Mutuo e perizia estimativa errata: responsabile il perito della Banca

Se il mutuo è stato erogato in forza di una perizia estimativa rivelatasi errata, il professionista incaricato dalla banca è responsabile ed è tenuto a risarcirle il danno. Questo l’approdo del Tribunale di Napoli chiamato, con la pronuncia qui annotata, a risolvere una controversia che vede contrapposti la Banca ed il proprio professionista.

Banca vs perito. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 11522 del 21 ottobre 2016, ha accertato la responsabilità del professionista incaricato da una banca di stimare tre beni immobili oggetto di altrettante pratiche di erogazione di mutui. Il valore dei cespiti fornito dal professionista veniva difatti posto dalla banca a base della concessione dei finanziamenti e della successiva iscrizione di ipoteca volontaria sugli immobili. A seguito dell’inadempimento dei mutuatari, la banca avviava le procedure di espropriazione forzata. Il tecnico nominato dal tribunale per stimare gli immobili in questione al fine della loro vendita forzata determinava, però, valori sensibilmente inferiori rispetto a quelli contenuti nella perizia redatta dal professionista incaricato dalla Banca. Quest’ultima conveniva pertanto in giudizio il proprio perito il quale, a sua volta, chiamava in causa la compagnia assicurativa al fine di essere manlevato in ipotesi di condanna al risarcimento del danno. Il grave inadempimento del professionista della Banca. Il Giudice ritiene che, nella fattispecie, la condotta del perito della Banca abbia disatteso il livello minimo di diligenza esigibile dal professionista di media preparazione ed attenzione. Ciò sol considerando i la palese incongruenza nella misurazione dei cespiti ii l’omesso riscontro delle evidenti divergenze tra stato di fatto e situazione catastale dell’immobile iii il mancato riferimento all’assenza, in concreto, dei requisiti minimi per l’utilizzo dei beni ai fini abitativi. Come riferito dal testimone escusso in corso di causa, l’incarico conferito al professionista della banca era finalizzato ad ottenere un parametro di riferimento al quale commisurare l’erogazione del finanziamento. Con poi iscrizione di garanzia reale a favore della banca una volta valutata l’idoneità degli immobili in questione. Poiché le stime si sono rivelate del tutto disancorate dalla reale situazione dei beni, il professionista della banca ha palesemente disatteso, ad avviso del Giudice, l’obbligazione su di esso gravante. Sul nesso eziologico fra la condotta del professionista ed il danno cagionato alla Banca. Non è revocabile in dubbio, reputa altresì il Giudice, che la condotta inadempiente del professionista abbia indotto la banca ad assumere una decisione l’erogazione del mutuo che la stessa o non avrebbe adottato o avrebbe adottato a condizioni meno svantaggiose. In altri termini, se il professionista avesse correttamente stimato e descritto ciascun bene, è altamente probabile per non dire certo che la banca non avrebbe concesso a ciascun mutuatario il finanziamento richiesto ovvero che, se si fosse determinata ad accordare i prestiti, li avrebbe contenuti nei limiti del valore reale di ciascun bene. La determinazione del danno applicando il principio del più probabile che non”. Il Tribunale di Napoli ritiene di dover escludere che il danno vada quantificato assumendo come più probabile lo scenario meno favorevole per il professionista della banca, nel quale, cioè, ipotizzandosi che la banca – sulla scorta di una relazione fedele e corretta – non avrebbe mai erogato il prestito, il danno dovrebbe quantificarsi in misura esattamente equivalente all’ammontare del mutuo erogato, previa detrazione di quanto eventualmente riscosso dall’intermediario in sede di vendita forzata. Viceversa il Tribunale accede alla soluzione meno grave per il professionista convenuto che consiste nel ritenere verosimile, sulla scorta di una fedele descrizione del cespite, la concessione di un prestito ad opera della banca, ovviamente a condizioni diverse da quelle in concreto prodottesi. In questo caso il danno può quantificarsi detraendo, dall’ammontare del mutuo, il valore reale del bene come stimato dal perito del tribunale. A sostegno dell’approdo raggiunto il Tribunale richiama l’insegnamento della Suprema Corte di Cassazione n. 20996/12 secondo cui in relazione alla causalità omissiva, la positiva valutazione sull’esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l’azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l’evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può essere esclusa l’efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale . Questo accertamento contrario o controfattuale si deve svolgere in base al principio della c.d. preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non”. Respinta la domanda di manleva del professionista della Banca nei confronti della Compagnia assicurativa. Il Tribunale di Napoli accerta anzitutto l’esistenza di una polizza a copertura dei rischi connessi all’esercizio dell’attività professionale stipulata dal convenuto con la Compagnia assicurativa chiamata in causa. Tuttavia, il Giudice ritiene che i danni subiti dalla banca non siano ricollegabili ad una condotta meramente colposa del suo professionista. Le macroscopiche anomalie delle relazioni estimative si rivelano sintomatiche di una condotta posta in essere in maniera assolutamente consapevole. Non è cioè sostenibile, ad avviso del Tribunale, che in ben tre occasioni diverse, il professionista di comprovata esperienza abbia potuto, per mera disattenzione, così macroscopicamente errare nel rilevare le dimensioni degli immobili, ovvero fornire notizie sulle condizioni giuridiche e fattuali dei cespiti così platealmente difformi dallo stato reale dei beni. Posto che la garanzia viene meno se il danno è conseguenza di una condotta dolosa dell’assicurato, non può operare nella fattispecie la polizza assicurativa invocata dal professionista della banca che ha appunto svolto l’incarico in termini di dolo e non di semplice colpa.

