Diffamazione e verità putativa

La presenza dell'esimente della verità putativa esclude il reato di diffamazione l'accertamento di tale presenza è affidato al Giudice di merito e la sentenza, se correttamente motivata sul punto, è insindacabile in sede di legittimità.

Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 20617, depositata lo scorso 13 ottobre. Il caso. Oggetto della domanda attorea era la richiesta di risarcimento dei danni causati dalla diffamazione prodotta a mezzo stampa da un articolo su un noto settimanale. In particolare, vengono citati in giudizio l'autrice del pezzo, il direttore responsabile della rivista e la casa editrice. Il danno sarebbe stato prodotto in sintesi dall'accostamento - operato nell'articolo – di uno degli attori all'organizzazione terroristica Brigate Rosse in qualità di erede , in seguito a sottoposizione di misura cautelare della custodia in carcere nell'ambito di un procedimento per associazione sovversiva procedimento nel corso del quale era subito emerso [ ] la sua estraneità alle indagini in corso sulle Brigate Rosse e sull'omicidio di Massimo D'Antona . La sentenza di legittimità conferma pienamente la sentenza di appello, rigettando ciascuno dei tre motivi di ricorso. Ma andiamo per ordine. Acquiescenza parziale. La Corte ritiene corretto l'impianto motivazionale con cui in appello è stato pronunciato il passaggio in cosa giudicata della decisione in relazione all'autrice dell'articolo. Spiega la Corte che la proposizione della domanda nei soli confronti degli altri due soggetti, in assenza di elementi chiari e incontrovertibili elementi che l'attore nemmeno specifica in atto di ricorso da cui far discendere il contrario deve portare a concludere per una vera e propria rielaborazione delle iniziali richieste . Dunque, conclude la Corte, è corretta l'applicazione dell'artt. 324 e 329 c.p.c., per i quali, per quanto qui interessa, l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità. L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate v. art. 329 c.p.c. con conseguente passaggio in giudicato del provvedimento v. art. 324 c.p.c. relativamente alle parti dello stesso non impugnate. Essendo dunque, sul punto, la motivazione della sentenza libera da vizi logico-giuridici, essa non è censurabile in grado di legittimità. Non c’è diffamazione. Il secondo punto denuncia la violazione delle norme di cui agli artt. 2043, 2049 in materia di risarcimento danni per fatto illecito, il secondo regolante il caso specifico della responsabilità di padroni e committenti , 595 c.p. regolante il reato di diffamazione e 21 Cost. in materia – anche - di libertà di stampa e di cui alla l. n. 47/1948 Disposizioni sulla stampa . Se vi è stata verità putativa - e ciò nel caso di specie è indiscutibile , afferma la Corte nel riportarsi alla sentenza di appello -, non vi è stata diffamazione. Né vale in contrario la differente qualificazione giuridica inclusa nell’articolo associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico ex art. 270- bis c.p. rispetto a quella dei fatti contestati associazione sovversiva ex art. 270 c.p. si tratta di tecnicismi che non rilevano sul punto, dal momento che nel linguaggio comune terrorista è colui che si riprometta di abbattere con atti violenti il governo dello Stato . Anche sotto tale aspetto dunque, l'avere cioè correttamente accertato e valutato la presenza dell'esimente della verità putativa e dunque escluso il reato di diffamazione e conseguentemente l'obbligo di risarcimento del danno la sentenza è corretta. L'articolo fu un commento ragionato . Il terzo motivo di ricorso censura l'omesso esame di un fatto decisivo della controversia, e cioè la comunicazione resa dall'organo inquirente circa l'assoluta estraneità delle indagini de quo rispetto a quelle sulle Brigate Rosse. Tale circostanza avrebbe dovuto dunque, per il ricorrente, incidere sul contenuto dell'articolo. Invece, per la Corte di Cassazione l'articolo si rivela come un commento ragionato sull'operazione di P.G., [ ] contenente ampi stralci dell'ordinanza del gip, ove era espresso il riferimento ai rapporti degli esponenti del partito di appartenenza dell'attore con le Brigate Rosse e di qui, sottolinea la Corte, discende l'elemento della verità putativa, richiamata dalla sentenza appellata. Dunque la sentenza è corretta anche sul punto. Un tentativo di nuovo accertamento del merito. Infine la Corte censura il ricorso nel suo complesso perché l'impugnazione è solo formalmente proposta nel rispetto dei motivi ammessi in sede di legittimità dall'art. 360 c.p.c. riferendosi il ricorso alla violazione di legge e al difetto di motivazione , mentre in realtà esso cela un tentativo di provocare un nuovo accertamento del merito, tentativo non ammesso in sede di legittimità. La valutazione del Giudice dell'appello circa le risultanze probatorie non trova altro limite di indicare le ragioni del proprio convincimento senza che questi debba invece affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero [ ] confutare qualsiasi deduzione difensiva . L'art. 360, n. 5 c.p.c. non attribuisce alla Corte il potere di riesaminare il merito, ma solo di verificare sotto il profilo logico-formale e della conformità al diritto le valutazioni del Giudice dell'appello. Pertanto il ricorso è rigettato, con condanna al pagamento, oltre che delle spese del giudizio, anche dell'importo previsto a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1- quater , d.P.R. n. 115/2002 dal momento che l'impugnazione viene respinta integralmente.