Le espressioni giornalistiche non sono di per sé diffamatorie

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste alcuna violazione del principio di continenza allorquando l’articolo risulti improntato ad obiettività e privo di ogni elemento denigratorio, tale da rende chiare al lettore le contrapposte tesi dell’accusa e della difesa, astenendosi dal pronunciare certezze in ordine al comportamento del interessato.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20728/16 depositata il 14 ottobre. Il caso. A seguito della pubblicazione di alcuni articoli ritenuti diffamatori dal Tribunale di Salerno, il direttore responsabile del quotidiano veniva condannato al risarcimento del danno. I giudici dell’appello riformavano però la sentenza escludendo ogni violazione del principio di continenza. Il soggetto coinvolto nella vicenda rappresentata dal quotidiano ricorre dunque dinanzi alla Corte di Cassazione dolendosi della violazione degli artt. 2043 c.c. e 595 c.p. in relazione al principio di contestualizzazione della notizia e della cronaca neutrale. Il ricorrente lamenta l’omessa considerazione, da parte della Corte territoriale, del titolo e della locandina attinenti agli articoli giornalistici in parola che, se considerati singolarmente, sarebbe stati idonei a realizzare una divulgazione diffamatoria, soprattutto nei confronti dei lettori più frettolosi e superficiali , anche a prescindere dalla narrazione complessiva della vicenda riportata dall’articolo giornalistico complessivamente considerato. Titoli e locandine. Il profilo sottolineato dal ricorrente non trova alcun riscontro nella motivazione della sentenza impugnata che non menzione i titoli né le locandine degli articoli, i quali, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ben possono avere un effetto lesivo della reputazione del soggetto coinvolto come elemento diversi dal corpo dell’articolo. Il Collegio sottolinea però come il giudice di merito non sia tenuto ad argomentare la propria decisione menzionando ogni elemento addotto dalle parti a sostegno della propria posizione. Il principio di continenza. La sentenza impugnata esclude dunque correttamente la violazione del principio di continenza rilevando la verità della notizia, in quanto, nonostante la presenza di termini giornalistici coloriti, il giornalista aveva correttamente utilizzato espressioni inequivoche che evidenziavano la natura di combinazione veramente sfortunata” dell’episodio . A ciò si aggiunga l’utilizzo delle virgolette per riportare le dichiarazioni degli inquirenti, nonché il riferimento a quanto dichiarato dai legali dell’interessato e la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione. Ma soprattutto non sussiste alcuna violazione del principio di continenza in quanto l’articolo usa una forma corretta, improntata ad obiettività e priva di ogni elemento denigratorio e rende chiare al lettore le contrapposte tesi dell’accusa e della difesa, astenendosi dal pronunciare certezze in ordine al comportamento del ricorrente. In conclusione la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 giungo – 14 ottobre 2016, numero 20728 Presidente Amendola – Relatore Graziosi Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 14-18 novembre 2013 la Corte d’appello di Salerno accoglieva l’appello presentato da M.A. avverso sentenza del 28 aprile-13 giugno 2006 del Tribunale di Salerno - con cui era stato condannato, quale direttore responsabile del quotidiano omissis , a risarcire l’attore V.C. per la pubblicazione di articoli ritenuti dal Tribunale diffamatori -, respingendo la domanda del V. . Si trattava di articoli pubblicati sul suddetto quotidiano il omissis , che narravano l’arresto di V.C. all’aeroporto di omissis , dove, camuffatosi con una parrucca per uno scherzo a una hostess con cui aveva una relazione, era stato riconosciuto da una guardia giurata come uno degli autori di un episodio di rapina e sequestro di persona. Il riconoscimento - che dapprima era parso corroborato dal rinvenimento nell’abitazione del V. di attrezzature per mascherarsi - era poi risultato erroneo, per cui il V. era stato scarcerato il omissis . Ad avviso del giudice di prime cure, gli articoli avevano violato il principio di continenza, ma il giudice d’appello lo escludeva. 