Tribunale di Napoli, sez. II Civile, sentenza 19 – 21 ottobre 2016, numero 11522 Giudice Sacchi Ragioni di fatto e di diritto della decisione Si omette, per esigenze di economia processuale, di riportare lo svolgimento del processo. I giudizi in esame hanno ad oggetto tre distinte domande di risarcimento dei danni, che la BANCA ha proposto nei confronti del PROFESSIONISTA al quale la stessa aveva conferito l'incarico di procedere alla stima di tre distinti immobili, oggetto di altrettante pratiche di erogazione di mutui, al fine di accertare il valore dei cespiti, da porre a base della concessione dei finanziamenti e della successiva iscrizione di ipoteca volontaria. Tanto sul rilievo che, avendo il convenuto sovrastimato i beni, essa, una volta avviate le procedure di espropriazione forzata nei confronti dei mutuatari resisi frattanto inadempienti, aveva riscontrato la palese divergenza, tra le valutazioni operate da PROFESSIONISTA e quelle compiute dai professionisti incaricati dal Tribunale nell'ambito delle procedure di espropriazione forzata, così patendo un danno, consistente nell'avere erogato finanziamenti che non sarebbero mai stati accordati e rispetto ai quali ogni possibile recupero coattivo del credito, appariva gravemente pregiudicato. Tanto premesso in termini generali, occorre quindi procedere all'esame di ciascuna delle domande proposte dalla BANCA. § 1. LA DOMANDA DI RISARCIMENTO DEL DANNO, PROPOSTA DALLA BANCA, RELATIVA ALLA PRESTAZIONE PROFESSIONALE RESA DAL PROFESSIONISTA NELL'AMBITO DELL'EROGAZIONE DEL MUTUO ACCORDATO A D. V. In fatto occorre rilevare che, come emerge dagli atti di causa ed è pacifico tra le parti, l'odierna attrice conferiva a PROFESSIONISTA l'incarico di procedere ad una relazione tecnico estimativa, avente ad oggetto l'immobile sito in Napoli, al omissis. Tale valutazione era finalizzata ad individuare il valore del cespite, affinchè su di esso la BANCA potesse iscrivere ipoteca, a garanzia del mutuo accordato all'acquirente, D. V Vi è in atti copia della relazione a firma dell'odierno convenuto, redatta il 13.3.2006. E', inoltre, provato per tabulas che la BANCA, in data 24.3.2006, abbia effettivamente erogato al D. un mutuo, dell'importo di euro 90.000,00, garantito mediante la concessione, da parte dello stesso mutuatario, di ipoteca volontaria di primo grado, a favore dell'odierna attrice, dell'importo di curo 180.000,00, per assicurare la restituzione del capitale mutuato, degli interessi e delle spese connesse al citato finanziamento. Risulta, infine, dagli atti che siffatta ipoteca sia stata iscritta sul cespite per il valore indicato nell'atto notarile di concessione del mutuo cfr. documentazione allegata alla produzione dell'avv. omissis, procuratore costituito della Banca nel giudizio numero omissis/2009 RG . Ciò posto, dalle risultanze in atti, si ricava che la relazione estimativa predisposta dal PROFESSIONISTA sia palesemente difforme dallo stato di fatto e dalla stessa condizione giuridica del bene immobile, oggetto dell'anzidetta iscrizione ipotecaria. Ed invero, nella relazione da esso redatta su incarico della BANCA, l'odierno convenuto dichiarava che, all'esito del sopralluogo eseguito il 13.3.2006, l'immobile presentava i seguenti elementi caratterizzanti estensione complessiva di 56 mq stato di conservazione e di finitura buoni impianti tecnologici in buono stato di conservazione, impianto di riscaldamento autonomo, presenza di impianto elettrico. Il professionista poi dichiarava che la planimetria catastale ad esso consegnata era conforme allo stato dei luoghi, per cui il cespite risultava vendibile . Precisava che l'immobile, essendo ubicato in zona centrale, era appetibile sul piano commerciale, potendo essere collocato agevolmente sul mercato in un breve periodo, ed idoneo all'utilizzo da parte di un nucleo familiare max di 2/3 persone . Pertanto, ipotizzando un prezzo di euro 2.200 al m/q, il PROFESSIONISTA stimava il valore del cespite in euro 123.200,00, indicando in euro 117.040,00 il valore dell'immobile da prendere a base dell'erogazione del credito. Peraltro, le valutazioni operate dal richiamato PROFESSIONISTA non sono il frutto di una diligente esecuzione dell'incarico professionale, ad esso assegnato dalla BANCA. Infatti, siccome il mutuatario si rendeva inadempiente all'obbligo del pagamento delle rate del mutuo, la BANCA iniziava una procedura di espropriazione forzata, finalizzata alla realizzazione coattiva del credito. Dalla copia degli atti relativi a detta procedura esecutiva numero omissis/07 RGE, prodotti in giudizio dalla BANCA, si ricava che l'esperto, arch. omissis, incaricato dal Tribunale di Napoli di procedere alla descrizione e stima del cespite, ai fini della vendita forzata del bene, nell'elaborato peritale trasmesso al Giudice dell'esecuzione, rassegnava conclusioni profondamenti discordanti rispetto a quelle esposte dal PROFESSIONISTA nella relazione dinanzi esaminata. Ed infatti, il CTU, nominato dal Giudice dell'esecuzione, attestava che l'unità immobiliare era costituita da un ambiente unico, all'interno del quale era stato ricavato un piccolo locale adibito a servizio igienico ed un angolo cottura, e nel quale la divisione, tra zona giorno e zona notte, era assicurata da una tenda l'immobile misurava appena 19,00 mq il servizio igienico non era munito di finestra, ne di impianto di aereazione forzata l'impianto termico era assente l'impianto elettrico non era a norma l'illuminazione interna era insufficiente lo stato di manutenzione e conservazione era mediocre per un uso abitativo l'accesso all'immobile avveniva direttamente dalla strada adiacente antistante all'accesso veniva rilevata la presenza di un terrazzino, sormontato da una tettoia in plastica, abusivo sotto il profilo urbanistico ed edilizio. In ordine alla conformità urbanistica, il CTU rilevava, altresì, che, sebbene l'immobile fosse stato adibito ad uso abitativo e come tale riportato