E’ possibile configurare una “responsabilità da legiferazione”? Il caso della Regione Marche

Se un provvedimento legislativo, poi dichiarato incostituzionale, crea detrimento ad un’impresa, è responsabile l’organo che l’ha emanato? Si applicano gli stessi schemi che portano alla responsabilità degli Stati membri nei confronti dell’Unione europea nei casi di mancata o inesatta trasposizione di direttive ? Oppure si deve ragionare in modo diverso, se si tratta di provvedimenti provenienti dallo stesso ordinamento nazionale?

A queste domande ha risposto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23730/16 depositata il 22 novembre. Il caso. L’amministrazione fallimentare di una società, che si occupava di installazione e collaudo di apparecchi di telefonia fissa e mobile, conveniva in giudizio la Regione Marche, affinché ne fosse accertata la responsabilità ex art. 2043 c.c. per l’emanazione di una legge regionale dettata in materia di impianti fissi di radiocomunicazione con finalità di tutela ambientale e sanitaria della popolazione . Il fatto che, successivamente, quella stessa legge sia stata dichiarata incostituzionale rappresentava per l’attore il fondamento della responsabilità per attività legislativa , la cui configurabilità era prontamente contestata dalla Regione, che non riteneva di aver contribuito colpevolmente al repentino arresto dell’attività produttiva lamentato dalla società. La Corte di appello rilevava, in senso ostativo, che mancasse un diritto tutelabile in capo ai soggetti e, al contempo, la scusabilità dell’errore di diritto in cui era incorsa la Regione . Una responsabilità aquiliana da attività legislativa? L’amministrazione fallimentare ricorre per cassazione, la Regione Marche resiste con controricorso. Nonostante il totale di 7 motivi presentati e ben circostanziati, la Corte di Cassazione ritiene di dover partire dalla questione fondamentale è possibile configurare una responsabilità dell’ente Regione per l’adozione, da parte della propria assemblea competente, di una legge regionale contenente alcune norme successivamente dichiarate incostituzionali ? Già nella seconda sentenza di merito, il giudice aveva cercato di chiarire se la fattispecie potesse essere sussumibile nel medesimo schema ricostruttivo della violazione, da parte del legislatore statale, dei vincoli derivanti dall’ordinamento sovranazionale comunitario . Non potendosi escludere la responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, né la conseguente previsione risarcitoria che ne deriva, i casi sembravano poter essere completamente sovrapponibili. Ma la Suprema Corte non condivide tale tesi. La distinzione tra diritto comunitario e nazionale. Un precedente orientamento minoritario delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione escludeva – come appunto deve escludersi – che dalle norme dell’ordinamento comunitario possa farsi derivare, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo del singolo all’esercizio del potere legislativo – che è libero nei fini e sottratto perciò a qualsiasi sindacato giurisdizionale – e che possa comunque qualificarsi in termini di illecito ex art. 2043 c.c La differenza risiede nel fatto che nel diritto comunitario l’inesatta azione ovvero l’omissione legislativa sono un fatto antigiuridico, mentre tali non sono per l’ordinamento nazionale, in cui è approntata solo la tutela data dal giudizio di costituzionalità, per le norme legislative ad esso soggette . Per quanto riguarda il caso di specie, invece, la mancanza di distinzione tra ordinamenti e la libertà della funzione politica legislativa, garantita dalla Costituzione, non rende possibile ravvisare un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, e arrivare a fondare il diritto al suo risarcimento . Per questo motivo la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 ottobre – 22 novembre 2016, n. 23730 Presidente / Relatore Di Amato Fatto L’amministrazione fallimentare della società [] s.r.l. conveniva in giudizio, davanti al tribunale di Ancona, la regione Marche chiedendo che ne fosse accertata la responsabilità, ex articolo 2043, c.c., per l’emanazione della legge regionale n. 25 del 2011, dettata in materia di impianti fissi di radiocomunicazione con finalità di tutela ambientale e sanitaria della popolazione, successivamente dichiarata incostituzionale con sentenza n. 307 del 2003 della Consulta, in particolare agli artt. 3, commi 4 e 6, e 7 comma 3. Esponeva di essere stata una florida azienda di riferimento per attività di installazione e collaudo di apparecchi di telefonia fissa e mobile, e di aver subito, a causa delle norme restrittive poi caducate, un repentino arresto dell’attività produttiva, con conseguente