2. Ha presentato ricorso V.C. , sulla base di tre motivi. Il primo motivo, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 5 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c. e 595 c.p. quanto al principio di contestualizzazione della notizia. Viene richiamata la giurisprudenza per cui il principio di continenza deve essere rispettato anche riguardo ai titoli, come per tutti gli elementi idonei di per sé a fuorviare e a suggestionare i lettori più frettolosi, e si adduce che il giudice d’appello avrebbe considerato solo il testo degli articoli, ma non i titoli e le locandine e i titoli sarebbero stati lesivi della reputazione del ricorrente, come ritenuto dal Tribunale. Pertanto la sentenza impugnata presenterebbe una grave omissione di considerazione. Il secondo motivo, ancora ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 5 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c. e 595 c.p. riguardo al principio di cronaca neutrale. Il giudice d’appello osserva che l’articolista ha segnalato che il V. era stato arrestato per il travestimento uguale a quello del rapinatore, ed ha evidenziato tragica fatalità , equivoco e combinazione veramente sfortunata , virgolettando solo la definizione che gli inquirenti avevano dato al rinvenimento di materiale per mascherarsi nell’abitazione del ricorrente materiale indiziante tra cui parrucche utili al camuffamento . In tal modo la corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di omesso esame di punto decisivo, con conseguente violazione di diritto. Nei tre articoli in questione, infatti, secondo il ricorrente la titolazione è assertiva sensazionalistica , e dotata di ironia diffamatoria all’arrestato viene attribuito l’ hobby delle rapine e ciò verrebbe poi correlato dagli articoli alla posizione familiare e sociale del V. . Questo aspetto sarebbe stato omesso di considerazione da parte della corte territoriale. Gli articoli avrebbero peraltro costruito una propria tesi accusatoria contro il V. , con un suggestionante climax ascendente che comprenderebbe i titoli e non rispetterebbe il principio della continenza, esponendo i fatti in modo unilaterale e incompleto. La corte avrebbe comunque dovuto applicare il principio di cronaca neutrale e i generali principi che regolano l’esercizio del diritto di cronaca, rispettando in particolare la presunzione di innocenza. Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 3 Cost. in aderenza all’articolo 21 Cost Quel che il ricorrente ora definisce l’articolo non rappresenterebbe meramente i fatti - e quindi non eserciterebbe il diritto di cronaca - ma conterrebbe apprezzamenti sull’onore del V. , prospetterebbe presumibile infondatezza delle sue difese e verrebbe a sfoderare precedenti del padre per provare che, se quest’ultimo era avvezzo al crimine, lo era anche il figlio. La sentenza appare motivata solo in astratto ma assolutamente immotivata in concreto e dall’articolo si desumerebbe la colpevolezza del V. , denigrato in modo ironico, offeso nella sua reputazione personale e familiare anche il padre in realtà sarebbe stato esente da colpe . Si difende M.A. con controricorso, chiedendo che il ricorso sia dichiarata inammissibile e, in subordine, sia rigettato. Motivi della decisione 3. Il ricorso è infondato. 3.1 Dalla sintesi sopra tracciata dei tre motivi emerge chiaramente che i primi due vertono sulla stessa tematica, per cui possono essere accorpati nel vaglio. E la doglianza su cui si imperniano, a ben guardare, consiste nella pretesa omessa considerazione, da parte del giudice d’appello, dei contenuti dei titoli e delle locandine attinenti agli articoli che esposero la vicenda, realmente singolare, in cui il V. si era trovato coinvolto. Ad avviso del ricorrente, poiché anche questi elementi - e non solo, quindi, la narrazione contenuta negli articoli possono realizzare una divulgazione diffamatoria, particolarmente nei confronti dei lettori più frettolosi e superficiali nella loro percezione viene invocata al riguardo Cass. sez. 3, 7 ottobre 2011 numero 20608, la quale, in un caso di sottotitolo dal tono sprezzante e sdegnato, rileva come il rispetto della continenza - quale regola di moderazione, misura e proporzione delle modelle espressive - deve rapportarsi non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espressivo in cui l’articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi la giurisprudenza di legittimità è peraltro consolidata in ordine al rilievo dell’intero contesto espressivo in cui l’articolo viene ad inserirsi, compresi quindi anche titoli, occhielli, sottotitoli e presentazione grafica Cass. sez. 3, 25 luglio 2000 numero 9746, Cass. sez. 3, 26 settembre 2005 numero 18782, Cass. sez. 3, 14 ottobre 2008 numero 25157, Cass. sez. 3, 7 agosto 2013 numero 18769 e Cass. sez. 3, 5 dicembre 2014 numero 25739 , la corte territoriale sarebbe incorsa in violazione degli articoli 2043 cc. e 595 c.p. nell’ignorarli nel proprio apparato motivazionale, e quindi, a priori, nel suo accertamento sull’esistenza o meno dell’illecito diffamatorio. Effettivamente, la sentenza impugnata, dopo essersi diffusa ampiamente sulla giurisprudenza di legittimità e sui pertinenti principi normativi, costituzionali e sovranazionali, cui occorre rapportarsi per individuare il delicato punto di equilibrio tra l’interesse pubblico all’informazione e i diritti di cronaca e di manifestazione del pensiero da un lato e la tutela della