in Catasto A/4 , non aveva i requisiti a tal à fine richiesti. Inoltre, quanto dichiarato nei titoli di provenienza, circa l'avvenuta presentazione, presso gli uffici comunali, di variazioni di destinazione d'uso, non rispondeva alla realtà, non 21 essendo mai stati presentati titoli abilitativi al Comune di Napoli. Ed ancora, l'arch. omissis evidenziava che, in ogni caso, mancavano i requisiti minimi per un cambio di destinazione d'uso da deposito ad abitativo e, soprattutto, la planimetria non corrispondeva allo stato di fatto in quanto la superficie indicata nella planimetria catastale era maggiore di quella effettivamente misurata pari, come detto, a 19 mq i tramezzi riportati non esistevano l'altezza indicata in atti, pari a 4,00 m, era superiore rispetto a quella rilevata 3,30 m non era presente nel servizio igienico la finestra indicata in planimetria la finestra indicata alla sinistra dell'ingresso non esisteva. Sulla scorta di tali premesse, il CTU assegnava al bene un valore euro 1.595,00 al mq e perveniva ad una valutazione complessiva dello stesso di curo 29.600,00. Ritiene il Giudicante che le risultanze dinanzi richiamate comprovino il grave inadempimento nel quale è incorso il PROFESSIONISTA. Questi, invero, ha rappresentato alla BANCA una situazione assolutamente difforme dall'effettiva condizione giuridica e fattuale del bene. Basti, in proposito, rilevare che l'odierno convenuto ha assegnato al cespite un'estensione complessiva di 56 mq, più che doppia rispetto a quella reale misurata dall'arch. omissis in soli 19 mq . Inoltre, il PROFESSIONISTA ha omesso di rilevare le palesi divergenze tra stato di fatto e raffigurazione planimetrica del cespite. Infine, non ha riferito alla BANCA che l'immobile era privo dei requisiti minimi per essere adibito ad uso abitativo. La difesa del convenuto ha obiettato che l'incarico professionale conferito dalla BANCA non richiedesse un livello di approfondimento paragonabile a quello impartito dal tribunale al ctu, arch. omissis, e che l'oggetto della prestazione consistesse esclusivamente nell'indicare alla banca un valore da porre a base del mutuo da concedere. L'assunto è privo di pregio. Non è dubbio che al PROFESSIONISTA la BANCA non richiedesse di compire tutte le approfondite verifiche, esigibili da un tecnico incaricato di stimare un immobile ai fini della vendita forzata. Tale ovvia considerazione, nondimeno, non esime l'odierno convenuto da responsabilità, a fronte della macroscopiche anomalie ravvisabili nella relazione da esso trasmessa alla BANCA. Infatti, la palese incongruenza nella misurazione del cespite, l'omesso riscontro delle evidenti divergenze, tra stato di fatto e situazione catastale dell'immobile, ed ancora il mancato riferimento all'assenza, in concreto, dei requisiti minimi per un utilizzo a fini abitativi, sono indici sintomatici di una condotta che ha disatteso anche il livello minimo di diligenza esigibile dal professionista di media preparazione ed attenzione. In altri termini, non era necessario compiere approfondite indagini presso gli uffici del catasto, per rendersi conto che si era presenza di un locale deposito adibito ad usi abitativi e, comunque, alcuna valida ragione spiega come sia possibile che il PROFESSIONISTA abbia assegnato all'immobile un'estensione così palesemente diversa per eccesso rispetto a quella reale. Ne, invero, è razionalmente giustificabile la divergenza che si riscontra, nella descrizione dello stato di conservazione del cespite, tra la relazione del PROFESSIONISTA ove la stessa è qualificata come buona e quella dell'arch. omissis in cui si parla chiaramente di uno stato di generale mediocrità . Anche ad ammettere che il PROFESSIONISTA non fosse tenuto ad effettuare indagini presso gli uffici comunali, al fine di accertare se realmente il precedente proprietario del bene avesse presentato una denuncia di variazione di destinazione d'uso, il professionista possedeva o avrebbe dovuto possedere le cognizioni tecniche e l'esperienza sufficienti per verificare, ictu oculi, che quello da esso esaminato era un cespite privo dei requisiti minimi di abitabilità. Né, invero, è seriamente sostenibile che il PROFESSIONISTA fosse vincolato, nelle risposte, dalla necessità di impiegare un modello di relazione predisposto dalla BANCA, nel quale gli era chiesto solo di riempire alcuni spazi preventivamente lasciati vuoti. Pur ad ammettere che tanto sia vero, nulla impediva al PROFESSIONISTA di riportare nella sua valutazione l'esatta misura del bene e di evidenziare alla BANCA che la situazione di fatto del cespite non corrispondeva a quella raffigurata in catasto. Del resto, il PROFESSIONISTA nella sua relazione dichiarava che quanto da esso esposto emergeva dalla documentazione consegnatagli dalla BANCA e da una visura catastale acquisita presso l'Agenzia del Territorio di Napoli. Quanto appena osservato, induce a ritenere che, per un verso, lo stesso abbia quantomeno esaminato la planimetria catastale del bene, e, per l'altro, che, essendosi recato al catasto, ben poteva effettuare verifiche tese ad accertare se realmente vi fosse stato il cambio di destinazione d'uso e se di esso ricossero i presupposti. Peraltro, il PROFESSIONISTA, nella comparsa di costituzione, mostrava di essere ben consapevole che la destinazione d'uso dell'immobile era stata oggetto di significative variazioni da autorimessa a deposito ed, infine, ad abitativa , ma, nondimeno, non chiariva la ragione per la quale nessuna indicazione aveva al riguardo fornito alla banca nella sua relazione. Inoltre, il convenuto non spiegava sulla base di quali considerazioni, nonostante l'effettiva condizione manutentiva e di modesto pregio del cespite, potesse avergli assegnato un valore pari addirittura al massimo di quelli che, all'epoca cui risale la stima, egli aveva riscontrato da un'indagine di mercato si consideri al riguardo, che lo stesso PROFESSIONISTA riportava valori oscillanti da un minimo di euro 1.880 ad un massimo di euro 2.200,00 al