Protesto levato a nome di chi ha emesso l’assegno

In tema di protesto di assegno bancario, nel caso in cui la firma di traenza indichi un nome completamente diverso dal titolare del conto corrente, tale che non sia in alcun modo possibile ingenerare nella banca trattaria il dubbio dell’apparente riferibilità dell’assegno al predetto titolare, non vi è ragione di elevare il protesto a suo nome, giacché è sufficiente, al fine di conservare l’azione di regresso contro gli obbligati, che il protesto sia levato a nome di colui che risulta aver emesso l’assegno.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18083/16, depositata il 14 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Bologna rigettava la domanda risarcitoria proposta dall’attore nei confronti del Credito Cooperativo di Rimini, condannando il primo a restituire alla banca le somme percepite in esecuzione della decisione di primo grado a rimborsare alla stessa le somme versate, a titolo di rifusione delle spese processuali, in favore di due notai, nel giudizio di primo grado infine a rifondere alla banca e ad un notaio le spese processuali relative al grado di appello. La Corte territoriale rilevava infatti che il ricorrente aveva fondato la propria domanda risarcitoria sulla pretesa illegittima del protesto, senza mai specificare quale condotta avesse inteso attribuire alla banca trattaria o al notaio che aveva levato il protesto che neppure il giudice di primo grado aveva ritenuto l’illegittimità del protesto che l’istituto aveva diligentemente segnalato al notaio la duplice circostanza che l’assegno risultava rubato e che la firma di traenza apposta su di esso non era conforma a quella depositata. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attore. Levata del protesto. Con il primo motivo il ricorrente rileva che nessuna previsione autorizza la levata del protesto nei confronti di colui che non abbia sottoscritto l’assegno e, in conseguenza, non abbia assunto alcuna obbligazione che la Corte territoriale aveva omesso di considerare che gravava sull’istituto di credito l’onere di dimostrare che l’assegno era stato effettivamente sottoscritto dal ricorrente che la banca trattaria poteva far constatare il rifiuto del pagamento con una dichiarazione apposta sul titolo . Con il secondo motivo lamenta, invece, insufficiente motivazione circa un fatto decisivo, quello cioè rappresentato dalla legittimità del protesto e dall’accertamento della riferibilità al ricorrente della firma apposta sull’assegno. Firma di traenza diversa da quella del titolare del conto corrente. Per il Collegio entrambi i motivi sono infondati. Secondo un consolidato orientamento della Corte, infatti, in tema di protesto di assegno bancario, nel caso in cui la firma di traenza indichi un nome completamente diverso dal titolare del conto corrente, tale che non sia in alcun modo possibile ingenerare nella banca trattaria il dubbio dell’apparente riferibilità dell’assegno al predetto titolare, non vi è ragione di elevare il protesto a suo nome, giacché è sufficiente, al fine di conservare l’azione di regresso contro gli obbligati, che il protesto sia levato a nome di colui che risulta aver emesso l’assegno, non essendovi neppure interesse a conoscere il nome del titolare del conto su cui l’assegno è tratto . La circostanza, poi, che la banca avesse la possibilità di far constatare il rifiuto del pagamento con una dichiarazione apposta sul titolo, comunque non considera che si tratta di una facoltà esercitabile solo con il consenso del portatore. Infondato è per la Suprema Corte anche il secondo motivo di ricorso. Ricorso incidentale. Deve invece ritenersi fondato l’unico motivo del ricorso incidentale con il quale il ricorrente rileva che la Corte territoriale, dopo aver condannato lo stesso al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio, come da separato dispositivo , aveva poi liquidato soltanto le spese del giudizio di appello. La doglianza è fondata perché, nonostante la non equivoca decisione di condannare il ricorrente alle spese del doppio grado, la sentenza impugnata non ha provveduto a disporre la condanna in favore della banca e a liquidare le spese del giudizio di primo grado. Dunque, in conclusione, la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso e accoglie quello incidentale, condannando il ricorrente al pagamento, in favore della banca, delle spese relative al primo grado di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 maggio – 14 settembre 2016, n. 18083 Presidente Giancola – Relatore De Marzo Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata il 31 marzo 2011 la Corte d'appello di Bologna, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta da M.B. nei confronti della Banca di Rimini Credito Cooperativo - società cooperativa, condannando il primo a a restituire alla banca le somme percepite in esecuzione della pronuncia di primo grado, oltre accessori b a rimborsare alla medesima banca le somme versate, a titolo di rifusione delle spese processuali, in favore dei notai R. e P. nel giudizio di primo grado c a rifondere alla banca e al notaio R. le spese processuali relative al grado di appello. 