reputazione e dell’onore dall’altro, è assai sintetica nell’affrontare la concretezza del caso. Esclude comunque la violazione del principio di continenza che era stata rinvenuta, invece, dal giudice di prime cure, rilevando la verità della notizia, l’evidenziazione da parte del giornalista - con varie espressioni in tal senso inequivoche - della natura di combinazione veramente sfortunata dell’episodio, la trascrizione tra virgolette delle dichiarazioni degli inquirenti, il riferimento di quanto dichiarato dai legali un clamoroso errore di persona , la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione e, soprattutto - requisito cui logicamente viene dedicata maggiore attenzione, essendo stato quello ritenuto insussistente dal Tribunale -, l’uso di una forma corretta, improntata ad obiettività e priva di qualsivoglia elemento denigratorio , in modo da rendere chiare al lettore le contrapposte tesi dell’accusa e della difesa ed astenendosi, perciò, dall’enunciare certezze e, per di più, valutando quanto riportato sulle vicende del padre del ricorrente ed escludendone l’offensività . Vero è che in questa concisa parte conclusiva della motivazione pagine 7-8 la sentenza non menziona affatto i titoli, né le locandine degli articoli in questione. Parimenti vero, come già rimarcato, è che anche elementi diversi dal corpo dell’articolo, come locandine e titoli, possono esplicare un effetto lesivo della reputazione. Peraltro, non può non ricordarsi che il giudice di merito non è tenuto a menzionare esplicitamente nella motivazione ogni elemento addotto dalle parti per far valere la loro prospettazione e infatti il vigente vizio ex articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c., denunciato accanto alla violazione degli articoli 2043 cc. e 595 c.p. nelle rubriche del primo e del secondo motivo, concerne esclusivamente l’omessa considerazione di un fatto controverso decisivo, il quale è fatto idoneo a scardinare tutta la struttura 5 dell’apparato motivazionale cfr., per tutte, S.U. 25 ottobre 2013 numero 24148 . E altresì non può non ricordarsi che la valutazione fattuale compete istituzionalmente al giudice di merito, e non può essere oggetto di revisione - se non appunto tramite il sindacato motivazionale - da parte del giudice di legittimità. Che poi, realmente, la corte territoriale abbia omesso di esaminare fatti decisivi rappresentati da titoli e locandine - così da impostare erroneamente l’accertamento dell’illecito diffamatorio e da incorrere quindi nella violazione degli articoli 2043 c.c. e 595 c.p. - non emerge dal pur ampio ricorso. Invero, le sue argomentazioni sono sorrette soltanto dall’allegazione di una locandina allegazione numero 3 nella quale non si ravvisa alcun eccesso trasformante la cronaca in diffamazione, e i cui caratteri che il ricorrente definisce cubitali non sono difformi da quel che normalmente - come insegna il notorio - viene utilizzato, appunto, nelle locandine dei giornali per annunciare fatti di cronaca e quanto poi ai titoli, l’unico tra quelli degli articoli allegati al ricorso che potrebbe, in ipotesi, assumere un aspetto diffamatorio nel senso di attribuire una ripetitività di condotte illecite hobby delle rapine non è riportato in locandina, per cui non può ingannar” il lettore frettoloso, ed è in realtà un occhiello che anticipa il titolo dell’articolo del OMISSIS , medico novello F. occhiello che non può incidere negativamente sulla percezione, perché si inquadra appunto in un titolo semplicemente scherzoso e in una immediata spiegazione, nella stessa pagina, della vicenda. I primi due motivi, pertanto, non risultano fondati. 3.2 Il terzo motivo, per quanto rubricato ancora come violazione e falsa applicazione di legge questa volta degli articoli 2 e 3 della Costituzione in aderenza all’articolo 21 Cost. -, in realtà presenta una sostanza direttamente fattuale, perseguendo dal giudice di legittimità una revisione della interpretazione del contenuto di quello che definisce genericamente l’articolo , nel senso che effettivamente vi sia stato leso l’onore del ricorrente, siano state presentate le sue difese in un’ottica inficiante di dubbio negativo e sia stato utilizzato un infondato precedente del padre per insinuare una tendenza familiare al crimine. Come già sopra si osservava, si esorbita in tal modo dai limiti del ricorso per cassazione, per cui quest’ultimo motivo risulta inammissibile. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Considerata la difformità delle valutazioni dei giudici di merito, e tenuto conto della particolarità della vicenda, sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali del presente grado. Sussistono ex articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo. P.Q.M. Rigetta il ricorso compensando le spese processuali del grado. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.