Caro commercialista, non ti aiuta dire che non sei avvocato, se non sei stato diligente

Il dovere di diligenza impone al commercialista di fornire tutte le informazioni utili al cliente, dunque non solo quelle che rientrano nella sua competenza professionale, ma anche, tenuto conto della portata dell'incarico, di individuare le questioni esterne a tale ambito dunque, di individuare le questioni che esulano da detto ambito perciò, di informare il cliente dei limiti della propria competenza e di fornirgli tutti i dati ed elementi comunque nella sua conoscenza che possano consentire al cliente di adottare autonome decisioni, compresa quella di rivolgersi ad altro professionista competente.

Non basta dire che non si è avvocati, se si accetta, ma non si svolge, un incarico di carattere tecnico e anche di prima informazione circa una sentenza della commissione tributaria regionale, per evitare la responsabilità per il mancato esperimento del ricorso in cassazione. Questo, in estrema sintesi, il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione qui in commento, n. 13007 depositata il 23 giugno 2016. Il fatto. Un contribuente citava in giudizio il proprio commercialista chiedendo il risarcimento dei danni derivanti dal mancato esperimento del ricorso in cassazione di una sentenza della commissione tributaria regionale. Egli affermava che, ignorando il da farsi, aveva consegnato al proprio commercialista l'originale della comunicazione del dispositivo della sentenza, chiedendo indicazioni e chiarimenti in merito ma che poi non ne aveva più saputo niente, nonostante i propri solleciti. Conseguentemente, lamentava il fatto che i termini per l'impugnazione in Cassazione erano decorsi senza che egli esperisse il ricorso ed aveva dovuto pagare i 62.165,30 euro e i 26.113,61 euro, oltre interessi richiesti dall'Agenzia delle Entrate. Aggiungeva che a nulla avevano portato le richieste di risarcimento effettuate direttamente al professionista, nè quelle rivolte su sua segnalazione alla compagnia assicuratrice per la responsabilità professionale. Il commercialista, dal canto suo, oltre a chiedere ed ottenere di chiamare in causa la compagnia assicuratrice, si difendeva asserendo sia che il proprio studio professionale aveva prestato soltanto consulenza contabile per la ditta e non aveva mai ricevuto alcun incarico riguardante la sentenza da impugnare, sia che egli non avrebbe potuto impugnarla non essendo abilitato alla difesa dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto dottore commercialista . La domanda non veniva accolta nè in primo grado, nè in secondo. In sostanza veniva esclusa la responsabilità del commercialista non essendo questi abilitato alla difesa dinanzi alle giurisdizioni superiori e, dunque, non potendo esperire, in ogni caso, il ricorso. In secondo grado, in particolare, si precisa che l'incarico aveva riguardato solo una consulenza di carattere tecnico in via di prima informazione e che resa o non resa quella consulenza l'appellante, per il ricorso in Cassazione, avrebbe dovuto comunque rivolgersi ad un avvocato patrocinante in cassazione perchè compiesse le necessarie valutazioni di mero diritto valutazioni su cui la consulenza tecnica del commercialista non avrebbe avuto incidenza alcuna . Doveri del commercialista Con il ricorso in Cassazione il contribuente afferma, per quanto qui interessa, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 2230 e ss., c.c., dell'art. 1 d.lgs. n. 1067/53 e dell'art. 12, d.lgs. n. 546/1992, nonchè degli artt. 1218, 1225 e 2236, c.c., oltreché dell'art. 2043 c.c In sostanza l'incarico conferito atteneva ad una consulenza tecnico - giuridica atta a fornire rimedi, termini e modalità previsti dall'ordinamento per la tutela avverso una sfavorevole sentenza della Commissione Tributaria Regionale , oltre che ad analizzare sul piano tecnico la motivazione del provvedimento e le ragioni del rigetto . Da ciò il ricorrente fa discendere l'obbligo per il commercialista di avvertire il cliente dei rimedi esperibili avverso la sentenze delle commissioni tributarie regionali e dell'impossibilità da parte sua di esperire i detti rimedi. Trattasi infatti, aggiunge l'appellante, di informazioni non di dominio pubblico e certo non pretendibili da chi di professione svolge l'orologiaio peraltro legato da un rapporto di clientela pluriennale , ed invece pretendibili da chi in qualità di commercialista ha delle competenze specifiche in materia tributaria, oltre che essere abilitato alla difesa innanzi alle giurisdizioni tributarie per