mq e, tuttavia, riteneva di poter assegnare al cespite tale ultimo valore, come se fosse stato al cospetto di un normale appartamento . Ciò posto, alcun dubbio residua in ordine al fatto che, sulla scorta delle argomentazioni dinanzi svolte, risulti nella specie integrata la prova del grave inadempimento del convenuto. Ed infatti, è pacifico, siccome ammesso dallo stesso PROFESSIONISTA, che la valutazione da esso compiuta fosse finalizzata a fornire alla banca un parametro di riferimento, al quale commisurare l'erogazione del finanziamento. In senso conforme, del resto, il teste omissis, dipendente della BANCA odierna attrice, escusso in corso di causa, riferiva che l'incarico conferito al PROFESSIONISTA serviva per valutare l'idoneità dell'immobile, al fine di poter iscrivere su di esso garanzia reale in relazione al finanziamento da accordare. Ne segue che, essendosi la stima rivelata del tutto disancorata dalla reale condizione del bene, il PROFESSIONISTA abbia palesemente disatteso l'obbligazione su di esso gravante. Può a questo punto procedersi all'esame del quantum debeatur. La BANCA invoca il risarcimento del pregiudizio che ha sofferto in conseguenza dell'inadempimento del convenuto. A fondamento della pretesa, la stessa rileva che il CTU, incaricato dal Giudice dell'esecuzione, stimava il bene in misura sensibilmente inferiore rispetto a quella, riportata nella perizia redatta dal PROFESSIONISTA e posta a base dell'iscrizione ipotecaria. La domanda è fondata, essendo ravvisabile il nesso di derivazione causale tra l'accertato inadempimento ed il danno. Non è infatti revocabile in dubbio che la condotta inadempiente del convenuto abbia indotto la banca ad assumere una decisione l'erogazione del mutuo che la stessa o non avrebbe adottato o avrebbe assunto a condizioni meno svantaggiose. Infatti, se il PROFESSIONISTA avesse correttamente stimato e descritto il bene, è altamente probabile per non dire certo che la banca non avrebbe concesso al mutuatario un finanziamento di 90 mila euro, ma che, ove pure si fosse determinata ad accordare il prestito, lo avrebbe contenuto nei limiti del reale valore del bene. Nel caso di specie, quindi, il danno deve essere ravvisato nella perdita economica, che la banca ha sofferto per avere erogato il mutuo o, quantomeno, per averlo fatto a condizioni per essa più onerose di quelle cui, con ogni probabilità, avrebbe dato seguito, sulla scorta di una fedele rappresentazione del valore del bene. Pertanto, considerato che, come emerge pacificamente dagli atti di causa, il CTU, nominato dal Giudice dell'esecuzione, ha stimato il bene in complessivi euro 29.600,00, deve ragionevolmente affermarsi che la BANCA, a fronte di una descrizione attendibile del cespite, avrebbe reputato eccessivamente rischiosa la concessione del prestito, stimando come di difficile realizzazione un recupero coattivo del credito. In ogni caso, non può, comunque, fondatamente negarsi che la banca avrebbe concesso il prestito in una misura sensibilmente inferiore rispetto a quella in concreto erogata. E', cioè, ragionevole supporre che l'intermediario, ove pure si fosse determinato ad accordare il mutuo, avrebbe liquidato una somma non superiore al valore stimato dal CTU e, quindi, verosimilmente contenuta nei limiti di euro 30.000,00. Ciò posto, il Tribunale ritiene di dover escludere che il danno vada quantificato, assumendo come più probabile lo scenario meno favorevole per il convenuto, nel quale, cioè, ipotizzandosi che la banca, sulla scorta di una relazione fedele e corretta, non avrebbe mai erogato il prestito, il danno dovrebbe quantificarsi in misura esattamente equivalente all'ammontare del mutuo erogato, previa detrazione di quanto eventualmente riscosso dall'intermediario in sede di vendita forzata. Viceversa, accedendo alla soluzione meno grave per il convenuto, che consiste nel ritenere verosimile, sulla scorta di una fedele descrizione del cespite da parte del PROFESSIONISTA, la concessione del prestito ad opera della BANCA, ovviamente a condizioni diverse da quelle in concreto prodottesi, il danno può quantificarsi detraendo, dall'ammontare del mutuo, il valore reale del bene, come stimato dall'arch. omissis tale, essendo, in linea di principio, l'equivalente in denaro della garanzia, che la banca si precostituiva iscrivendo l'ipoteca sul bene . La differenza tra detti valori, infatti, rappresenta la perdita in termini economici subita dalla banca, perché può, con elevato grado di probabilità, presumersi che la banca avrebbe accordato al mutuatario un prestito, non già di 90 mila euro, ma di importo non superiore ad euro 29.600,00. Del resto, a conforto di tale conclusione, occorre invocare quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in relazione alla casualità omissiva, la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l'efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale. Questo accertamento a contrario o controfattuale si deve svolgere in base al principio della cd. preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non cfr. ex multis, Cass. Civ. numero 20996/12 . Peraltro, dall'importo dinanzi quantificato, pari ad euro 60.400,00, deve essere ulteriormente detratta la somma di euro 22.400,00, che, come emerge dagli atti di causa, la BANCA ha effettivamente riscosso in sede di esecuzione forzata. Tanto, invero si impone al fine di evitare ingiustificate locupletazioni da parte dell'attrice, pur sempre ricollegabili alla condotta inadempiente del convenuto. Di conseguenza, il pregiudizio sofferto, in relazione alla vicenda di cui al capo in esame, viene a determinarsi in complessivi euro 38.000,00. L'importo appena liquidato, costituendo debito di valore, va, poi, maggiorato del cd. lucro cessante, consistente nel pregiudizio subito dal danneggiato per la ritardata corresponsione di quanto ad esso dovuto a titolo risarcitorio. La quantificazione del danno anzidetto può essere operata, alla stregua dell'autorevole insegnamento delle sezioni unite della