Descrivere un rapporto sentimentale in un libro lede sempre la reputazione personale?

In tema di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. per lesione della reputazione personale, la condotta diffamatoria della persona non va valutata in riferimento alla considerazione che ognuno ha della sua reputazione, bensì come lesione dell’onore e della reputazione che la persona goda tra i consociati.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12813/16, depositata il 21 giugno. Il fatto. La ricorrente in Cassazione denuncia la sentenza della Corte d’appello di Genova con la quale venivano respinte le sue domande volte ad ottenere il risarcimento dei danni subiti, a suo dire, a causa della lesione del diritto all’identità personale, all’onore e alla reputazione a seguito della pubblicazione di un libro scritto dalla controparte. In tale libro, infatti, veniva descritto il rapporto sentimentale tra due persone la ricorrente è nipote di uno dei protagonisti della storia . Carattere offensivo. Per i Giudici di legittimità, le doglianze proposte dalla ricorrente non meritano accoglimento, infatti, non è possibile riscontrare nella sentenza impugnata nessuna violazione della regola generale del neminem laedere . Secondo il costante orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, la valutazione del carattere offensivo o non di uno scritto o di altra manifestazione del pensiero si pone, per il giudice che deve adottarla, come valutazione di un fatto, in ordine al quale esso ha l’obbligo di dare conto del convincimento cui perviene, nel rispetto dei canoni metodologici che, in maniera espressa o implicita, l’ordinamento pone. Nell’esaminare il caso, il giudice di merito, ha adeguatamente dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto che i fatti descritti nel libro della convenuta non costituissero offesa all’onore e alla reputazione del protagonista, né alterassero il diritto all’identità personale del medesimo. Risarcimento danni. È noto, continuano i Giudici del Palazzaccio, che in merito al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. per lesione della reputazione personale, la condotta in tesi diffamatoria della persona non va valutata in riferimento alla considerazione che ognuno ha della sua reputazione, bensì come lesione dell’onore e della reputazione che la persona goda tra i consociati. In conclusione, quindi, i giudici del merito correttamente hanno valutato la non offensività delle condotte attribuite all’odierna ricorrente nell’opera letteraria, tenendo conto del sentimento etico comune al lettore contemporaneo libro pubblicato nel 2002 e non certo della morale imperante all’epoca dei fatti descritti nel libro anni trenta del secolo scorso . Per tali ragioni, la S.C. respinge il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della ricorrente oltre spese generali e accessori come per legge.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 aprile – 21 giugno 2016, n. 12813 Presidente Dogliotti – Relatore Terrusi Svolgimento del processo Nel omissis C.A. scrisse un libro pubblicato con il titolo omissis , in seno al quale descrisse il rapporto sentimentale tra la P. e il defunto prof. Ce.An.Ma. . R.L.R.I. , nipote di Ce.An.Ma. , assumendo che taluni fatti descritti nell’opera pubblicata costituivano lesione del diritto all’identità personale, all’onore e alla reputazione sua e dello zio, convenne allora in giudizio C.A. innanzi al Tribunale di Genova per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti. Respinte dal tribunale tutte le domande dell’attrice, sull’appello proposto dalla R.L. , la Corte d’Appello di Genova confermò la sentenza di primo grado, ritenendo che gli aspetti del libro su cui si incentravano le censure dall’appellante non fossero tali da ledere né l’identità personale e neppure l’onore del Ce. soggiunse la corte che la C. nel libro non aveva indotto il lettore a ritenere, erroneamente, che l’unica fonte delle notizie raccolte sul rapporto sentimentale tra la P. e il Ce. fosse stata proprio la nipote. R.L.R.I. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Genova, affidando il gravame a sei motivi. C.A. ha notificato controricorso la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5 , c.p.c., deducendo che erroneamente la corte d’appello ha omesso di indagare sulla falsità o verità dei fatti descritti nel libro pubblicato dalla C. , limitandosi ad evidenziarne la collocazione a metà strada tra il romanzo e la biografia. Con il secondo motivo, la R.L. deduce ulteriore vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5 , c.p.c., assumendo che il giudice di merito non avrebbe approfondito l’esame delle fonti utilizzate dalla scrittrice, mal motivando sull’effettivo rispetto dell’identità personale del prof. Ce. . Con il terzo motivo, assume la ricorrente la violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la corte pronunciato d’ufficio su una eccezione non formulata nei termini di rito dalla convenuta. Con il quarto motivo, si duole l’istante della violazione degli artt. 2 Cost e 2043 c.c., per avere il giudice di merito ritenuto che il diritto all’identità personale non debba trovare tutela, a prescindere dalla mentalità e moralità media del lettore che si accosta alla lettura di un opera biografica. Con il quinto motivo, deduce l’istante vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5 , c.p.c., avendo la corte omesso di indicare quale risulti essere la mentalità e la moralità media del lettore di oggi, posta a base del suo ragionamento teso ad escludere l’offensività degli scritti oggetto di causa. Con il sesto motivo erroneamente rubricato come settimo motivo la R.L. assume ulteriore vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5 , c.p.c., per avere il giudice del merito errato nel ritenere che la C. abbia utilizzato altre fonti di conoscenza, oltre ad essa ricorrente, per ricostruire i rapporti tra la P. e il Ce. , senza neppure indicare ed esaminare dette fonti. 