Cade a causa di una pietra sconnessa, ma i suoi problemi di equilibrio salvano il Comune

Brutto capitombolo per una donna. A tradirla è stata una pietra sconnessa presente in strada. Ella, però, viste le proprie condizioni di salute, avrebbe dovuto essere più prudente.

Brutto capitombolo, in pieno giorno, per una cittadina di un piccolo paese. Fatale la presenza in strada di una pietra sconnessa. Ma a sorpresa l’episodio non è addebitabile al Comune la donna avrebbe dovuto essere più prudente, soprattutto considerando i suoi problemi di equilibrio Cassazione, ordinanza n. 6833/2017, Sezione Sesta Civile, depositata il 16 marzo 2017 . Danni. La caduta è stata provocata, secondo la donna, dalla presenza di una pietra sconnessa e non visibile in una stradina del paese. A suo dire, quindi, colpevole è il Comune. Consequenziale la sua richiesta di risarcimento dei danni riportati. Questa domanda viene ritenuta corretta dai giudici del Tribunale, che condannano l’ente locale a versare alla cittadina ben 100mila Euro. Di parere opposto, però, sono i giudici d’Appello. A loro avviso nessuna responsabilità è addebitabile al Comune, che quindi può evitare di evitare di aprire i cordoni della borsa per il risarcimento a favore della donna. Ora a sigillare la vittoria dell’ente locale sono i magistrati della Cassazione, che valutano come corretta la visione adottata in Appello e sfavorevole alla sfortunata protagonista della vicenda. Innanzitutto, l’esistenza della pietra sconnessa sul manto stradale era perfettamente visibile, anche in considerazione dell’ora diurna in cui è avvenuta la caduta , annotano i giudici. Allo stesso tempo, viene evidenziato che la donna, alla luce dei propri problemi di equilibrio, causati da una rigidità delle articolazioni , avrebbe dovuto tenere un comportamento prudente, utile ad evitare il capitombolo .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 2 febbraio – 16 marzo 2017, n. 6833 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. P.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Melfi, il Comune di quella città, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a seguito di una caduta determinata dalla presenza di una pietra sconnessa e non visibile sul manto stradale. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse la domanda e condannò il Comune al risarcimento dei danni determinati in Euro 100.000, nonché al pagamento delle spese di giudizio. 2. Avverso la sentenza è stato proposto appello da parte del Comune di Melfi e la Corte d’appello di Potenza, con sentenza del 29 aprile 2015, ha accolto il gravame e, in totale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda della P. , condannandola al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. 3. Contro la sentenza d’appello ricorre P.A. con atto affidato a due motivi. Resiste il Comune di Melfi con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380- bis del codice di procedura civile e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., sostenendo che il Comune non avrebbe dimostrato l’esistenza del caso fortuito con il secondo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. 1.1. Il primo motivo non è fondato. La Corte d’appello, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, ha osservato che l’esistenza della pietra sconnessa sul manto stradale era perfettamente visibile, anche in considerazione dell’ora diurna in cui era avvenuta la caduta ed ha poi aggiunto che l’attrice era ben a conoscenza di tale situazione e che, in considerazione dei problemi di equilibrio dei quali soffriva a causa di una rigidità delle articolazioni, ella avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitare la caduta. Tale motivazione è in piena armonia con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che l’applicazione delle regole di cui all’art. 2051 cod. civ. presuppone sempre che il danneggiato dimostri il fatto dannoso ed il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno e che, ove la cosa in custodia sia di per sé statica e inerte, il danneggiato è tenuto a dimostrare altresì che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno sentenza 5 febbraio 2013, n. 2660 . E poiché la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che, ai fini di cui all’art. 2051 cod. civ., il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo del danneggiato, il motivo è evidentemente privo di fondamento v. da ultimo le sentenze 18 settembre 2015, n. 18317, e 22 giugno 2016, n. 12895 . 1.2. Il secondo motivo è inammissibile alla luce dei criteri di cui alla sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, delle Sezioni Unite di questa Corte, poiché ha ad oggetto elementi di prova che la Corte d’appello ha comunque positivamente valutato e si risolve nell’indebito tentativo di ottenere in questa sede una nuova valutazione del merito. 2. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai parametri introdotti dal d.m. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1- quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.