di diffusione, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili Cass. 27/08/2015, n 17197 Cass. 26/08/2014, n. 18264 . Ebbene, con riferimento al caso in esame, dalla stessa sentenza impugnata si evince che il giudice di primo grado aveva esaminato tutte le circostanze indicate nelle relazioni investigative, ma aveva individuato come effettivamente false solo alcune di esse, che riteneva però di valenza del tutto secondaria p. 2 , essendosi le altre notizie pubblicate dalla stampa rivelate del tutto veritiere p. 6 . E tale giudizio è stato confermato dalla decisione di seconde cure, laddove ha affermato che l’effetto diffamatorio delle notizie false era di valenza del tutto secondaria , rispetto alla pubblicazione di tutti gli atti di indagine effettuata dalla stampa. D’altro canto, è indubitabile che in tema di risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., per lesione della reputazione personale, la condotta asseritamente diffamatoria della persona non vada valutata quam suis , e cioè in riferimento alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione, bensì come effettiva lesione dell’onore e della reputazione di cui la persona goda tra i consociati Cass. 21/06/2016, n. 12813 . 2.2.2. Nel caso concreto, per contro, la Corte d’appello non ha in alcun modo tenuto conto dei diffusi rilievi - trascritti nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza - operati dall’Amministrazione in ordine alla mancanza di una portata offensiva delle notizie diffuse dalle relazioni del S.C.O. succitate, in particolare evidenziandosi, da parte della medesima, che a l’attribuire al M. la qualità di collega di studio dell’avv. Mo. nulla toglieva al patrimonio morale del medesimo, essendo del tutto pacifico che si trattava di colleghi, sebbene non di studio, e la circostanza che l’avv. Mo. si occupasse anche di processi di mafia non poteva giustificare di per sé alcuna valutazione negativa nei suoi confronti, atteso che anche gli appartenenti alla mafia hanno diritto alla difesa in giudizio b l’interesse del M. alla Gestione della Clinica omissis era del tutto neutro, non potendo di certo derivare un discredito morale al medesimo dall’avere interesse ad un’iniziativa imprenditoriale c la presunta parentela con i pregiudicati M.G. e B. non poteva costituire motivo di lesione del patrimonio morale dell’avv. M. , posto che tale lesione può derivare solo da scelte personali e da fatti volontari, mentre la parentela non viene scelta, essendo, in qualche modo, subita dal soggetto. Ebbene, a fronte di tali argomentate deduzioni, la Corte territoriale si è limitata ad asserire, del tutto laconicamente ed apoditticamente, che l’intelaiatura complessiva di tali dati non veritieri, l’allusività degli stessi a comportamenti scorretti del M. e il contesto nel quale venivano rappresentati non possono giustificare alcun dubbio sulla loro idoneità ad offendere l’onore ed il decoro di quest’ultimo p. 6 , senza che neppure un cenno venga operato alle diffuse argomentazioni contenute nell’appello incidentale del Ministero. 2.3. La censura va, pertanto, accolta. 3. Con il quarto motivo di ricorso, il Ministero dell’Interno denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 cod. civ. e 51 cod. pen., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ 3.1. L’amministrazione - eccependo la violazione degli artt. 2043 cod. civ. e 51 cod. pen. - si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente l’ingiustizia del preteso danno arrecato al M. , sebbene le notizie non veritiere suindicate fossero state rilevate in una doverosa attività di indagine che, come tale, configura una causa di esclusione dell’antigiuridicità del fatto . 2.2. Il motivo è inammissibile. 2.2.1. In tema di ricorso per cassazione, invero, qualora una determinata questione giuridica - che implichi accertamenti di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa Cass. 30/11/2006, n. 25546 Cass. 03/03/2009, n. 5070 Cass. 22/04/2016, n. 8206 . 2.2.2. Nel caso di specie, per contro, l’eccezione ex artt. 51 cod. pen. e 2043 cod. civ. non risulta in alcuno modo affrontata dall’impugnata sentenza, né l’Amministrazione ha neppure dedotto, nel motivo di ricorso, di averla proposta nel giudizio di appello, laddove il resistente ha espressamente eccepito p. 79 del controricorso che tale questione non è stata mai proposta nei due gradi del giudizio di merito. 2.3. La censura, poiché inammissibile, non può, pertanto, trovare accoglimento. 3. Restano assorbiti dall’accoglimento del terzo motivo il quinto motivo del ricorso principale, inerente alla quantificazione del danno, e tutti i motivi di ricorso incidentale, finalizzato dal M. ad ottenere un risarcimento dei danni in misura superiore a quella liquidata con la sentenza di appello, essendo le questioni ivi dedotte demandate al giudice di rinvio, all’esito dell’esame dei suesposti rilievi proposti dall’Amministrazione circa la mancanza di portata diffamatoria delle dichiarazioni contenute nelle suddette note del S.C.O. della Polizia di Stato. 4. L’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale comporta, invero, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, attenendosi ai seguenti principi di diritto in tema di risarcimento dei danni da diffamazione, la verità dei fatti oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie o marginali ove non alterino, nel contesto dell’articolo o di altro mezzo di diffusione, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili la condotta asseritamente diffamatoria della persona non va valutata quam suis , e cioè in riferimento alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione, bensì come effettiva lesione dell’onore e della reputazione di cui la persona goda tra i consociati . Il giudice di rinvio dovrà, altresì, motivare adeguatamente in ordine ai rilievi proposti dall’Amministrazione circa la mancanza di portata diffamatoria delle dichiarazioni contenute nelle note del S.C.O. della Polizia di Stato, in data omissis e del omissis . 5. Il giudice di rinvio provvederà, infine, alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. accoglie il terzo motivo del ricorso principale dichiara inammissibili il primo, secondo e quarto motivo del ricorso principale dichiara assorbito il quinto cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto rinvia alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità dichiara assorbito il ricorso incidentale. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13.