il merito. Dunque, secondo l'appellante, omettendo informazioni che invece avrebbe dovuto fornire, il commercialista ha violato i doveri di diligenza professionale, rendendosi responsabile dei danni conseguiti a tale omissione. Anche in terzo grado il commercialista nega ogni responsabilità nega di avere ricevuto mai alcuno specifico incarico peraltro, precisa, in commissione tributaria il cliente era stato difeso da altro professionista afferma di non avere mai ricevuto nè la sentenza nè i fascicoli dei precedenti gradi di giudizio. Infine, esclude che il ricorso in Cassazione, se vi fosse stato, avrebbe avuto un esito favorevole ergo , anche ammessa la violazione del dovere di diligenza, non vi è responsabilità, perchè quelle somme il cliente avrebbe dovuto comunque pagarle. E responsabilità professionale. La Cassazione accoglie la posizione del ricorrente. Essa parte dal seguente assunto la responsabilità del dottore commercialista presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, e 2236 c.c., tenuto conto della natura e della portata dell'incarico conferito . E, dunque rientra nel dovere di diligenza anche l'obbligo di fornire ogni informazione utile non solo quelle rientranti nelle competenze del professionista, ma anche tenuto conto della portata dell'incarico conferito, di individuare le questioni che esulino dal detto ambito . Dunque, il commercialista dovrà avvertire il cliente dei limiti della sua competenza e fornirgli le informazioni comunque nella sua conoscenza perchè l'altro possa assumere decisioni autonome e, eventualmente, rivolgersi a chi competente è. Anche dunque nel caso di solo conferimento di una consulenza tecnica e di prima informazione non libera il commercialista da responsabilità la circostanza che egli non sia competente ad esperire rimedi in cassazione, se non avverte il cliente dei rimedi esperibili e della sua incompetenza. Non è dunque sufficiente rilevare, a posteriori, che la competenza ad esperire il rimedio non esiste. Detto ciò, tale principio può trovare applicazione solo ove risultino individuati i termini dell'incarico. Accertamento che la Corte d'appello, ritenendo infondata la domanda diritto, non ha effettuato, così come non ha effettuato gli accertamenti circa la sussistenza, in concreto, dei danni risarcibili . Insomma, si tratterà di accertare se i danni lamentati, cioè le somme pagate all'Agenzia delle Entrate, siano riconducibili in tutto o in parte a mancata informazione, se il ricorso fosse effettivamente proponibile e se avesse ragionevoli probabilità di successo vengono richiamate la sentenze nn. 9917/2010 , 22026/2004, con riferimento alla professione di commercialista, e nn. 10966/04, 2638/2013 e 11548/2013 con riferimento alla professione di avvocato . La causa viene dunque rinviata alla Corte d'appello territoriale, in diversa composizione, per gli accertamento degli elementi mancanti in sintesi portata dell'incarico, modalità del rapporto che ne è conseguito e ascrivibilità dei danni anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 aprile – 23 giugno 2016, n. 13007 Presidente Chiarini – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1.- S.D. citata in giudizio dinanzi al Tribunale di Campobasso il dott. D.C.V. , per sentire accogliere nei suoi confronti le seguenti conclusioni così trascritte in ricorso dichiarare il convenuto responsabile per la mancata impugnazione della sentenza n. 575/02/1999 della Commissione Tributaria Regionale di Campobasso condannare il medesimo alla restituzione della somma conseguentemente addebitata e già corrisposta dall’attore, ed al risarcimento di tutti gli ulteriori danni subiti , oltre le spese. A fondamento della domanda l’attore esponeva che, con la sentenza predetta, la commissione tributaria regionale si era pronunciata in senso a lui sfavorevole nel giudizio di appello tra lo stesso e l’Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto un accertamento relativo all’IRPEF dell’anno d’imposta 1991 che egli, che svolgeva l’attività di orologiaio in Campobasso, ignorando le condotte da adottare, aveva consegnato al proprio commercialista, dott. D.C. , l’originale della comunicazione del dispositivo della sentenza, chiedendo indicazioni e chiarimenti in merito che il professionista non l’aveva più contattato né, malgrado sue sollecitazioni, l’aveva convocato per illustrargli le iniziative da assumere, tanto che erano decorsi i termini per l’impugnazione della sentenza dinanzi alla Suprema Corte che perciò era stato costretto a corrispondere all’Amministrazione finanziaria le somme di Euro 62.165,30 e di Euro 26.113,61, oltre interessi, che aveva potuto reperire facendo ricorso al credito bancario che a nulla erano valse la costituzione in mora nei confronti del professionista e, su segnalazione di questi, nei confronti della compagnia assicuratrice per la responsabilità professionale. 