Se vuoi che il giudice applichi le tabelle di Milano devi chiederlo prima di arrivare in Cassazione!

L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito.

Così la Terza Sezione Civile nella sentenza n. 6225, depositata il 31 marzo 2016. Il fatto. I fratelli tra cui uno convivente della donna deceduta a seguito dell'investimento avvenuto in tarda serata per opera di un veicolo rimasto sconosciuto convennero in giudizio la società designata dal Fondo Vittime della Strada per sentirla condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali per spese funerarie, a favore di tutti, nonché del danno patrimoniale a favore del solo fratello convivente. Il Tribunale, affermata la pari responsabilità tra veicolo e pedone, riconosceva la somma di € 6.000 a favore di ogni fratello non convivente, mentre a quello convivente la maggior somma di € 8.000. Proposto appello dai fratelli, la Corte modificava sia la statuizione sulla responsabilità, riconoscendone la maggiore responsabilità, nella misura del 70%, a carico dell'auto, sia quella sulla liquidazione del danno non patrimoniale, che liquidava in € 21.0000 a favore del fratello convivente e di € 14.0000 a favore degli altri. Sia in primo che in secondo grado venivano rigettate le richieste di risarcimento di ogni danno patrimoniale. I fratelli proponevano quindi ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado. Il vizio revocatorio non è censurabile in Cassazione. I primi tre motivi di ricorso vertono tutti sulla declaratoria di responsabilità, minoritaria ma comunque presente, a carico della pedone. Gli stessi vengono tutti rigettati. In particolare vale la pena sottolineare come la circostanza che il giudice di merito abbia fatto riferimento ad una inesistente sic consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado, lungi dall'essere ricorribile in Cassazione avrebbe dovuto essere fatto valere con lo strumento straordinario dell'azione di revocazione, prevista dall'art. 395 del c.p.c., trattandosi per l'appunto di un tipico vizio revocatorio sul punto cfr. Cass. n. 10066/2010 . Peraltro, incidentalmente, la Terza Sezione osserva come, probabilmente si sia trattato di un errore materiale compiuto dalla Corte territoriale, che avrebbe chiamato consulenza tecnica” quello che in realtà era il rapporto di polizia e la planimetria ad esso allegata. Non si può chiedere per la prima volta in Cassazione l'applicazione delle tabelle milanesi. Il quarto motivo di ricorso è invece relativo alla, supposta erronea, liquidazione del danno non patrimoniale, che sarebbe stato liquidato in misura inferiore a quanto previsto dalle note tabelle milanesi. Anche tale motivo viene però rigettato dalla Cassazione, in considerazione del fatto che non risulta agli Ermellini che nei precedenti gradi di giudizio i danneggiati avessero richiesto l'applicazione di tali tabelle. Anzi, addirittura risulta dalle conclusioni precisate in sede di appello e riportate nella sentenza impugnata che i fratelli non conviventi avessero chiesto una somma inferiore a quella richiesta nel ricorso in cassazione e, quello convivente, esattamente la somma poi riconosciutagli dovuta. Pertanto, in conformità del principio già esplicitato, per cui l'applicazione di diverse tabelle può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito così Cass. n. 12408/2011 . Il rigetto del motivo afferente il mancato riconoscimento del danno patrimoniale a favore del fratello convivente, viene invece motivato ribadendo la correttezza della valutazione effettuata dalla Corte d'appello, di non poter fondare sulla mera convivenza la prova dello svolgimento di attività domestiche da parte della donna. Oltretutto, e viene fatto rilevare dagli Ermellini, il fratello qualifica la stessa come giovane” quando si tratta di richiedere un maggior danno non patrimoniale, per poi passare a definirla non giovane” quando cerca invano, appunto di desumere dall'età l'attività di casalinga prestata dalla stessa. Anche il mancato rimborso delle spese funerarie viene peraltro motivato dalla Terza Sezione sotto il profilo della mancanza di prova se è