Si butta dalla finestra dell’ospedale, risarcimento dall’Azienda sanitaria

Una donna tenta il suicidio mentre è ricoverata a causa di un problema psichiatrico. Le lesioni riportate sono addebitabili a carenze strutturali, come la mancanza di un parapetto adeguato e delle inferriate.

Raptus per una paziente psichiatrica ricoverata in ospedale si reca in bagno e si lancia dalla finestra, procurandosi lesioni gravi. Responsabilità da addossare all’Azienda sanitaria, alla luce delle discutibili condizioni di sicurezza della struttura Cassazione, sentenza n. 6030/2017, Sezione Terza Civile, depositata il 9 marzo 2017 . Suicidio. A distanza di anni la donna chiede un adeguato ristoro economico, chiamando in causa non solo l’Azienda sanitaria ma anche i medici. Per i giudici, però, l’episodio, cioè il tentativo di suicidio messo in atto in ospedale, va collegato solo alle condizioni della struttura. Più precisamente, è emerso che la finestra del bagno , da cui si è lanciata la paziente – all’epoca affetta da problemi psichiatrici –, era priva di un parapetto adeguato e di inferriate o altri ripari , e quindi non era sufficiente per rispettare gli obblighi di protezione incombenti sulla struttura sanitaria . Di conseguenza, i giudici d’Appello sostengono che esclusivamente l’Azienda sanitaria debba provvedere al risarcimento dei danni riportati dalla donna. Protezione. E questa decisione viene confermata ora dalla Cassazione. Inutili si rivelano le obiezioni mosse dai legali. Nessun dubbio è possibile sulla necessità di adottare cautele di natura strutturale , a maggior ragione per un reparto comunque destinato ad ospitare anche pazienti psichiatrici . E in questa ottica è evidente che le caratteristiche della finestra del bagno erano inidonee a ostacolare propositi di suicidio . Logico, di conseguenza, affermare che l’Azienda sanitaria abbia violato i doveri di protezione nei confronti della paziente .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 gennaio – 9 marzo 2017, n. 6030 Presidente Vivaldi – Relatore Sestini Fatti di causa G.P. convenne in giudizio la d.ssa R.R. , il dott. M.M. e la Gestione liquidatoria della U.S.L. n. X della Regione Toscana chiedendo il risarcimento dei danni che si era procurata cadendo da una finestra del nosocomio di omissis , in cui era stata ricoverata a causa di una sindrome psichiatrica assunse che sia la d.ssa R. -che aveva ne aveva curato il ricovero che il personale sanitario del reparto compreso il primario dott. M.M. non avevano adottato le necessarie misure di sorveglianza per scongiurare gesti autolesivi da parte della paziente aggiunse che la finestra del bagno del reparto donne era munita di un parapetto inferiore a quello regolamentare e non presentava adeguate protezioni. Contumaci la R. e il M. , il Tribunale di Lucca accolse la domanda risarcitoria nei confronti della R. e della Gestione liquidatoria, condannandole in solido sul duplice rilievo che la R. aveva trascurato il rischio di autolesione consigliando il ricovero in un comune reparto di medicina generale e omettendo di dare prescrizioni per la sorveglianza e che la Gestione Liquidatoria era tenuta a rispondere dell’operato della propria dipendente. La Corte di Appello ha escluso la responsabilità della R. , mentre ha affermato la responsabilità della Gestione liquidatoria per avere mantenuto la finestra del bagno da cui si era gettata la G. priva di un parapetto adeguato e di inferriate o altri ripari, non assolvendo pertanto agli obblighi di protezione incombenti sulla struttura sanitaria. Ricorre per cassazione la Gestione liquidatoria della U.S.L. n. della Regione Toscana, affidandosi a cinque motivi resiste la G. a mezzo di controricorso contenente ricorso incidentale basato su due motivi ad esso resistono, con distinti controricorsi, la R. e la Gestione liquidatoria. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo che denuncia la violazione degli artt. 1218, 1228, 2043 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. , la ricorrente principale censura la Corte per avere individuato a carico dell’Ospedale la violazione di obblighi di protezione nonostante la condizione della G. non lasciasse affatto prevedere il tentativo suicidario rileva come proprio l’imprevedibilità del gesto autolesivo attribuito dalla c.t.u. ad un raptus non rendesse esigibile l’adozione di misure di custodia rafforzata della paziente , tanto più che l’uso di mezzi coercitivi non era compatibile con l’obbligo di custodia nell’ambito di un trattamento volontario. 1.1. Col secondo motivo che deduce la violazione degli artt. 1218, 1223, 2043, 2056 e 2697 c.c., nonché degli artt. 40 e 41 c.p. e dell’art. 115 c.p.c. , la Gestione liquidatoria lamenta che la Corte ha omesso del tutto di considerare il difetto di qualsiasi nesso eziologico tra l’omissione relativa alla conformazione della finestra e l’evento dannoso richiamato il criterio della causalità adeguata temperato dal ricorso al principio della causalità efficiente per il quale la causa prossima sufficiente da sola a produrre l’evento esclude il nesso eziologico fra questo e le altre cause antecedenti , evidenzia che il comportamento della G. aveva interrotto il nesso causale con l’assenza di protezioni alla finestra, facendola così degradare al rango di mera occasione dell’evento , in quanto l’evento dannoso si sarebbe comunque verificato proprio in ragione della intenzionalità del gesto . 1.2. I due motivi che si esaminano congiuntamente sono inammissibili in quanto, senza individuare specifici errores iuris, si sostanziano nella prospettazione di una lettura alternativa della vicenda, volta ad escludere la necessità di adottare cautele di natura strutturale viceversa correttamente individuate dal giudice di appello in relazione ad un reparto comunque destinato ad ospitare anche pazienti psichiatrici e a negare l’efficienza causale dell’assenza di adeguate protezioni, sollecitando pertanto la revisione di un apprezzamento in fatto rimesso esclusivamente al giudice di merito. 