Suprema Corte cfr. diffusamente, sent. 17 febbraio 1995 numero 1712 , mediante l'attribuzione degli interessi al tasso legale, sulla somma liquidata come equivalente pecuniario del bene danneggiato, devalutata al momento della costituzione in mora del convenuto, venendo nella specie in rilievo un danno da inadempimento contrattuale. In applicazione dei sopra richiamati principi, quindi, a titolo di risarcimento per il cd. lucro cessante, compete alla parte attrice l'importo di euro 4.364,05, calcolato mediante l'applicazione degli interessi legali su euro 34.766,70, somma costituente, a sua volta, l'equivalente monetario del danno, devalutato al mese di febbraio 2009, cui risale la lettere di costituzione in mora inoltrata dalla BANCA al PROFESSIONISTA e rivalutata anno per anno per euro 3.233,30. In definitiva, quindi, sommando la sorta capitale rivalutata ed il danno da svalutazione, PROFESSIONISTA deve essere condannato a pagare, in favore della BANCA, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento posto in essere nell'ambito della pratica afferente l'erogazione del mutuo in favore di D. V., l'importo di euro 42.364,05, oltre agli interessi legali dalla data della presente pronuncia al soddisfo. § 2. LA DOMANDA PROPOSTA DALLA BANCA, RELATIVA ALLA PRESTAZIONE PROFESSIONALE RESA DAL PROFESSIONISTA RELATIVAMENTE AL MUTUO ACCORDATO A M. P. E R. A Analogamente a quanto dinanzi osservato, occorre rilevare come sia pacifico che l'odierna attrice incaricasse il PROFESSIONISTA di procedere ad una relazione tecnico estimativa, avente ad oggetto l'immobile sito in Napoli, omissis. Tale valutazione era finalizzata ad individuare il valore del cespite, affinché su di esso la BANCA potesse iscrivere ipoteca, a garanzia del mutuo da accordare agli acquirenti dello stesso, M. P. e R. A Vi è in atti copia della relazione a firma dell'odierno convenuto dal medesimo redatta il 12.7.2006. Inoltre, pur non avendone parte attrice prodotto in atti una copia, è pacifico che, sulla scorta della citata relazione, la BANCA abbia erogato a M. P. e R.A. un mutuo di euro 180 mila, garantito da ipoteca volontaria, iscritta sul cespite anzidetto per la somma di euro 360 mila. Tanto, invero, può ritenersi provato, in difetto di contestazioni sul punto, da parte del PROFESSIONISTA, ed alla luce della CTU redatta dall'arch. omissis, nominata dal Giudice dell'esecuzione di questo Tribunale, nell'ambito della procedura numero omissis/08 RGE, avente ad oggetto l'espropriazione forzata instaurata a carico dei citati mutuatari, resisi inadempienti nella restituzione del prestito cfr. copia della citata relazione in allegato alla produzione della parte attrice . Ciò posto, dalle risultanze in atti, si ricava che, anche nel caso di specie, la relazione estimativa predisposta dal PROFESSIONISTA non contenga una rappresentazione fedele delle reali condizioni e dell'effettivo valore di mercato del bene, all'epoca cui la stessa risale. Al riguardo basti considerare che, secondo l'odierno convenuto, il cespite di cui si discorre aveva una superficie commerciale di 74,7 mq era caratterizzato da uno stato di conservazione normale e di finitura buono presentava uno stato di fatto conforme a quello rappresentato nella planimetria catastale ad esso poteva riconoscersi un valore di euro 3.150,00 al mq e, quindi, un presumibile valore di mercato di complessivi euro 235.305,00, corrispondente ad un valore di euro 230.598,80, da prendere a base dell'erogazione del credito. Orbene, gli esiti delle verifiche effettuate dall'arch. omissis, CTU del Giudice dell'esecuzione, comprovano la palese incongruenza, rispetto alla reale situazione di fatto, della stima e dei giudizi espressi dal convenuto, nella relazione dallo stesso predisposta su incarico della BANCA. Ed infatti, il citato CTU attestava che il cespite aveva un'estensione commerciale di soli 46,00 mq, presentava uno stato di conservazione pessimo, la totale assenza di finiture, un impianto elettrico non a norma, una situazione di fatto non corrispondente alla planimetria catastale, essendo stata variata la disposizione interna degli ambienti. Pertanto, secondo l'anzidetto ausiliare, all'immobile poteva attribuirsi un valore di mercato pari a 100.000.00. In ragione di quanto osservato, può, pertanto, ritenersi provato che, anche rispetto al cespite in questione, il PROFESSIONISTA nella sua relazione, abbia proceduto ad una palese sovrastima, avendo riportato un'estensione sensibilmente maggiore di quella reale 74,7 mq a fronte di soli 46,00 mq rilevati dall'arch. omissis , erroneamente attestato la presenza di finiture buone e di condizioni manutentive normali laddove il cespite risulta assolutamente carente di finiture ed in pessimo stato di manutenzione , omesso di rilevare le modifiche apportate al bene, rispetto alla rappresentazione planimetrica dello stesso, riconosciuto all'immobile un presumibile valore di mercato sostanzialmente doppio rispetto a quello reale euro 235.305,00 a fronte di euro 100.000,00 . Ciò posto, è, in risposta alle difese del convenuto, sufficiente richiamare le considerazioni svolte sub. 1, attesa la perfetta identità delle argomentazioni utilizzate dal PROFESSIONISTA in tutti i giudizi riuniti. Peraltro, con riguardo al profilo dell'incidenza che il decorso del tempo ha avuto rispetto alle condizioni di manutenzione ed alla stima del bene, occorre soggiungere quanto segue. In merito alle condizioni di manutenzione, non è, invero, sostenibile che il tempo, intercorso tra la relazione del PROFESSIONISTA e quella dell'arch. omissis, possa da solo giustificare una cosi palese differenza di giudizi. Sul punto è sufficiente osservare che la stima del convenuto risale al luglio 2006 e che l'arch. omissis ha depositato la propria relazione nell'ottobre del 2009 e, quindi, a distanza di appena tre anni. Orbene, l'esiguità del lasso temporale in esame, non consente di ascrivere esclusivamente a tale fattore il degrado dell'immobile, quale descritto dal CTU omissis. Se ne