perdita di commesse e rilevanti pregiudizi economici. All’esito della costituzione della regione Marche, che contestava la configurabilità di una responsabilità per attività legislativa in uno alla sussistenza del nesso causale prospettato, il tribunale accoglieva la domanda. La corte di appello di Ancona, investita del gravame di merito, principale e incidentale in ordine alla quantificazione del danno, riformava la decisione di prime cure pur confermando la sussistenza di una responsabilità dell’ente regionale ad instar di quella dello Stato per mancata o inesatta trasposizione di direttive dell’Unione Europea. Rilevava, in senso ostativo la mancanza di un diritto tutelabile essendo, la normativa in parola, diretta a regolare l’attività di compagnie telefoniche e non quella di costruzione dei relativi impianti il difetto di caratterizzazione, per carenza di chiarezza, della norma statale sovraordinata, violata dal legislatore regionale la scusabilità dell’errore di diritto in cui era incorsa la regione alla luce della circostanza che diversi enti territoriali avevano ritenuto possibile dettare prescrizioni più restrittive di quelle poste a livello statale, e tenuto conto, infine, della finalità, perseguita, di salvaguardia del diritto alla salute. Ricorre il fallimento della [] proponendo sei motivi. Resiste con controricorso la regione Marche che interpone altresì un motivo di ricorso incidentale. Motivi 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza ex articolo 360, n. 4, c.p.c., o in subordine la violazione o falsa applicazione dell’articolo 132, n. 4, c.p.c., per omessa qualificazione della fattispecie, non risultando indicato se la responsabilità sia stata ritenuta, sia pure in astratto, a titolo aquiliano ovvero contrattuale da obbligazione ex lege, o altro ancora. Con il secondo e terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 132 n. 4, c.p.c., e 2043, c.c., ai sensi dell’articolo 360 n. 3, c.p.c., o in subordine n. 4 , per essere stata negata, senza alcuna motivazione, la sussistenza di un diritto tutelabile, invece da individuare in quello al libero esercizio dell’iniziativa economica imprenditoriale e per essere stata adottata una doppia e contraddittoria ratio decidendi, risultando esaminata e affermata l’insussistenza della colpa della regione dopo essere stata esclusa quella, invece assorbente, della situazione giuridica soggettiva suscettibile, in tesi, della richiesta tutela. Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza o in subordine la violazione o falsa applicazione della legge, in relazione agli artt. 132 n. 4, c.p.c., e 2043, c.c., per aver applicato i criteri comunitari per la verifica della sussistenza della suddetta colpa, in luogo di quelli enucleabili direttamente dall’articolo 2043, c.c Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza o in subordine l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver escluso la violazione manifesta e grave del legislatore regionale affermando la scusabilità dell’errore di diritto e la non intenzionalità della violazione posta in essere, attesa, al contrario, l’univoca perentorietà della pronuncia n. 307 del 2003 della Corte costituzionale, in uno alla consapevolezza emergente dai lavori dell’assemblea legislativa dell’ente che aveva proceduto, come documentato in fase di merito, senza adeguata istruttoria e sulla base di mere congetture legate alla sensibilità locale. Con l’ultimo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 132 n. 4, c.p.c., ovvero in subordine la nullità della sentenza, per aver illogicamente ritenuto l’inapplicabilità dell’articolo 28 Cost., a fronte della statuita configurabilità di una responsabilità dell’ente per l’attività legislativa ad esso riferibile. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la regione Marche deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 28, 122 e 77 comma 2 Cost., per non aver escluso la configurabilità di una responsabilità dell’ente per un’attività libera quale quella politico - legislativa, non comparabile con la ricostruzione concernente la cornice comunitaria innervata, quest’ultima, dalla deroga al principio d’irresponsabilità da illecito legislativo in ragione della parziale rinuncia alla sovranità posta in essere dallo Stato. 