Legittimo l’uso della perizia disposta dal pm nel parallelo procedimento penale

Il giudice di merito può tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest’ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 9242 del 6 maggio 2016. Il caso. Il giudizio nasce dalla domanda risarcitoria proposta da un uomo per i danni patiti in conseguenza del decesso della madre, intervenuto a causa di un incidente stradale. In particolare, la donna veniva investita da un camion mentre attraversava una strada statale in un luogo dove non era consentito il passaggio pedonale. La domanda veniva respinta dal giudice di primo grado, il quale faceva proprie le conclusioni del c.t.u. nominato dal pm nel procedimento penale instauratosi a carico del convenuto. Invero, detto procedimento era stato archiviato per mancanza di qualsiasi profilo di colpa a carico del conducente, dovendosi attribuire l’esclusiva responsabilità del sinistro alla condotta imprudente ed imprevedibile della donna, che, in assenza di attraversamento pedonale, avrebbe dovuto attendere il passaggio di tutti i veicoli che sopraggiungevano sulla strada. La pronuncia veniva confermata in sede d’appello, sicché l’attore, unitamente alla sorella intervenuta nel medesimo giudizio, si rivolgeva alla Corte di Cassazione. Utilizzo di prove raccolte in altri procedimenti. I ricorrenti, oltre a contestare la ricostruzione della dinamica degli eventi effettuata dalla Corte di merito, censurano la decisione impugnata per aver recepito integralmente gli esiti degli accertamenti tecnici disposti dal pm senza ammettere la c.t.u. da loro richiesta. Sostengono i ricorrenti che l’ordinanza di archiviazione del gip non può essere equiparata a una sentenza irrevocabile, sicché la Corte territoriale non doveva limitarsi a richiamare tale provvedimento, ma avrebbe dovuto argomentare dettagliatamente la propria decisione. Nel respingere la censura, la Suprema Corte ritiene che i giudici del merito abbiano correttamente ricostruito la dinamica del sinistro, utilizzando a tal fine la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero nell’indagine preliminare per omicidio colposo a carico del convenuto. Invero, nel richiamare un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli Ermellini osservano che il giudice di merito possa utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse e anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale la quale cosa è avvenuta nel caso di specie o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili. Eccezioni alla presunzione di colpa a carico del conducente. Sotto altro profilo, i ricorrenti censurano la pronuncia per non aver ritenuto comunque sussistente una concorrente responsabilità del conducente del veicolo investitore, non avendo valutato, nel caso di specie, l’età avanzata della signora, che le impediva di muoversi con agilità per evitare i veicoli in arrivo. Ebbene, nel respingere anche tale profilo di censura, la Suprema Corte osserva che, nel caso di investimento di un pedone da parte di un veicolo senza guida di rotaie, l’art. 2054, comma 1, c.c. pone a carico del conducente di quest’ultimo una presunzione iuris tantum di colpa. Per vincere tale presunzione il conducente ha l’onere di provare che il pedone abbia tenuto una condotta anomala, violando le regole del codice della strada e parandosi imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo investitore. Da ciò deriva che la mera violazione, da parte del pedone, dell’obbligo di concedere la precedenza ai veicoli in transito quando attraversi la strada al di fuori dei passaggi pedonali non basta di per sé ad escludere in toto la colpa del conducente. Pertanto, il pedone può essere ritenuto responsabile esclusivo del sinistro soltanto quando si pari improvvisamente ed imprevedibilmente dinanzi a traiettoria del veicolo e tale è stata la condotta della vittima accertata dal giudice di merito nel caso di specie.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 gennaio – 6 maggio 2016, n. 9242 Presidente Ambrosio – Relatore Pellecchia Svolgimento del processo 1. Nel 2009 L.F. convenne in giudizio S.V. , la Trivella Costruzioni e Calcestruzzi e la Milano Assicurazioni s.p.a. per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti in conseguenza del decesso della madre Sig.ra T.I. avvenuto il omissis in seguito alle gravissime lesioni riportate a causa di un incidente stradale. Espose l’attore che la madre mentre si trovava lungo il margine della S.S. XX, nel territorio del comune di omissis , all’altezza della progressiva chilometrica 27 + 200, intenta ad attraversare la strada veniva urtata dal veicolo autopompa Fiat Iveco 330 35 VF targato di proprietà della società trivella costruzioni e calcestruzzi