deve per forza di cose logicamente inferire che il PROFESSIONISTA non abbia, come nel caso esaminato sub. 1 di questa sentenza, rappresentato alla banca le reali condizioni di manutenzione del bene. Con riferimento all'incidenza che il crollo dei valori immobiliari, notoriamente prodottosi sul mercato dopo il 2008, deve rivestire rispetto alla fattispecie in esame, il Tribunale rileva che, nella specie, il PROFESSIONISTA risponde per avere esposto alla banca una stima fondata su presupposti di fatto inesistenti. In sostanza, al convenuto non viene addebitato di avere in maniera negligente sovrastimato il bene, rispetto ai valori di mercato esistenti all'epoca della sua relazione, ma di avere fornito una rappresentazione assolutamente non veritiera, siccome basata su elementi non esistenti nella realtà cioè, che l'immobile misurasse 74,7 mq e presentasse condizioni di conservazione normale ed un grado di finitura buono . Orbene, al cospetto di una situazione di tal fatta, il crollo del mercato immobiliare è un fattore che non fa in alcun modo venir meno la rilevanza, sul piano causale, dell'inadempimento nel quale è incorso il PROFESSIONISTA rispetto al danno patito dalla BANCA. In forza delle esposte argomentazioni sussiste certamente la responsabilità del convenuto, essendosi lo stesso reso inadempiente rispetto all'obbligazione assunta, consistente, giova ribadire, nel fornire alla BANCA una rappresentazione attendibile del valore del bene, da porre a fondamento dell'erogazione del finanziamento. Venendo ad esaminare il profilo del quantum, richiamando quanto detto sub. 1, può assumersi quale parametro di riferimento, da cui prendere le mosse, la differenza tra l'ammontare del mutuo erogato e la stima del bene, effettuata dall'arch. omissis. Di conseguenza, quale base di riferimento per la valutazione del pregiudizio, può ragionevolmente considerarsi l'importo di curo 80.000,00. Peraltro, dall'importo appena quantificato, deve essere detratta la somma di euro 31.641,00, che, come emerge dagli atti, la BANCA ha effettivamente riscosso in sede di esecuzione forzata cfr. documentazione, prodotta dalla banca unitamente alla comparsa conclusionale, attestante l'avvenuta aggiudicazione, avvenuta in data 23.6.2016, del cespite al prezzo dinanzi indicato, da ritenere utilizzabile ai fini della decisione, siccome formatasi in epoca successiva al maturare delle preclusioni istruttorie . Di conseguenza, il pregiudizio sofferto, in relazione alla vicenda di cui al capo in esame, viene a determinarsi in complessivi curo 48.359,00. In applicazione dei medesimi principi richiamati sub. 1, all'attrice compete anche il danno da ritardo, che deve essere liquidato nella misura di curo 4.420,79, calcolato mediante l'applicazione degli interessi legali su curo 44.652,82, somma costituente, a sua volta, l'equivalente monetario del danno, devalutato al mese di dicembre 2009, cui risale la lettere di costituzione in mora inoltrata dalla banca al PROFESSIONISTA e rivalutata anno per anno per euro 3.706,18. In definitiva, quindi, sommando la sorta capitale rivalutata ed il danno da svalutazione, PROFESSIONISTA deve essere condannato a pagare, in favore della BANCA, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento posto in essere nell'ambito della pratica afferente l'erogazione del mutuo in favore di M. P. e R.A., l'importo di curo 52.779,79, oltre agli interessi legali dalla data della presente pronuncia al soddisfo. § 3. LA DOMANDA PROPOSTA DALLA BANCA RELATIVA ALLA PRESTAZIONE PROFESSIONALE RESA DAL PROFESSIONISTA NELL'AMBITO DELL'EROGAZIONE DEL MUTUO ACCORDATO A P. G. E F. A Analogamente a quanto dinanzi osservato sub. mi. 1 e 2, occorre rilevare come sia pacifico che l'odierna attrice incaricasse PROFESSIONISTA di procedere ad una relazione tecnico estimativa, avente ad oggetto l'immobile sito in Napoli, via omissis. Vi è in atti copia della relazione a firma dell'odierno convenuto, dal medesimo redatta il 9.5.2006. E', inoltre, provato per tabulas che la BANCA, in data 18.5.2006, abbia effettivamente erogato a P.G. e F. A., acquirenti del bene dinanzi indicato, un mutuo dell'importo di euro 220.000,00, garantito mediante la concessione, da parte dei mutuatari, di ipoteca volontaria di primo grado, a favore dell'odierna attrice, dell'importo di euro 440.000,00, per assicurare la restituzione del capitale mutuato, degli interessi e delle spese connesse al citato finanziamento. Risulta, infine, dagli atti che siffatta ipoteca sia stata iscritta sul cespite, per il valore indicato nell'atto notarile di concessione del mutuo cfr. documentazione allegata alla produzione dell'avv. omissis, procuratore costituito della BANCA nel giudizio numero omissis/2011 RG . Ciò posto, dalle risultanze in atti, si ricava che la relazione estimativa predisposta dal PROFESSIONISTA sia palesemente difforme dallo stato dì fatto e dalla stessa condizione giuridica del bene immobile, oggetto dell'anzidetta iscrizione ipotecaria. Ed invero, nella relazione da esso redatta su incarico della BANCA, l'odierno convenuto dichiarava che, all'esito del sopralluogo eseguito 18.5.2006, l'immobile presentava i seguenti elementi caratterizzanti un'estensione complessiva di 101,4 mq uno stato di conservazione e di finitura buono impianti tecnologici in buono stato di conservazione, presenza di impianto elettrico. Il PROFESSIONISTA poi dichiarava che la planimetria catastale ad esso consegnata era conforme allo stato dei luoghi, per cui il cespite risultava vendibile . Precisava che l'immobile, essendo ubicato in zona semicentrale, era appetibile sul piano commerciale, potendo essere collocato agevolmente sul mercato in un breve periodo, ed idoneo all'utilizzo da parte di un nucleo familiare max di 2/3 persone . Pertanto, ipotizzando un prezzo di euro 2.800 al rn/q, PROFESSIONISTA stimava il valore del cespite in euro 283.920,00, indicando in euro 278.241,60 il valore dell'immobile da prendere a base dell'erogazione del credito. Peraltro, le valutazioni