1.1.- Si costituiva in giudizio il convenuto, chiedendo ed ottenendo in via preliminare, di chiamare in causa la compagnia assicuratrice Zurich Insurance Company. Nel merito, contestava la domanda, deducendo sia che il proprio studio professionale aveva prestato soltanto consulenza contabile per la ditta individuale dello S. e non aveva ricevuto alcun incarico riguardante la sentenza da impugnare, sia che egli non avrebbe potuto impugnarla non essendo abilitato alla difesa dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto dottore commercialista. Si costituiva anche la compagnia di assicurazioni chiamata in causa, rilevando l’infondatezza della domanda principale e, comunque, l’inoperatività della polizza ed eccependo, in subordine, i limiti di franchigia e di massimale ivi esposti. 1.2.- Con sentenza n. 88 del 2009, il Tribunale di Campobasso, ritenuta superflua la prova per interpello del convenuto richiesta dall’attore e la prova testimoniale diretta e contraria, ed acquisita la documentazione prodotta dalle parti, rigettava la domanda, escludendo la responsabilità professionale del convenuto in quanto, non essendo abilitato alla difesa tecnica dinanzi alle giurisdizioni superiori, non avrebbe potuto impugnare dinanzi alla Corte di cassazione la sentenza sfavorevole al contribuente. Condannava l’attore al pagamento delle spese di lite in favore di entrambe le controparti. 2.- Lo S. ha proposto appello, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza con la condanna del dott. D.C. al risarcimento dei danni. L’appellato e la compagnia di assicurazioni si sono costituiti ed hanno resistito, chiedendo il rigetto dell’appello. Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 18 luglio 2013, la Corte d’appello di Campobasso ha rigettato l’appello ed ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’appellante alle spese del grado. 3.- Avverso la sentenza S.D. propone ricorso affidato a tre motivi. D.C.V. e la Zurich Insurance Public Limited S.A. -Rappresentanza generale per l’Italia si difendono con distinti controricorsi. Nell’udienza fissata per la discussione orale, dopo le conclusioni del pubblico ministero, l’avvocato della parte ricorrente ha presentato alla Corte osservazioni per iscritto ai sensi dell’art. 379, ult. co., cod. proc. civ Motivi della decisione 1.- Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, immotivatamente avanzata dalla compagnia di assicurazioni resistente. La sentenza è stata notificata il 23 settembre 2013, come riconosciuto da tutte le parti e comprovato in atti, ed il ricorso è stato notificato ad entrambi i destinatari il 22 novembre 2013, quindi entro il termine di legge. Nel merito, va premesso che la Corte di appello ha ritenuto che, anche a voler tenere conto delle deduzioni dell’appellante sulla scorta di quanto articolato nei mezzi di prova e di quanto dedotto negli scritti difensivi , il cliente avrebbe affidato al professionista soltanto l’incarico di una consulenza di carattere tecnico in via di prima informazione e che perciò l’incarico non avrebbe avuto ad oggetto il conferimento della difesa dinanzi alla Corte di cassazione. Pertanto, secondo la Corte di merito, resa o non resa quella consulenza , lo S. , per proporre ricorso, si sarebbe dovuto rivolgere ad un avvocato patrocinante in cassazione mentre il parere tecnico del commercialista non avrebbe avuto incidenza alcuna sulle valutazioni di mero diritto che avrebbe dovuto compiere il legale incaricato dell’impugnazione. Secondo la Corte di merito, la proposizione dell’azione giurisdizionale sarebbe comunque dipesa da una scelta personale dell’attore che, per realizzarla, si sarebbe dovuto rivolgere a soggetti diversi dall’appellato, mentre sarebbe stata irrilevante l’attuazione o meno della prestazione richiesta al dott. D.C. . 1.1.