2. La Corte territoriale ha rilevato a che il B. aveva fondato la propria domanda risarcitoria sulla pretesa illegittimità del protesto, senza mai specificare nell'atto introduttivo della lite e nella memoria depositata ai sensi dell'art. 183 cod. proc. civ., quale condotta avesse inteso attribuire alla banca trattaria o al notaio che aveva levato il protesto b che neppure il giudice di primo grado aveva ritenuto l'illegittimità del protesto che era stato levato indicando come autore della firma di traenza M.B., soggetto diverso dal titolare del rapporto di conto corrente, cui accedeva la convenzione relativa all'emissione degli assegni, cogliendo la responsabilità della banca nelle insufficienti informazioni fornite al notaio, il quale avrebbe potuto svolgere le ricerche occorrenti all'individuazione della persona che risultava aver sottoscritto l'assegno c che, peraltro, l'istituto aveva diligentemente segnalato al notaio la duplice circostanza che l'assegno risultava rubato e che la firma di traenza apposta su di esso non era conforme a quella depositata d che il pubblico ufficiale aveva doverosamente levato il protesto a nome dell'apparente sottoscrittore e che dalla visura della camera di commercio prodotta in atti risultavano specificate le ragioni dei mancato pagamento del titolo, con la conseguenza che doveva escludersi che il B. avesse subito alcun pregiudizio f che, infine, il B. neppure aveva dimostrato l'esistenza del danno commerciale - l'unico pregiudizio del quale aveva invocato il ristoro -- subito. 3. Avverso tale sentenza, il B. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La Banca di Rimini Credito Cooperativo società cooperativa resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. II R. e. il Peiliccioni non hanno svolto attività difensiva. Nell'interesse di parte resistente, nel frattempo divenuta Riminibanca Credito Cooperativo di Rimini e Valmarecchia s.c. d'ora innanzi, Riminibanca , è stata depositata memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. Motivi della decisione 1. 1 primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 45, 62, 63 e 64 r_d. n. 1736 del 1933, nonché degli am. 1176 e 2697 cod. civ., rilevando a che nessuna previsione autorizza la levata del protesto nel confronti di colui che non abbia sottoscritto l'assegno e, in conseguenza, non abbia assunto alcuna obbligazione b che la Corte territoriale aveva omesso di considerare che gravava sull'istituto di credito l'onere di dimostrare che l'assegno era stato effettivamente sottoscritto dal B. c che la banca trattaria, ai sensi degli arti. 46, comma primo, n. 2, e 62 del r,d. n. 1736 del 1933, ben poteva far constatare il rifiuto del pagamento con una dichiarazione apposta sul titolo, che tiene luogo, seppur con il consenso dei portatore, dell'atto di protesto d che con la necessaria cautela, in definitiva, la banca - che poteva rilevare la falsità delle firme di traenza attraverso un confronto con lo specimen - avrebbe evitato di segnalare al notaio la falsa circostanza che la firma apposta era quella di M.B., anche perché la stessa era illeggibile. Con il secondo motivo, si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso, rappresentato dalla legittimità dei protesto e dall'accertamento della riferibilità al ricorrente della firma apposta sull'assegno. I due motivi sono infondati. Secondo il condiviso orientamento espresso da questa Corte, in tema di protesto di assegno bancario, nel caso in cui la firma di traenza indichi un nome completamente diverso da! titolare dei conto corrente, tale che non sia in alcun modo possibile ingenerare nella banca trattaria il dubbio dell'apparente riferibilità dell'assegno al predetto titolare, non vi è ragione di elevare il protesto a suo nome, giacché è sufficiente, al fine di conservare l'azione di regresso contro gli obbligati, che il protesto sia levato a nome di colui che risulta aver emesso l'assegno in conformità, peraltro, all'art. 4 della circolare 8381e del 3 maggio 1955 del Ministero dell'industria e del commercio recante istruzioni per l'uniforme applicazione della legge 12 febbraio 1955, n. 77, sulla pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari , non essendovi neppure interesse a conoscere il nome dei titolare del conto su cui l'assegno è tratto, né la sua solvibilità, in quanto non si è formalmente obbligato per la relativa somma, e conseguentemente risulta del tutto non inadempiente Cass. 16 luglio 2010, n. 16617 v. anche Cass. 16 aprile 2003, n. 