operate dal richiamato professionista non sono il frutto di una diligente esecuzione dell'incarico professionale, ad esso assegnato dalla BANCA. Dalla copia degli atti relativi alla procedura esecutiva numero omissis/10 RGE, instaurata dall'odierna attrice a seguito dell'inadempimento dei mutuatari, prodotti in giudizio dalla banca, si ricava che l'esperto, geom. omissis, incaricato dal Tribunale di Napoli di procedere alla descrizione e stima del cespite, ai fini della vendita forzata del bene, nell'elaborato peritale trasmesso al Giudice dell'esecuzione, rassegnava conclusioni profondamenti discordanti, rispetto a quelle esposte dal PROFESSIONISTA nella relazione dinanzi esaminata. Ed infatti, il CTU, nominato dal Giudice dell'esecuzione, attestava che il bene aveva un'estensione di appena 52 mq, versava in mediocri condizioni di manutenzione e che, nel corso del tempo, esso, in origine composto da due distinte unità, veniva di fatto accorpato in un solo immobile, senza che, a tal fine, fosse stato richiesto alcun titolo abilitativo. Pertanto, secondo l'anzidetto ausiliare, all'immobile poteva attribuirsi un valore di mercato pari a curo 101.000,00, al netto del costo degli interventi occorrenti ad eliminare gli abusi in esso presenti che, ancora una volta, l'odierno convenuto non aveva nemmeno menzionato nel suo elaborato . In ragione di quanto osservato, può, pertanto, ritenersi provato che, anche rispetto al cespite in questione, il PROFESSIONISTA, nella sua relazione, abbia proceduto ad una palese sovrastima, avendo riportato un'estensione sensibilmente maggiore di quella reale 101,4 mq a fronte di soli 52,00 mq rilevati dal geom. omissis ed erroneamente attestato la presenza di finiture buone e di condizioni manutentive buone laddove il cespite presenta, secondo quanto appurato dal geom. omissis, impianti tecnologici non a norma ed uno stato mediocre sia delle finiture che della manutenzione . Ciò posto, con riguardo alle difese del convenuto, è sufficiente richiamare le considerazioni svolte sub. 1 e 2, attesa la perfetta identità delle argomentazioni utilizzate dal PROFESSIONISTA in tutti i giudizi riuniti. Peraltro, nell'individuare il valore reale del cespite, al quale ancorare la stima del danno, il Tribunale ritiene di considerare l'importo di curo 101.000,00, indicato dal geom. omissis nella relazione dinanzi richiamata, senza invece valorizzare, a tal fine, la riduzione che il medesimo consulente ha applicato, per renderne più appetibile l'aggiudicazione in sede di vendita forzata valutazione che ha condotto l'ausiliare a stimare il bene in curo 85.000,00 . Si tratta, infatti, di una riduzione di valore che non può essere addossata, in termini economici, a PROFESSIONISTA, essendo, come dinanzi già esposto, riconducibile all'attuale stato di prolungata crisi del mercato immobiliare, sopravvenuta rispetto alla stima redatta dal convenuto. Pertanto, applicando i medesimi criteri già esposti sub. nnumero 1 e 2, il danno patito dalla banca può determinarsi detraendo, dal totale del mutuo accordato, il valore del cespite come stimato dal geom. omissis, onde esso ascende alla misura di euro 119.000,00 somma così ottenuta euro 220.000,00 curo 101.000,00 . Come sopra detto, peraltro, il PROFESSIONISTA non deve risentire, siccome non è ad esso imputabile, dell'esito negativo che per la BANCA ha, sino ad oggi, fatto registrare la procedura espropriativa dalla medesima instaurata, nei confronti dei mutuatari inadempienti, nell'ambito della quale, come emerge dagli atti, le vendite forzate sono al momento andate deserte. Si tratta, infatti, di una conseguenza che è in parte ascrivibile alla grave ed avversa congiuntura, che notoriamente affligge, nell'attuale momento storico, il sistema economico. Ciò chiarito, non può, peraltro, convenirsi con le difese, svolte sul punto dal convenuto e dalla chiamata in causa, intese a sostenere l'assunto che la mancata vendita del bene, in sede di espropriazione forzata, dimostri di per se l'insussistenza del danno. Al contrario, la circostanza che il bene non sia stato ancora venduto accresce il danno, poiché la banca, oltre al pregiudizio sofferto per avere dovuto erogare un mutuo, che con ogni probabilità non avrebbe giammai concesso alle condizioni dinanzi richiamate, patisce l'ulteriore pregiudizio di non riuscire nemmeno in parte a recuperare il proprio credito. Ciò posto, siccome è verosimile che, nel corso della procedura esecutiva, il bene possa comunque essere venduto, tale eventualità va necessariamente considerata nella valutazione del danno. Diversamente, infatti, la BANCA potrebbe trarre un indebito vantaggio, poiché lucrerebbe, oltre al risarcimento liquidatole, anche quanto riscosso in sede esecutiva. Pertanto, ipotizzando che, data la contraria congiuntura economica, la vendita forzata del bene consentirà di realizzare un importo pari ad curo 63,750,00 che rappresenta il valore di più probabile realizzo, indicato dai geometra omissis nell'elaborato peritale dinanzi richiamato, ridotto di un ulteriore 25%, da considerare per tenere conto degli esiti sino ad oggi infruttuosi dei tentativi esperiti , e detraendo detto importo da quello pari ad curo 119.000,00 , dinanzi liquidato, il pregiudizio si riduce a complessivi curo 55.250,00. In applicazione dei medesimi principi richiamati sub. 1, all'attrice compete anche il danno da ritardo, che deve essere liquidato nella misura di curo 4.360,73, calcolato mediante l'applicazione degli interessi legali su curo 52.369,67, somma costituente, a sua volta, l'equivalente monetario del danno, devalutato al mese di febbraio 2011, cui risale la lettere di costituzione in mora inoltrata dalla banca al PROFESSIONISTA, e rivalutata anno per anno per curo 2.880,33. In definitiva, quindi, sommando la sorta capitale rivalutata ed il danno da svalutazione, PROFESSIONISTA deve essere condannato a pagare, in favore della BANCA, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento posto in essere nell'ambito della pratica