vero, infatti, che è possibile la liquidazione anche in via equitativa di tali spese, ciò vale solo nel caso di impossibilità per gli eredi di esibire idonea documentazione . Ebbene, nel caso di specie, osserva la Cassazione, gli eredi non solo non hanno allegato alcuna prova ma nemmeno dedotto l'impossibilità di offrire la documentazione e, ancora, nemmeno allegato alcuna informazione per poter parametrare il costo sostenuto. Al rigetto del ricorso la Terza Sezione fa conseguire, peraltro, non solo la condanna alle spese ma anche la condanna a versare nuovamente l'importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1- quater , del d.P.R. n. 115/2002.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 gennaio – 31 marzo 2016, n. 6225 Presidente Vivaldi – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. I fratelli e la sorella di M.V. , deceduta in esito all’investimento in tarda serata da parte di un veicolo restato sconosciuto su una strada statale al limitare del centro urbano, convennero in giudizio Assicurazioni Generali spa poi Generali Italia Spa , quale società designata dal Fondo Vittime della Strada, e chiesero il risarcimento dei danni. Il Tribunale di Padova ritenne la responsabilità concorrente pari al 50%, del pedone e del conducente del mezzo restato sconosciuto, e, tenuto conto del concorso, condannò l’assicurazione al pagamento del danno non patrimoniale pari ad Euro 8.000,00 in favore del fratello L. convivente e pari ad Euro 6.000,00 a favore di ciascuno degli altri germani. Rigettò la domanda di danno patrimoniale avanzata dal convivente L. e quella per spese funerarie avanzata da tutti. La Corte di appello di Venezia accolse parzialmente l’impugnazione e ritenne il concorso della vittima pari al 30% inoltre, aumentò l’importo a titolo di danno non patrimoniale riconoscendo, anche tenuto conto della diversa percentuale di colpa, a L. Euro 21 mila e a ciascuno degli altri, Euro 14 mila, confermando il rigetto delle domande di danno patrimoniale sentenza del 9 aprile 2013, come corretta con ordinanza del 25 settembre 2013 . Avverso la suddetta sentenza gli originari attori, tra i quali gli eredi di M.E. , deceduto nelle more, propongono ricorso affidato a sei motivi, esplicati da memoria in quest’ultima si eccepisce l’inammissibilità per tardività del controricorso. L’assicurazione resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. Preliminarmente, si rileva la inammissibilità per tardività del controricorso. La notifica del controricorso è stata richiesta dall’Assicurazione il 3 febbraio 2014 , dopo la scadenza dei termini risultanti dal combinato disposto degli artt. 370, primo comma e 369, primo comma c.p.c. ricorso ricevuto dalla intimata il 12 dicembre 2013 . 2. I primi tre motivi di ricorso, strettamente connessi, investono la ritenuta responsabilità concorrente del pedone e mirano ad escluderla sulla base di una diversa ricostruzione fattuale del sinistro volta a negare anche l’inizio di attraversamento. In tutti i motivi, si invoca la violazione dell’art. 115 c.p.c. e, nel terzo, anche la violazione dell’art. 1227 c.c Tutte le censure sono inammissibili rispetto a più profili. 2.1. Si censura primo motivo la sentenza per aver fatto riferimento, nella ricostruzione della dinamica del sinistro, ad una inesistente consulenza tecnica espletata in primo grado. Tale denuncia, isolatamente considerata, si configura quale errore revocatorio non deducibile con il ricorso per cassazione perché si sarebbe dovuto azionare il rimedio appropriato, investendo il giudice che ha emesso il provvedimento che si assume affetto di errore. Secondo il principio consolidato affermato dalla Corte di legittimità, Qualora una parte assuma che la sentenza di secondo grado, impugnata con ricorso ordinario per cassazione, è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio di merito, il ricorso è inammissibile, essendo denunziato - al di là della qualificazione come violazione di legge - un tipico vizio revocatorio, che può essere fatto valere, sussistendone i presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione, disciplinato dall’art. 395 cod. proc. civ. ex plurimis Cass. n. 10066 del 2010 . 