- Col primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 2230 e seg. cod. civ., dell’art. 1 d.lgs. n. 1067/753 e dell’art. 12 d.lgs. n. 546/92, nonché degli artt. 1218, 1225 e 2236 cod. civ. e dell’art. 2043 cod. civ Il ricorrente assume che l’incarico conferito al professionista sarebbe consistito in una consulenza tecnico-giuridica volta innanzitutto a conoscere tempestivamente rimedi, termini e modalità previsti dall’ordinamento giuridico per la tutela avverso una sfavorevole sentenza della Commissione Tributaria Regionale, ed inoltre ad analizzare sul piano tecnico la motivazione del provvedimento e le ragioni del rigetto dell’appello . Da questo presupposto in fatto, il ricorrente fa discendere in diritto l’obbligo del commercialista di informare il cliente dell’esistenza del rimedio del ricorso per cassazione, nonché dei termini e delle modalità per la sua proposizione, inclusa l’informazione della necessità di rivolgersi ad un avvocato abilitato a difendere dinanzi alle giurisdizioni superiori trattandosi di circostanze né di pubblico dominio né nella conoscenza del cliente medesimo, considerato che svolgeva l’attività lavorativa di orologiaio. Invece, essendo il dottore commercialista un professionista cui l’ordinamento attribuisce specifica competenza in materia tributaria, oltre che il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni tributarie di merito come da norme richiamate in rubrica , egli ha anche specifica conoscenza sia del rito tributario che del sistema dei gravami esperibili. Quindi, il dott. D.C. , al quale il ricorrente sarebbe stato legato da pluriennale rapporto professionale in corso perché redigeva la contabilità della ditta individuale dello S. e ne era consulente , avrebbe dovuto fornire,con tempestività, le dette informazioni, in ossequio ai doveri di diligenza professionale derivanti dall’incarico conferito ai sensi dell’art. 2230 e seg. e dalla clausola generale dell’art. 1176 cod. civ. Con conseguente suo obbligo a risarcire i danni derivati al cliente dall’inadempimento del fondamentale obbligo di informazione danni sui quali si dilunga, poi, il motivo in esame. 1.2.- Col secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ 1.3.- Col terzo motivo, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta l’omesso profili, le censure già svolte col primo motivo in specie quanto alla sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento del professionista all’obbligo di informazione e la mancata tempestiva proposizione del ricorso dinanzi alla Corte di cassazione avverso la sfavorevole sentenza della commissione tributaria. 1.4.- Nel resistere al ricorso, il dottor D.C. sostiene che, come già dedotto nei precedenti gradi di giudizio, non sarebbe stato destinatario di nessuno specifico incarico concernente la sentenza della commissione tributaria regionale, dinanzi alla quale peraltro, lo S. era stato difeso da altro professionista così come nel primo grado del giudizio tributario , ed aggiunge che il cliente non avrebbe mai consegnato al suo studio la copia del dispositivo della sentenza e neppure i fascicoli dei precedenti gradi di giudizio a riscontro di queste asserzioni, il resistente, nel sottolineare che anche negli atti della controparte si dica soltanto di un incarico orale avente ad di carattere tecnico, evidenzia come in atti non vi siano missive inoltrate al professionista né solleciti, così che ne risulterebbe confermata la condotta incurante ed omissiva da ascriversi esclusivamente al ricorrente ”. Svolge quindi considerazioni in merito ai danni risarcibili ed alla in sussistenza di chance di successo nel caso in cui fosse stato proposto il ricorso per cassazione. 2.- Il primo motivo è fondato e va accolto, con le precisazioni di cui appresso. La Corte di appello non ha svolto alcuna apposita disamina in punto di fatto, avendo ritenuto che già le deduzioni della parte attrice fossero idonee ad escludere qualsivoglia responsabilità del convenuto. In particolare, ha reputato che, anche a voler ammettere che - come sostenuto dall’attore, poi appellante - l’incarico professionale fosse stato conferito e fosse consistito nella richiesta di una consulenza di carattere tecnico”, ovvero di un parere in prospettiva di un eventuale ricorso per cassazione”, non sarebbe stata comunque configurabile una responsabilità del professionista cui imputare i danni per la perdita della possibilità di ricorrere per cassazione. Questa conclusione, in punto di diritto, non è corretta. La responsabilità del dottore commercialista presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ., tenuto conto della natura e della portata dell’incarico conferito cfr. Cass. n. 16023/02, anche per la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, eventualmente gravanti sul prestatore d’opera intellettuale . Qualora si tratti di attività di consulenza richiesta ad un dottore commercialista, il dovere di diligenza impone, tra gli