afferente l'erogazione del mutuo in favore di P. G. e F. A., l'importo di curo 59.610,73, oltre agli interessi legali dalla data della presente pronuncia al soddisfo. § 4. LA DOMANDA DI MANLEVA PROPOSTA DAL CONVENUTO NEI CONFRONTI DELLA CHIAMATA IN CAUSA. La domanda non è fondata. Invero, parte convenuta ha chiesto che SOCIETA' DI ASSICURAZIONE, lo tenga indenne di quanto da esso dovuto all'attrice, in ragione dei titoli di responsabilità sui quali si fonda il presente giudizio, ed ha, a tal fine, invocato la polizza a copertura dei rischi connessi all'esercizio della sua attività professionale, da esso stipulata con l'anzidetta compagnia. Ciò posto, il Tribunale rileva preliminarmente che, sulla scorta della documentazione prodotta dal convenuto, la stipulazione e la vigenza della polizza in esame possano ritenersi provate, dovendosi disattendere, siccome genericamente formulate, le avverse contestazioni sollevate al riguardo dalla chiamata in causa si vedano al riguardo le copie della polizza, identificata dal numero omissis, e delle quietanze di pagamento del premio, allegate alla produzione del PROFESSIONISTA . Tanto chiarito, deve poi rilevarsi che, a mente dell'art. 4 delle condizioni generali del contratto in esame, pure allegate alla produzione del PROFESSIONISTA nonché a quella della compagnia , la copertura assicurativa riguarda, tra le altre, le prestazioni rese dall'assicurato, che consistano in dichiarazioni e/o relazioni, stime e valutazioni in genere . Tuttavia, secondo quanto prevede la lettera A del medesimo art. 4 cfr. pag. 9 delle condizioni in esame , la compagnia è tenuta ad indennizzare l'assicurato dei danni che questi, nell'esercizio della sopra descritta prestazione professionale, abbia involontariamente cagionato a terzi. Secondo il chiaro tenore della pattuizione in esame, quindi, la garanzia non opera se il danno è conseguenza di una condotta dolosa dell'assicurato. Orbene, come puntualmente eccepito dalla difesa di SOCIETA' DI ASSICURAZIONE, nella specie, deve escludersi che i danni, subiti dall'attrice, siano ricollegabili ad una condotta meramente colposa del PROFESSIONISTA. Infatti, le anomalie delle relazioni estimative, di cui si è dinanzi ampiamente detto, si rivelano sintomatiche di una condotta che l'odierno convenuto ha posto in essere in maniera assolutamente consapevole. Invero, non è sostenibile che il PROFESSIONISTA, in ben tre occasioni diverse, abbia, per mera disattenzione, potuto così macroscopicamente errare, nel rilevare le dimensioni degli immobili, ovvero fornire notizie, sulle condizioni giuridiche e fattuali dei cespiti, così platealmente difformi dallo stato reale dei beni. In altri termini il ripetersi della condotta che si è verificata in ben tre casi distinti , l'evidenza della divergenze, esistenti tra la stima operata e le reali condizioni e dimensioni dei beni, la stessa inconsistenza delle giustificazioni addotte dal convenuto, sono elementi che, nel loro insieme, inducono, con ragionevole certezza, ad affermare il carattere assolutamente consapevole di tali gravi inadempienze. Del resto, se si considera che il, PROFESSIONISTA all'epoca cui risalgono gli eventi di causa, era un professionista di comprovata esperienza tanto da indurre un istituto di credito di dimensioni nazionali, quale è l'odierna attrice, ad affidargli, come da lui stesso affermato, la stima di un numero assai rilevante di immobili , è assolutamente inverosimile che il medesimo, in tre pratiche diverse, possa essere, all'atto della redazione delle perizie, incorso, per mera disattenzione o negligenza, nelle macroscopiche alterazioni della realtà, di cui si è dato in precedenza conto. Deve quindi concludersi nel senso che la polizza assicurativa invocata dal PROFESSIONISTA non possa operare, rispetto ai danni per cui è causa, poiché questi derivano da condotte che si connotano in termini di dolo e non di semplice colpa. § 5. IL GOVERNO DELLE SPESE PROCESSUALI. Deve farsi applicazione del principio della soccombenza, tanto nel rapporto tra l'attrice ed il convenuto, quanto in quello tra quest'ultimo e la chiamata in causa. Pertanto, il PROFESSIONISTA deve rifondere le spese di lite ad entrambe le controparti. La liquidazione dei compensi viene operata, come in dispositivo, a norma del D.M. 55/14, considerando, ai fini del valore della causa, l'ammontare complessivo del risarcimento spettante all'attrice pari in totale ad euro 157.754,57 . Va operato l'aumento, rispetto ai compensi medi, nella misura del 20%, versandosi nell'ipotesi di più cause riunite, ai sensi dell'art. 4 co. 2 del medesimo DM. Relativamente alla parte attrice, che risulta essere stata difesa da due diversi professionisti, si deve comunque procedere ad una liquidazione unitaria, giusta il disposto di cui all'art. 8 co. 1 del citato DIA. P.Q.M. Il Tribunale di Napoli, 2 SEZIONE civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, cosi provvede 1 dichiara PROFESSIONISTA responsabile dei danni subiti dalla parte attrice e, per l'effetto, in accoglimento per quanto di ragione della domanda, condanna il convenuto a pagare, in favore della BANCA i seguenti importi euro 42.364,05 per la vicenda di cui al paragrafo 1 della parte motiva, euro 52.779,79 per la vicenda di cui al paragrafo 2 della parte motiva, curo 59.610,73 per la vicenda di cui al paragrafo 3 della parte motiva, oltre, su ciascuno dei predetti importi, gli interessi legali dalla data della presente pronuncia al soddisfo 2 rigetta la domanda di manleva proposta da PROFESSIONISTA nei confronti di SOCIETA' DI ASSICURAZIONE 3 condanna PROFESSIONISTA alla rifusione, in favore della BANCA, delle spese processuali, che liquida in curo 1.586,5 per esborsi, euro 16.116,00 per compenso, curo 2.417,40 per spese generali, oltre Iva e CPA come per legge 4 condanna PROFESSIONISTA alla rifusione, in favore di SOCIETA' DI ASSICURAZIONE delle spese processuali, che liquida in euro 16.116,00 per compenso, euro 2.417,40 per spese generali, oltre Iva e CPA come per legge.