2. I motivi di ricorso principale vanno esaminati congiuntamente. Essi sono infondati, con assorbimento del ricorso incidentale. La questione posta, in quanto sottesa a tutti i motivi in esame, riguarda la possibilità di configurare una responsabilità dell’ente regione per l’adozione, da parte della propria assemblea competente, di una legge regionale contenente alcune norme successivamente dichiarate incostituzionali, nell’ipotesi per violazione dell’articolo 117, comma 2 lettera s e comma 3, della Carta, perché invasive della competenza legislativa statale, con riferimento, più in particolare, all’articolo 4, comma 1, lettera a, della legge n. 36 del 2001. Secondo la prospettazione fatta propria anche dalla decisione di merito qui gravata, la descritta fattispecie sarebbe sussumibile nel medesimo schema ricostruttivo della violazione, da parte del legislatore statale, dei vincoli derivanti dall’ordinamento sovranazionale comunitario, con ripetibilità dei presupposti di responsabilità quali individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia sentenze 10 novembre 1991 Francovich , cause riunite C-6/90 e C-9/90, e soprattutto 5 marzo 1996 Brasserie du pecheur e Factortame cause riunite C-46/93 e V-48/93 . In entrambe le ipotesi, infatti, vi sarebbe violazione della fonte sovraordinata, ferma la verifica, a valle, degli altri presupposti risarcitori. La tesi non può essere condivisa. Come noto, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, enucleata per il caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie, dalla suddetta violazione del diritto dell’Unione Europea sorge il diritto degli interessati alla rifusione dei danni che va ricondotto, anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria, allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario, connotato da primazia rispetto a quello del singolo Stato membro, ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno Sez. U., n. 9147 del 2009, Rv. 607428, e succ. conf. quale Sez. 6-3, n. 307 del 2014, Rv.629469 . L’arresto delle menzionate Sezioni Unite ha prestato adesione all’orientamento allora minoritario che escludeva - come appunto deve escludersi – che alle norme dell’ordinamento comunitario possa farsi derivare, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo del singolo all’esercizio del potere legislativo - che è libero nei fini e sottratto perciò a qualsiasi sindacato giurisdizionale - e che possa comunque qualificarsi in termini di illecito da imputare allo Stato-persona, ai sensi dell’articolo 2043 c.c., una determinata conformazione dello stato-ordinamento Sez. L, n. 10617 del 1995, Rv. 494208 . Di qui la configurazione dell’obbligazione indennitaria legale. La ricostruzione in parola, pertanto, prende le mosse proprio dall’esclusione di una responsabilità per atti legislativi, e ne individua altra diversamente fondata sulla sovraordinazione gerarchica tra ordinamenti prima che tra fonti al netto di valvole ermeneutiche di salvaguardia quali quelle sottese alla c.d. teoria dei controlimiti, riferite alla tutela dei diritti ritenuti imprescindibili per l’assetto costituzionale nazionale . Dal punto di vista del diritto comunitario, cioè, l’inesatta azione ovvero l’omissione legislativa sono un fatto antigiuridico, mentre tali non sono per l’ordinamento nazionale, in cui è approntata solo la tutela data dal giudizio di costituzionalità, per le norme legislative ad esso soggette. La fattispecie qui in esame, al contrario, non permette di individuare la suddetta distinzione tra ordinamenti, tali non potendo considerarsi, dal punto di vista dell’unitario ordinamento nazionale, quello derivante dalle leggi statali e quello enucleabile dalla legislazione regionale. Dal che consegue che, a fronte della libertà della funzione politica legislativa artt. 68, comma 1, 122, comma 4, Cost. , non è ravvisabile un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, e arrivare a fondare il diritto al suo risarcimento quale esercitato nel presente giudizio. È vero che gli studi, non solo italiani, in cui è stato partitamente affrontato il tema della responsabilità ex articolo 2043 c.c. da atto legislativo che in tesi potrebbe essere, come logico, anche quello statale di cui poi sia risultata accertata l’illegittimità costituzionale ha ritenuto di poter trarre sollecitazioni espansive dalle fattispecie relative ai rapporti con gli ordinamenti sovranazionali, ma si tratta di riflessioni che si pongono esse stesse in termini, allo stato delle norme positive, di pura problematicità speculativa. Sull’insindacabilità dell’attività esplicativa di funzioni legislative non si registrano segnali difformi nella giurisprudenza di questa Corte cfr. Sez. U., n. 10416 del 2014, Rv. 630492, e, con riferimento anche qui incidentale all’atto da qualificare, per l’ordinamento, come politico, Sez. U., n. 10319 del 2016, Rv. 639675 . Ne deriva l’infondatezza del ricorso principale, con assorbimento di tutti gli altri profili. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, condanna il fallimento al rimborso delle spese di lite liquidate in Euro 23.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.