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 dicembre 2015 – 13 ottobre 2016, n. 20617 Presidente Salmè – Relatore Travaglino I fatti Nel maggio del 2007 N.N. , in proprio e quale legale rappresentante del partito denominato omissis , convenne dinanzi al Tribunale di Milano, insieme con altri aderenti al partito, A.M. , R.C. e la Mondadori Editore s.p.a., chiedendo loro il risarcimento dei danni patiti a seguito della pubblicazione di un articolo sul settimanale XXXXXXXX , dal titolo omissis , in cui esso attore veniva accostato, in qualità di erede , all’organizzazione terroristica denominata omissis , essendo egli stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere nell’ambito di un procedimento per associazione sovversiva, nel corso del quale era subito emerso come da comunicazione del Procuratore della Repubblica di Roma la sua estraneità alle indagini in corso sulle omissis e sull’omicidio di D.M. . Il giudice di primo grado dichiarò prescritta la domanda. La corte di appello di Milano, investita dell’impugnazione proposta, tra gli altri, da N.N. , la rigettò sia pur con diversa motivazione rispetto alla sentenza del Tribunale ritenendo non prescritta la domanda risarcitoria per effetto della proposizione di efficaci atti interruttivi del relativo decorso . Per la cassazione della sentenza della Corte meneghina il N. ha proposto ricorso sulla base di 3 motivi di censura illustrati da memoria. Resistono con controricorso gli intimati come indicati in epigrafe. Le ragioni della decisione Il ricorso è infondato. Con il primo motivo , si denuncia violazione ed errata interpretazione degli artt. 324, 329 c.p.c. . Il motivo - con il quale il ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto passata in cosa giudicata la decisione relativa all’autrice dell’articolo per cui è causa è privo di pregio. Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che, nella specie, l’aver circoscritto la domanda risarcitoria al solo direttore responsabile della rivista e alla sola casa editrice non fosse dovuto ad una non significativa omissione incompatibile con la diversa e manifesta intenzione di contestare tout court e senza alcuna limitazione soggettiva gli effetti giuridici della sentenza di primo grado come sostenuto in ricorso al folio 27 , ma fosse viceversa il frutto di una vera e propria rielaborazione delle iniziali richieste, con specifica e circoscritta indicazione dei soggetti appellati e delle rispettive responsabilità, tale da imporre un’interpretazione necessariamente letterale degli atti, in assenza, nel corpo di essi, di elementi chiari e incontrovertibili dai quali desumere che la puntuale rielaborazione de qua non corrispondesse all’intenzione delle parti. Al di là della già di per se decisiva circostanza per la quale il ricorrente non indica a questa Corte in cosa consisterebbero gli inequivoci elementi, contenuti nell’atto di appello, da cui desumere l’intento di agire anche in secondo grado nei confronti della redattrice dell’articolo, l’interpretazione offerta dal giudice di appello cui solo compete la valutazione nel merito del contenuto di un atto processuale appare scevra da vizi logico-giuridici, e pertanto incensurabile in sede di giudizio di legittimità. Con il secondo motivo , si denuncia violazione delle previsioni di cui agli artt. 2043, 2049 c.c., 595 c.p., 21 Cost., nonché di quanto previsto dalla legge 47/1949 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia . Il motivo è infondato. Diversamente da quanto illustrato da parte ricorrente, e conformemente con quanto ritenuto dal giudice di appello, l’articolo per il quale è ancor oggi processo non presenta il denunciato carattere diffamatorio, atteso l’indiscutibile contenuto di verità, quantomeno putativa, dei fatti narrati così, motivatamente, la sentenza milanese ai ff. 13-14 , mentre la distinzione, pur oggi lamentata, in punto di esatta qualificazione giuridica dei fatti contestati associazione sovversiva ex art. 270 c.p. e non associazione di stampo terroristico di cui all’art. 270 bis stesso codice sfugge come, ancora condivisibilmente, afferma la Corte territoriale al linguaggio comune ed alla comune comprensione, ben potendo, in una lettura dei fatti non professionalmente qualificata, essere definito e ritenuto terrorista colui che si riprometta di abbattere con atti violenti il governo dello Stato. L’accertamento della scriminante della verità putativa, oggetto di puntuale analisi e valutazione da parte della Corte di appello anche alla luce della necessaria contestualizzazione dello scritto rispetto all’epoca in cui venne redatto e della parimenti giustificabile pubblicazione della fotografia della famiglia N. , appare scevro da qualsivoglia vizio logico-giuridico, e si sottrae, pertanto, alle critiche mosse con il motivo in esame. Con il terzo motivo , si denuncia l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti . Il motivo - con il quale si lamenta la omessa considerazione, da parte della Corte di appello di Milano, della comunicazione resa dall’organo inquirente in seguito all’arresto del N. , circa la assoluta estraneità delle indagini relative al partito di OMISSIS rispetto a quelle svolte sull’omicidio D. e sulle XX - non ha giuridico fondamento. Come condivisibilmente può desumersi dalla motivazione adottata dalla Corte territoriale che riporta il contenuto dell’atto di appello a folio 10 della sentenza impugnata , l’articolo pubblicato sul settimanale edito dalla Mondadori si concretò in un commento ragionato sull’operazione di P.G., che aveva condotto all’arresto del ricorrente, contenente ampi stralci dell’ordinanza del GIP, ove era espresso il riferimento ai rapporti degli esponenti del partito di appartenenza del N. con la banda armata delle OMISSIS - OMISSIS di qui, la ritenuta scriminante della verità putativa, espressamente e motivatamente richiamata nella sentenza impugnata al folio 12 . Tutte le censure mosse alla sentenza della Corte milanese, pertanto, sono irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale dianzi descritto, dacché essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una peraltro del tutto generica violazione di legge e un di decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una ormai del tutto inammissibile richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili , non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. È principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto - delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove e la relativa significazione , controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione. Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto ormai cristallizzate quoad effectum sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. Il ricorso è pertanto rigettato. Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza. Liquidazione come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 8200, di cui 200 per spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1 comma 17 della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il controricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.