2. Il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 183 e 189 c.p.c. premesso che, con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, la G. aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni morali e materiali e che, cristallizzatosi il thema decidendum e maturate le preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c., soltanto in sede di precisazione delle conclusioni, l’attrice aveva richiesto distinti importi a titolo di danno biologico, di danno morale e di danno esistenziale oltreché per danno patrimoniale e I.T.T. , la ricorrente assume che si era verificata una non consentita mutatio libelli, in quanto il risarcimento del danno biologico e di quello esistenziale erano stati richiesti per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni. 2.1. Al riguardo, il giudice di appello ha osservato che quella del danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria cui debbono essere ricondotti tutti gli effetti pregiudizievoli ed ha affermato che non vi è dubbio che già il chiaro riferimento ai danni morali espresso nell’atto introduttivo di primo grado doveva ritenersi volto al ristoro onnicomprensivo del danno non patrimoniale ha concluso che non si ravvisa, quindi, alcuna diversità strutturale di petitum e non è stata posta in essere alcuna mutatio libelli, essendo la parte rimasta nell’ambito della mera emendatio, di cui ha correttamente tenuto conto il primo giudice . 2.2. Il motivo è inammissibile in quanto censura sotto la specie della violazione di norme di diritto l’interpretazione del contenuto della domanda, che è rimessa al giudice di merito e non è sindacabile se congruamente motivata come nel caso di specie, in cui la Corte ha ritenuto di considerare l’espressione danni morali come equivalente a ristoro omnicomprensivo del danno non patrimoniale , tale da comprendere al suo interno ogni possibile profilo -biologico, morale ed esistenziale e da escludere che la specificazione effettuata in sede di precisazione delle conclusioni abbia ecceduto i limiti di una mera emendatio . Peraltro, in difetto di elementi idonei a far ritenere che la G. avesse inteso escludere dal risarcimento alcuni specifici profili, è corretta la conclusione di interpretare l’espressione danni morali contrapposta a danni materiali come comprensiva di ogni danno non patrimoniale cfr. Cass. n. 13179/2011 e Cass. n. 17879/2011 . 3. Col quarto motivo nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, n. 4 e 156, comma 2 c.p.c. , la ricorrente principale denuncia la assoluta carenza di motivazione , evidenziando che nella sentenza impugnata non è rinvenibile il motivo per il quale la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’obbligo giuridico la cui violazione per fatto omissivo dell’ente sanitario avrebbe implicato la responsabilità risarcitoria dell’ente medesimo . 3.1. Il motivo è infondato, in quanto la sentenza ha chiaramente -seppur succintamente indicato la fonte della responsabilità nella violazione dei doveri di protezione nei confronti della paziente, con specifico riferimento alle caratteristiche della finestra, che sono state ritenute inidonee a ostacolare propositi suicidari. 4. L’ultimo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, consistito nell’avere la Corte omesso l’esame circa l’efficienza causale della ritenuta carenza strutturale della finestra in rapporto all’evento oggetto di causa e – segnatamente circa la irrilevanza causale di quell’omissione in rapporto all’atto volontario della G. . 4.1. Il motivo è inammissibile in quanto la ricorrente non prospetta effettivamente l’omesso esame di un fatto principale o secondario decisivo, ma insiste nel contestare come già col secondo motivo l’apprezzamento di merito circa il nesso eziologico individuato dalla Corte fra la carenza strutturale e il defenestramento posto in essere dalla G. . 5. Il ricorso incidentale investe la sentenza nella parte in cui ha escluso la responsabilità della R. . Col primo motivo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2049 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo , la G. censura la Corte per non avere individuato autonomi profili di negligenza professionale nella R. , che aveva sottovalutato la possibilità di un nuovo tentativo suicidario e non aveva predisposto le cautele necessarie col secondo, si duole -sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo che la Corte non abbia accolto le richieste di chiarimenti da essa proposte nei confronti della c.t.u. svolta in grado di appello. 5.1. Il primo motivo è inammissibile, in quanto volto a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, funzionale all’affermazione della concorrente responsabilità della R. , che è stata viceversa esclusa dalla Corte sulla base di un’ampia e motivata valutazione della sua posizione. Il secondo motivo è infondato in quanto non è emerso che il mancato accoglimento dell’istanza di chiarimenti si sia tradotta nell’omesso esame di fatti decisivi. 7. Stante la reciproca soccombenza, si compensano le spese di lite fra la Gestione Liquidatoria e la G. . Quanto ai rapporti fra la G. e la R. , permangono i giusti motivi di compensazione individuati dal giudice di appello, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis antecedente alle modifiche introdotte dalla l. n. 263/2005 . 8. Trattandosi di ricorsi proposti successivamente al 30.1.013, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002. P.Q.M. la Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese di lite fra tutte le parti. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.