2.2. Si assume che la sentenza avrebbe azzardato ipotesi al di là della comune esperienza secondo motivo , invece di fondare la decisione, in assenza di prove, su nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza. Poi, nella parte esplicativa, si critica la ricostruzione della dinamica fatta dal giudice, assumendo a base il rapporto della Polizia stradale e la planimetria con le misurazioni, dai quali, nella valutazione dei ricorrenti, emergerebbe l’assenza di responsabilità del pedone. Questo profilo di censura, da un lato prospetta inammissibilmente una diversa ricostruzione della dinamica a partire dal rapporto di polizia e dalla planimetria, così avvalorando la tesi che, in realtà, il giudice facesse riferimento a questi atti quasi fosse un lapsus calami il richiamo della consulenza sulla dinamica contenuto in sentenza . Dall’altro, è inammissibile anche per la violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6 e dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c Infatti, i documenti suddetti vengono solo richiamati come doc. n. 1, 4 e 8 alla fine di ogni motivo. È generalmente assente qualunque indicazione in ordine al luogo, parte, punto del documento rilevante rispetto alle censure, anche a prescindere dalla indicazione del tempo del loro deposito e della fase del giudizio in cui è avvenuta né tali documenti sono stati allegati al ricorso ai sensi dell’art. 369 cit. o ne è stata indicata la loro collocazione nel fascicolo di parte. In definitiva, la Corte non è posta in grado di valutare la decisività delle censure avanzate. 2.3. Del pari inammissibile è il terzo motivo che, sulla base di una sola diversa valutazione degli elementi istruttori, sostiene l’assenza di colpa della danneggiata anche nella pur negata ipotesi che essa avesse cominciato l’attraversamento della strada. 3. Con il quarto motivo, invocando la violazione degli artt. 1223, 1226 e 2059 c.c., si censura la liquidazione quantitativa del danno non patrimoniale, lamentando la mancata applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano. 3.1. La Corte di merito, dopo aver richiamato la decisione delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008 e aver premesso che il risarcimento del danno non patrimoniale deve essere integrale, ha ritenuto che il primo giudice - pur differenziando la posizione del fratello convivente dagli altri fratelli che non convivevano da tempo - aveva errato nel determinare una somma al di sotto delle soglie minime previste dalle tabelle all’epoca in uso . Quindi, ha ritenuto più adeguata una maggior somma, sempre differenziata, individuandola. 3.2. I ricorrenti lamentano la mancata applicazione delle tabelle milanesi, per aver il giudice previsto nei confronti dei fratelli non conviventi una somma al sotto del minimo 20 mila in luogo del minimo di 23 mila mentre, per essere satisfattiva, la liquidazione avrebbe dovuto essere determinata, almeno, intorno alla metà dello scaglione, in ragione della giovane età della defunta 55 anni al momento del sinistro e dell’essere l’unica sorella nubile comunque, lamentano ogni argomentazione idonea a supportare l’importo liquidato. 3.3. La censura è inammissibile. Premesso che, il profilo del mancato riconoscimento del danno esistenziale - pure evocato - non assume alcuna autonomia argomentativa nell’esplicazione del motivo, deve rilevarsi che i ricorrenti non dimostrano di aver invocato nel giudizio di merito l’applicazione delle tabelle milanesi. Anzi, come risulta dalle conclusioni precisate in sede di appello e riportate nella sentenza impugnata, per il fratelli non conviventi avevano chiesto una somma minore di quella richiesta con ricorso e, per quello convivente, avevano chiesto proprio l’importo liquidato. Il motivo è inammissibile in conformità del principio, secondo cui, L’applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell’applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito . Cass. n. 12408 del 2011 . 4.Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. per il mancato riconoscimento del danno patrimoniale al fratello convivente L. . 4.1. La Corte di merito ha ritenuto la mancanza di prova in ordine al decremento patrimoniale, non essendo sufficiente la mera convivenza per ritenere che la sorella aiutasse il fratello economicamente e che, comunque, provvedesse alle incombenze domestiche, così da doversi rivolgere a terzi. Ha confermato l’inammissibilità della prova testimoniale per genericità in ordine alle circostanze di spazio e di tempo. 4.2. Il ricorrente sostiene che l’esistenza di una collaborazione nello svolgimento delle faccende domestiche trova ragionevole presunzione nella non più giovane età dei fratelli conviventi e richiama la giurisprudenza di legittimità che, in caso di morte di una casalinga, ritiene le prestazioni valutabili economicamente anche se non produttive di reddito e, quindi, indipendentemente dal ricorso a terzi, essendo maggiori i compiti per intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente Cass. n. 17977 del 2007 . 4.3. Il motivo va rigettato. Laddove il giudice del merito ha ritenuto non provato, oltre che la mancanza di aiuti economici diretti - non più messi in discussione con il ricorso - anche la qualità di casalinga della sorella e, quindi, l’aiuto nelle faccende domestiche, il ricorrente vorrebbe che tale qualità fosse desunta dalla convivenza tra persone di età non giovane e, quindi, fosse riconosciuto il danno patrimoniale indipendentemente dal ricorso a terzi. Da un lato, risalta la contraddizione in cui cade il ricorrente nel considerare come giovane l’età della sorella, quando si tratta di richiedere un maggior danno non patrimoniale, e come non giovane quando si tratta di argomentare dall’età per desumere l’attività di casalinga. Soprattutto, correttamente il giudice del merito ha ritenuto di non poter fondare sulla mera convivenza lo svolgimento di attività domestiche, senza fare alcun riferimento all’età delle persone coinvolte, non potendo certo desumersi lo svolgimento della attività di casalinga in modo univoco dall’età, anche solo sulla base di nozioni di comune esperienza. 5. Con il sesto motivo, si deduce la violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. in riferimento al mancato riconoscimento delle spese funerarie e di soccorso . 5.1. La Corte di appello ha rigettato per la mancanza di prova di tali esborsi. Nel ricorso si argomenta nel senso che le spese funerarie, comprese quelle di trasporto, sono riconosciute dalla giurisprudenza di legittimità come risarcibili in via equitativa, anche nei casi di impossibilità per gli eredi di esibire idonea documentazione. 5.2. La censura non ha pregio. Secondo la giurisprudenza di legittimità, le spese funerarie sostenute dagli eredi della persona decaduta per atto illecito rientrano nell’ambito del risarcimento del danno e possono essere liquidate dal giudice in via equitativa nel caso di impossibilità per gli eredi di esibire idonea documentazione Cass. n. 1474 del 1996 . Peraltro, si è sostenuto che possono essere liquidate anche in mancanza di specifica dimostrazione della precisa entità della somma corrisposta a tale scopo, purché si forniscano al giudice i dati dai quali desumere, almeno approssimativamente, i parametri cui commisurare la valutazione, sia pure con riferimento al costo medio delle onoranze funebri della zona in questione. Cass. n. 11684 del 2014 . Nella specie, il giudice del merito ha fatto corretta applicazione di tali principi, che si intendono ribadire, atteso che i ricorrenti non hanno prodotto alcuna prova, né dedotto l’impossibilità di offrire idonea documentazione e neanche allegato alcuna informazione per poter parametrare il costo sostenuto. 6. Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese processuali, liquidate secondo i parametri vigenti, seguono la soccombenza, tenuto conto della incidenza sull’importo delle stesse della tardività del controricorso e della partecipazione della intimata alla udienza pubblica. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore di Generali Italia Spa, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.