6006 . Ciò posto, il ricorrente, ancora una volta modificando l'identificazione della causa petendi, attribuisce alla Corte territoriale l'errore di avere ritenuto legittima la levata del proteso nei confronti di chi, per non avere sottoscritta l'assegno, non si era obbligato cartolarmente e di non avere considerato che gravava sulla banca l'onere di dimostrare che l'assegno in questione era stato effettivamente sottoscritta dal B E, tuttavia, anche a prescindere dalle condivise argomentazioni delle sopra citate decisioni di questa Corte, resta da rilevare che della eventuale - e per quanto sopra detto insussistente - illegittimità del protesto avrebbe dovuto rispondere il pubblico ufficiale, chiamato ai sensi dell'art. 60 r. d. n. 1736 del 1933 e dell'art. 1, I. n. 349 dei 1973, a levare il protesto, laddove non è chiaro, nel quadro dei rapporti tra banca trattaria e ufficiale chiamato a levare il protesto, quale sia il fondamento giuridico dell'obbligo, che il ricorrente individua a carico della prima, di verificare, non s'intende alla stregua di quali concrete possibilità di accertamento, che la sottoscrizione dell'assegno da parte di soggetto diverso dal correntista sia attribuibile a colui che appare come l'autore della firma. La circostanza poi che la banca avesse la possibilità di far constatare il rifiuto del pagamento con una dichiarazione apposta sul titolo, ai sensi degli artt. 45, comma 1, n. 2, e 64 r. d. n. 1736 dei 1933, comunque non considera che si tratta di una facoltà esercitabile solo con il consenso del portatore. In tale contesto, non colgono nel segno gli ulteriori rilievi del ricorrente. In particolare, con riguardo alla cautela - che la banca non avrebbe osservato - di evitare di segnalare al notaio la falsa circostanza che la firma apposta era quella dei ricorrente anche perché la firma era illeggibile , va, invece, sottolineato che la sentenza, con un accertamento fattuale non oggetto di alcuna critica da parte del ricorrente, ha rilevato che la firma non era illeggibile e che la banca si era limitata a segnalare al notaio che l'assegno risultava denunciato come rubato e che la firma di traenza non era conforme a quella depositata. 2. II rigetto dei primi due motivi di ricorso, con i quali il ricorrente ha contestato la ritenuta insussistenza di un fatto ingiusto idoneo a giustificare la responsabilità della banca, comporta l'assorbimento dei restanti quattro motivi, con i quali il B., sotto i profili della violazione di legge e dei vizi motivazionali, critica la sentenza impugnata che, ad abundantiam, dopo avere osservato che l'attore aveva circoscritto la sua pretesa risarcitoria al discredito commerciale patito, si era altresì diffusa sull'assenza di prova di tale pregiudizio. É infatti evidente che esclusa la sussistenza, a monte, della responsabilità, è assolutamente superfluo indugiare sulle questioni concernenti l'individuazione del contenuto del pregiudizio dei quale si invoca il ristoro e la dimostrazione dello stesso. 3. Con l'unico motivo dei ricorso incidentale, Riminibanca lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 336 cod. proc. civ., rilevando che la Corte territoriale, dopo avere precisato in motivazione che il B., in ragione della sua totale soccombenza, doveva essere condannato al rimborso, in favore delle parti appellate costituite, delle spese dei doppio grado di giudizio come da separato dispositivo , aveva poi, nel dispositivo, liquidato soltanto le spese dei giudizio di appello. La doglianza è fondata, dal momento che, nonostante la non equivoca decisione di condannare il B. alle spese dei doppio grado, la sentenza impugnata non ha provveduto a disporre la condanna in favore di Riminibanca e a liquidare le spese del giudizio di primo grado. Tenuto conto della nota spese prodotte, dell'attività svolta e delle questioni esaminate, la causa, in relazione a tale punto, può essere decisa nel merito da questa Corte, ai sensi dell'art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., nei termini di cui al dispositivo. 4. In conclusione, i primi due motivi dei ricorso principale vanno rigettati, con assorbimento dei restanti quattro. II ricorso incidentale va accolto, talché, decidendo nel merito, vanno liquidate le spese dei giudizio di primo grado da porre a carico dei soccombente. Le spese dei giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo P.Q.M. Rigetta i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti quattro accoglie il ricorso incidentale e, decidendo nel merito, condanna ii ricorrente al pagamento, in favore della banca resistente, delle spese relative al primo grado di giudizio, che liquida in euro 2,746,00 per diritti, euro 6.100,00 per onorari, euro 356,77 per spese, oltre spese forfetarie e accessori di legge, nonché al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.