S.r.l., nell’occasione condotto dallo S. . Quest’ultimo, pur essendosi avveduto della presenza del pedone sulla strada e dell’avvenuto inizio di attraversamento dello stesso, nonostante azionasse il pedale del freno bruscamente sterzando a sinistra, non era in grado di arrestare la propria marcia e perse il controllo del mezzo fino ad irrimediabilmente travolgere la signora T. , la quale in conseguenza delle gravi lesioni riportate per effetto dell’impatto decedeva poche ore dopo il suo ricovero in ospedale. I convenuti, tutti costituitisi, contestarono la dinamica del sinistro descritta dall’attore ritenendo la signora quale unica responsabile dell’incidente. Sostennero che in sede di accertamento tecnico irripetibile, inteso alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e disposto dal PM del procedimento penale instauratosi a carico del convenuto S. il c.t.u. nominato, era giunto ad escludere qualsiasi profilo di colpa e di responsabilità a carico dello stesso nella causazione della morte della T. . E che proprio sulla base di tale consulenza fu disposta l’archiviazione del procedimento penale per infondatezza della notizia di reato. Pertanto i convenuti fecero proprie le conclusioni rassegnate all’interno dell’elaborato peritale insistendo per la piena utilizzabilità dello stesso ai fini della formazione del libero convincimento del giudice civile. Successivamente con atto di intervento volontario si costituì L.T. figlia della de cuius e sorella del ricorrente. Il Tribunale di Milano con la sentenza numero 2949/2011 respinse la domanda attorca, basandosi sia sulla Ctu del pubblico ministero che aveva concluso che al momento in cui iniziava la frenata il mezzo procedeva ad una velocità inferiore al limite previsto e sia sulla considerazione del fatto che nessun addebito potesse muoversi allo S. per aver bruscamente azionato il freno una volta accortosi della presenza della T. che attraversava in un luogo dove non era consentito. 2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 908 del 27 marzo 2013. La Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di prime cure ha posto a base delle sue autonome, se pur convergenti, valutazioni dell’accaduto le risultanze degli approfonditi accertamenti condotti in sede penale, e precisamente la consulenza tecnica dell’ingegner C. , incaricato dal pubblico ministero di Sondrio e gli esiti delle indagini della polizia stradale. Ha ritenuto non necessaria la rinnovazione della c.t.u. posto che non sono stati indicati errori metodologici che possano aver inficiato gli esiti degli accertamenti tecnici. Quindi alla luce delle testimonianze e della condotta imprudente ed imprevedibile della T. che in assenza di attraversamento pedonale avrebbe dovuto comunque attendere il passaggio di tutti i veicoli che sopraggiungevano sulla strada prima di iniziare l’attraversamento nessuna responsabilità poteva addebitarsi allo S. . 3. Avverso tale decisione, L.T. e F. propongono ricorso in Cassazione sulla base di 4 motivi, illustrati da memoria. 3.1. Gli intimati non svolgono attività difensiva. Motivi della decisione 4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi di diritto e della dinamica, con contraddittorietà nella motivazione, difetto di esame di fatti e punti decisivi ex art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. . Lamentano che la Corte d’Appello ha errato nella ricostruzione dei fatti con conseguente addebito di responsabilità esclusiva nella causazione del sinistro de quo a carico della defunta, in quanto prospettato in sede di motivazione una dinamica inverosimile se non impossibile dell’incidente. Ha errato anche nel ricostruire lo stato dei luoghi nonché la dinamica dell’incidente non avendo compreso il senso di marcia dei mezzi e la posizione del pedone lungo la carreggiata. 4.2. Con il secondo motivo, denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5 . Sostengono che la Corte d’Appello ha erroneamente non ammesso la c.t.u. richiesta dagli appellanti in quanto sulla base degli esiti degli accertamenti tecnici disposti dal PM il Gip aveva disposto l’archiviazione del procedimento per omicidio colposo a carico dell’autista in quanto tali esiti non erano stati contestati puntualmente dalla difesa della ricorrente. Il giudice del merito ha quindi attribuito al provvedimento di archiviazione una qualificazione giuridica che non gli è propria perché non può essere equiparato a una sentenza irrevocabile. Pertanto la corte territoriale non doveva limitarsi a richiamare tale provvedimento bensì avrebbe dovuto argomentare dettagliatamente la propria decisione. Inoltre la difesa degli attori ha più volte dettagliatamente evidenziato l’enorme discrepanza degli esiti degli accertamenti effettuati dai vari consulenti della procura e di parte su punti decisivi per la decisione. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi infondati. I giudici del merito non sono incorsi in nessuna delle violazioni loro attribuite. Hanno correttamente ricostruito la dinamica del sinistro utilizzando a tal fine la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero nell’indagine preliminare per omicidio colposo a carico del convenuto. È principio generale di questa Corte che il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest’ultimo possono fame oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa. Cass. 28855/2008 . Il giudice di merito può utilizzare in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse e anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trame non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili. Cass. 8585/1999 Cass. 15714/2010 Cass. 9843/2014 . E così è avvenuto nel caso di specie. Tra l’altro va osservato che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, lo sono anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua giustificazione del criterio adottato conseguentemente, ai fini d’una decisione conforme al disposto dell’art. 132 n. 4 C.P.C., il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi onde pervenire alle assunte conclusioni, per implicito disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Pertanto, vizi motivazionali in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere utilmente dedotti ove la censura si limiti alla contestazione d’una valutazione delle prove effettuata in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché proprio a norma dell’art. 116/1^ C.P.C. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l’individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all’uopo le prove, il controllarne l’attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti. Nel caso di specie, i requisiti appena riassunti sono tutti soddisfatti dalla motivazione della sentenza impugnata. 4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli aut. 140, 141, 142, 190 e 191 D.Lgs. 285/1992 Codice della Strada in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. . Il giudice dell’appello ha errato perché non ha considerato che l’incidente è avvenuto in un centro abitato e non ha valutato il fatto che si fosse nei pressi di una stazione ferroviaria frequentata dagli abitanti del posto. La Corte d’Appello non solo non ha considerato lo stato dei luoghi ma non ha tenuto conto dell’accertamento oggettivo della velocità da parte della polizia stradale. Anche tale motivo è infondato. La corte territoriale ha ben valutato tutti gli elementi necessari per valutare la dinamica dei fatti. Ma in ogni caso il giudice del merito ha ritenuto che il sinistro, sulla base delle prove assunte, debba ascriversi per intero alla condotta macroscopicamente imprudente della stessa vittima che attraversò velocemente la carreggiata. senza accorgersi del quasi contemporaneo sopraggiungere del mezzo condotto dal convenuto. È principio consolidato di questa Corte che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. 4.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. . La Corte d’Appello ha errato perché non ha ritenuto che sussiste comunque una concorrente responsabilità del conducente del veicolo investitore ove emerga che cosmi abbia tenuto una velocità eccessiva o non adeguata alle circostanze di tempo e di luogo. La corte tra l’altro non ha valutato che la signora era anziana e non poteva certo iniziare a correre improvvisamente come emerge dalla contraddittoria testimonianza del Ce. . Il motivo è infondato. Nel caso di investimento di un pedone da parte di un veicolo senza guida di rotaie l’art. 2054 c.c., comma 1, pone a carico del conducente di quest’ultimo una presunzione juris tantum di colpa. Per vincere tale presunzione il conducente ha l’onere di provare che il pedone abbia tenuto una condotta anomala, violando le regole del codice della strada e parandosi imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo investitore. Da ciò deriva che la mera violazione, da parte del pedone, dell’obbligo di concedere la precedenza ai veicoli in transito quando attraversi la strada al di fuori dei passaggi pedonali, non basta di per sé ad escludere in toto la colpa del conducente. Pertanto il pedone può essere ritenuto responsabile esclusivo del sinistro soltanto quando si pari improvvisamente ed imprevedibilmente dinanzi a traiettoria del veicolo. Tale è stata la condotta della vittima accertata dal giudice del merito. 5. In considerazione che gli intimati non hanno svolto attività difensiva non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d P R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.