Moto scarta un veicolo e finisce in una buca: nessuna responsabilità del Comune

Respinta la richiesta di risarcimento avanzata dal conducente e dalla passeggera. Inequivocabile la dinamica dell’episodio, che permette di addebitare la caduta alla necessità di evitare un’automobile. Inutile il richiamo alle dichiarazioni di un testimone presentatosi un anno e mezzo dopo i fatti.

Scartata un’automobile, la moto finisce in una grande buca piena d’acqua. Conducente e passeggero, però, non possono pensare di chiamare in causa il Comune per le condizioni della strada. Inutile, perché a scoppio ritardato, il richiamo al racconto fatto da un testimone Cass., ordinanza n. 3039, sez. VI civile, depositata oggi Caduta. Respinta prima in Tribunale e poi in Appello l’ipotesi di un risarcimento dei danni morali e materiali a favore delle due persone, un uomo e una donna, rimaste vittime di un incidente lungo una via di Roma. Decisiva la ricostruzione dell’episodio in pratica, la moto ha dovuto evitare lo scontro con un altro veicolo e sol per questo è finita in una grande buca piena d’acqua . Per i giudici, quindi, nessuna responsabilità è addebitabile al Comune. Ciò perché la caduta è stata determinata dalla necessità di evitare un veicolo che stava tagliando la strada alla moto . E questa visione, condivisa anche dai magistrati della Cassazione, non è messa in discussione dalle dichiarazioni di un testimone. Poco plausibile che una persona presente sul luogo al momento del fatto si sia resa reperibile solo un anno e mezzo dopo, quando il processo di primo grado era ormai in fase conclusiva .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, sentenza 6 dicembre 2016 – 3 febbraio 2017, n. 3039 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Svolgimento del processo E stata depositata la seguente relazione. 1. S. B. e V. C. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Comune di Roma e le altre due società di cui in epigrafe, chiedendo il risarcimento dei danni fisici e materiali conseguenti ad un sinistro stradale nel quale la moto condotta dal B., per evitare lo scontro con un altro veicolo, era finita in una grande buca piena d'acqua. Si costituirono i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettò la domanda, compensando le spese tra gli attori ed il Comune e condannando gli stessi al pagamento delle spese di giudizio nei confronti delle altre due società. 2. Avverso la sentenza è stato proposto appello da parte degli attori soccombenti e la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 24 aprile 2015, ha rigettato il gravame, confermando l'impugnata pronuncia e condannando gli appellanti alla rifusione delle ulteriori spese del grado. 3. Contro la sentenza d'appello ricorrono S. B. e V. C. con atto affidato a due motivi. Resiste Roma Capitale con controricorso. Le due società indicate in epigrafe non hanno svolto attività difensiva in questa sede. 4. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato. 5. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 153 e 294 cod. proc. civ., degli artt. 24 e 111 Cost. e dei principi del contraddittorio e del giusto processo. Si lamenta che la sentenza, confermando la decisione del Tribunale, non abbia ritenuto di poter ammettere la prova per testi tardivamente dedotta, negando l'applicazione dell'istituto della rimessione in termini. 5.1. Il motivo non è fondato. Si osserva che la valutazione della sussistenza delle circostanze che consentono la rimessione in termini è frutto di una decisione che spetta al giudice di merito la Corte d'appello, nella specie, ribadendo le argomentazioni rese dal Tribunale, ha ritenuto inverosimile che un testimone presente sul luogo al momento del fatto si fosse potuto rendere reperibile solo un anno e mezzo dopo l'accaduto, quando il processo di primo grado era ormai in fase conclusiva. Tale semplice e ragionevole rilievo viene contestato opponendo una propria diversa versione dell'accaduto, evidentemente non più esaminabile in questa sede e comunque tale da non evidenziare le prospettate violazioni di legge. 6. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2051 cod. civ., contestando che la Corte d'appello abbia ritenuto nella specie esistente il caso fortuito incidentale. 6.1. Il motivo non è fondato. La Corte d'appello, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, ha comunque escluso che la responsabilità dell'evento dannoso potesse essere ricondotta alla parte convenuta, sul rilievo che mancavano elementi certi in grado di consentire una pacifica ricostruzione dell'accaduto. Occorre ribadire che anche nella fattispecie di cui all'art. 2051 cod. civ. resta a carico del danneggiato l'onere della prova della sussistenza del nesso di causalità tra la cosa e l'evento dannoso. Nella specie, la Corte di merito ha escluso che tale prova sia stata fornita e comunque, è lo stesso ricorso ad insistere sul fatto che la caduta sarebbe stata determinata dalla necessità di evitare un veicolo che stava tagliando la strada alla moto, sicché la stessa prospettazione dei ricorrenti appare perplessa circa l'effettiva riconducibilità della caduta alla buca esistente sul manto stradale. 7. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere rigettato”. Motivi della decisione 1. Non sono state depositate memorie alla trascritta relazione. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni. 2. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.