altri, l’obbligo, non solo di dare tutte le informazioni che siano di utilità per il cliente e che rientrino nell’ambito della competenza del professionista cfr. Cass. n. 14597/04 e n. 24544/09, in riferimento ad analoghi obblighi informativi imposti all’avvocato, nonché Cass. 14639/15, in riferimento agli obblighi informativi gravanti sul dottore commercialista , ma anche, tenuto conto della portata dell’incarico conferito, di individuare le questioni che esulino da detto ambito. Il professionista incaricato dovrà perciò informare il cliente dei limiti della propria competenza e fornire gli elementi ed i dati comunque nella sua conoscenza per consentire al cliente di prendere proprie autonome determinazioni, eventualmente rivolgendosi ad altro professionista indicato come competente. La definizione dell’ampiezza di questo dovere di informazione e la valutazione della diligenza richiesta nell’adempimento presuppongono che siano, in concreto, individuati gli esatti termini dell’incarico conferito al dottore commercialista. Nel momento in cui si ipotizzi - come ha fatto la Corte d’Appello - che lo stesso sia stato incaricato, se non della proposizione di un’impugnazione in cassazione, ma comunque di fornire una vera e propria consulenza, sia pure di carattere tecnico e di prima informazione , a seguito dell’esito infausto per il contribuente di un ricorso dinanzi alla commissione tributaria regionale, è obbligo di diligenza connesso all’incarico di consulenza così conferito quello di informare il cliente non solo delle giuridica o tecnico-contabile che stanno sentenza sfavorevole indubbiamente competenza del dottore commercialista, in quanto soggetto abilitato al patrocinio dinanzi alle commissioni tributarie , ma anche dei rimedi astrattamente esperibili, pur se non praticabili dallo stesso professionista. In diritto perciò la sola circostanza, valorizzata dal giudice di secondo grado, che il dottore commercialista non sia abilitato a promuovere ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione avverso una sentenza della commissione tributaria regionale non vale ad escluderne la responsabilità, ove non gli si ascriva soltanto tale mancata impugnazione, bensì la mancata ottemperanza all’obbligo di informare il cliente della necessità di rivolgersi ad un avvocato abilitato, nei tempi previsti dall’ordinamento per impugnare la sentenza. In accoglimento del primo motivo di ricorso, perciò, la sentenza va cassata, con assorbimento dei motivi restanti. 3.- Peraltro, essendo l’obbligo di informazione strettamente correlato, come detto, al conferimento di un vero e proprio incarico professionale nonché al tipo ed alla portata di questo incarico, ed, ancora, alle modalità di svolgimento del rapporto tra il professionista ed il cliente, che ne è seguito, per tutto il successivo periodo utile alla proposizione dell’impugnazione, le parti non possono che essere rimesse dinanzi al giudice del merito per il relativo accertamento. Parimenti esulano, allo stato, dall’esame di questa Corte tutte le ulteriori questioni poste dalle parti in merito alla sussistenza, in concreto, di danni risarcibili. Ed invero la relativa liquidazione presuppone l’accertamento, rimesso al giudice del merito, se, in concreto, l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia effettivamente riconducibile, in tutto o in parte, a mancata informazione, se il ricorso fosse effettivamente proponibile e se avesse ragionevoli probabilità di successo cfr. Cass. n. 9917/10, nel senso che la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività del commercialista incaricato dell’impugnazione di un avviso di accertamento tributario, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso alla commissione tributaria, che avrebbe dovuto essere proposto e diligentemente seguito cfr., nello stesso senso, Cass. n. 22026/04 e, con riferimento all’ipotesi analoga della condotta omissiva dell’avvocato, tra le altre, Cass. n. 10966/04, n. 2638/13 e n. 11548/13 . La causa va perciò rinviata alla Corte d’Appello di Campobasso, in diversa composizione, perché proceda ad un nuovo esame dei fatti di causa, accertando l’effettivo contenuto dell’incarico conferito al professionista, e ne valuti la condotta, in relazione alla ricostruzione dei rapporti tra le parti, attenendosi ai principi di diritto sopra richiamati. Avuto riguardo all’esito complessivo della lite, provvederà il giudice di rinvio a regolare le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Campobasso, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.