2. Il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente stante la loro stretta connessione per la comune censura sulla motivazione della sentenza impugnata, sono inammissibili. E invero, com’è noto, il motivo di ricorso con cui ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. - nel testo vigente dopo la novella introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ratione temporis applicabile si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il fatto controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per fatto non una questione o un punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c. cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo od anche un fatto secondario cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale , purché controverso e decisivo Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152 Cass. 27 luglio 2012, n. 13457 Cass. 5 febbraio 2011, n. 2805 . Nella vicenda all’esame della Corte, invece, la ricorrente con i motivi in esame si è limitata a denunciare in maniera generica la mancata o insufficiente motivazione da parte del giudice sulla verità o falsità dei fatti affermati nel libro , ovvero sulla affermata serietà nella ricerca delle fonti , senza poi esporre quali siano stati i fatti specifici effettivamente dedotti nella lite e che si sarebbero mostrati decisivi ai fini del giudizio sulla lesione dell’onore e della reputazione del Ce. , in relazione ai quali sussisterebbe il denunciato vizio di omessa o carente motivazione. 3. Il terzo motivo è infondato. La corte di merito non ha affatto pronunciato su una eccezione quella di verità dei fatti, peraltro putativa non rilevabile d’ufficio e non tempestivamente proposta dall’appellata, limitandosi a stabilire la compatibilità di quei passaggi più propriamente narrativi, pure all’interno di un’opera di natura biografica, alla precisa condizione che il racconto sia comunque frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca cfr. Cass. 8 febbraio 2007, n. 2751 . 4. Infondato è anche il quarto motivo. Nessuna violazione della regola generale del neminem laedere è riscontrabile nella sentenza impugnata, avendo la corte di merito ritenuto, con motivazione che, come si dirà in fra, si sottrae a censure di sorta, che il contenuto degli scritti della C. , semplicemente, non integrasse alcuna violazione del diritto all’identità personale e all’onore suo o del prof. Ce. . 5. Pure il quinto motivo è infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte, la valutazione del carattere offensivo o non di uno scritto o di altra manifestazione del pensiero si pone, per il giudice che deve adottarla, come valutazione di un fatto, in ordine alla quale esso ha l’obbligo di dare conto del convincimento cui perviene, nel rispetto dei canoni metodologici che, in maniera espressa o implicita, l’ordinamento pone. Ciò implica che il sindacato di legittimità è circoscritto alla violazione del canone metodologico in sé, ed è esclusa ogni nuova valutazione del fatto rappresentato, che resta riservata al giudice di merito Cass. 24 maggio 2002, n. 7628 vedi anche in tema di diffamazione a mezzo stampa Cass. 13 agosto 2015, n. 16786 Cass. 16 maggio 2007, n. 11259 Cass. 7 luglio 2006, n. 15510 . Nella vicenda all’esame, il giudice di merito, con motivazione congrua ed ampiamente argomentata, ha dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto che i fatti descritti nel libro della C. e riferiti, in particolare, al rapporto sentimentale instauratosi tra la P. e il Ce. , non costituissero offesa all’onore e alla reputazione di quest’ultimo, né alterassero il diritto all’identità personale del medesimo. 6. Del resto, è noto che in tema di risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. per lesione della reputazione personale, la condotta in tesi diffamatoria della persona non va valutata quam suis, e cioè in riferimento alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione, bensì come lesione dell’onore e della reputazione che la persona goda tra i consociati Cass. 22 ottobre 2010, n. 21740 . E nel caso in esame bene ha fatto il giudice di merito a valutare la non offensività per suo onore e decoro delle condotte attribuite al Ce. nell’opera letteraria, tenendo conto specificatamente del sentimento etico comune al lettore contemporaneo il libro è stato pubblicato nell’anno 2002 e non certo della morale imperante all’epoca dei fatti descritti nel libro gli anni trenta del secolo scorso . 7. Inammissibile, infine, si mostra il sesto e ultimo motivo di ricorso. La ricorrente, invero, ancora una volta omette di precisare su quali fatti specifici, controversi e decisivi per l’esito della lite, il giudice di merito avrebbe omesso di motivare, nel respingere la domanda fondata sulla pretesa violazione della sua onorabilità, discendente dalla falsa indicazione della medesima, quale unica fonte delle notizie sul Ce. riportate nel libro oggetto di lite. Va soggiunto che la corte d’appello, nell’esaminare le doglianze della ricorrente, correttamente ha evidenziato l’esistenza di altre pubblicazioni dedicate alla figura del professore, che hanno evidentemente influenzato l’opera letteraria della C. e alle quali, del resto, venne fatto un preciso richiamo proprio in una nota del testo e tanto basta per escludere la denunciata carenza di motivazione sulla domanda risarcitoria formulata dall’istante. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente, liquidate in complessivi Euro 7.200, di cui Euro 7.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.