Il risarcimento del danno tra tabelle tecniche e valutazione equitativa

Nel caso del risarcimento di danni causati da un sinistro stradale, il giudice d’appello applica i criteri tabellari in vigore alla data della sentenza di primo grado. Inoltre, i danni vanno liquidati tenendo sempre presente il criterio equitativo e allegando le prove del danno stesso.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1305/2016, depositata il 25 gennaio. Il caso. Il ricorrente adisce la Cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Salerno, presentando tre motivi di ricorso relativi ad errori nella liquidazione dei danni ricevuti a causa di un sinistro stradale. Tabelle milanesi. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’uso da parte del Giudice d’appello di criteri tabellari, per la liquidazione del danno, non aggiornati alle stime dell’anno in cui si è svolto il processo. La Cassazione, riportando la relazione prodotta dal Consigliere relatore, afferma che l’aggiornamento annuo delle tabelle milanesi” è avvenuto solo nell’aprile 2007, mentre la sentenza è del febbraio 2007 e di conseguenza il giudice ha giustamente applicato i criteri per il risarcimento relativi all’anno 2006. Secondo la Corte non è ravvisabile nessuna violazione del principio della liquidazione equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., poiché il giudice del merito ha applicato, nel momento in cui ha adottato la decisione, il criterio di liquidazione in vigore. Nel ricorso in appello non è modificabile l’utilizzo di questi criteri, poiché tale giudizio non ha più struttura di novum iudicium , nella quale era consentito il riesame della questione controversa, ma ha struttura di revisio prioris instantiae , quindi, il giudice d’appello non può applicare nuovi criteri tabellari per il riesame della questione, ma basarsi su quelli utilizzati dal giudice di prime cure. Danno morale. Per quanto riguarda il secondo motivo di doglianza, nel ricorso si legge che la liquidazione del danno morale sia stata fatta in misura minore rispetto a quanto previsto dalle stesse tabelle per il risarcimento del danno, violando ulteriormente l’art. 1226 c.c Gli Ermellini, richiamando la giurisprudenza cassazionista, sostengono che il pregiudizio morale debba essere accertato e liquidato in modo equitativo, cioè in base alle caratteristiche del caso concreto. Seguendo questo ragionamento si può dedurre che non può costituire motivo d’impugnazione, in sede di legittimità, la divergenza tra risarcimento e tabella, ma solamente la divergenza tra risarcimento e l’effettiva gravità del danno subito. Nel caso in esame, il ricorrente non ha dedotto in nessuno dei gradi alcuna circostanza di fatto che possa giustificare una maggiore liquidazione del danno non patrimoniale. Fermo tecnico. Infine, la Corte Suprema, passando all’esame dell’ultimo motivo, relativo alla richiesta di risarcimento per il tempo di indisponibilità del proprio veicolo, ritiene, riportando l’orientamento espresso nella sentenza Cass. n. 20620/2015 , che l’indisponibilità di un autoveicolo durante il periodo delle riparazioni, è un danno che deve essere allegato e dimostrato , conseguentemente, la prova di tale danno deve consistere nella dimostrazione delle spese sostenute per procurarsi mezzi sostitutivi e dei mancati guadagni provenienti dall’uso dell’autoveicolo. Per questi motivi la Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 14 ottobre 2015 – 25 gennaio 2016, n. 1305 Presidente Finocchiaro – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione 1. Col primo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d'appello avrebbe liquidato il danno alla salute applicando i criteri omogenei predisposti dal Tribunale di Milano per l'anno 2006, in luogo di quelli predisposti per l'anno 2007, sebbene questi ultimi fossero stati da lui espressamente invocati in sede di gravame. Assume che questa decisione costituirebbe una violazione degli artt. 1224, 1226, 2043, 2036 c.c., oltre che una nullità processuale. 1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile. La liquidazione del danno non patrimoniale deve avvenire con criterio equitativo art. 1226 c. c. . L'individua,-,ione della somma rappresentativa di un equo ristoro del danno costituisce una valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità. Nel caso di specie il Tribunale ha liquidato nel 2006 il danno alla salute in base alla più recente versione, allora disponibile, delle c.d tabelle milanesi e dunque si è attenuto, come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello, ai criteri indicati da questa Corte con la sentenza 12408111. La pretesa del ricorrente, secondo cui essendo sopravvenuta la nuova tabella milanese alla data della decisione d'appello, di questa il giudice di secondo grado avrebbe dovuto fare applicazione, non tiene conto del fatto che il giudizio d'appello, come ripetutamente affermato da questa Corte, ha da tempo perduto la sua vecchia struttura di novum iudicium, nella quale era consentito al giudice d'appello riesaminare ab imis la questione controversa. Il giudizio d'appello ha invece assunto da tempo la struttura di una revisio prions instantiae, sia pure a critica libera sicché, prospettata dall'appellante l'erroneità della decisione di primo grado per l'omessa applicazione della tabella milanese del 2007, correttamente il giudice d'appello si è limitato a rilevare che la decisione impugnata erronea non fu, giacché la tabella per l'anno 2007 non era stata ancora diffusa all'epoca della decisione del tribunale. Alcun altro obbligo aveva la Corte d'appello di applicare ulteriori e diversi criteri. 1.2. Infondato è altresì il primo motivo di ricorso nella parte in cui lamenta il vizio procedurale art. 360, n. 4, c p. c. . La Corte d'appello, infatti, ritenuta la corrette.Z,a del criterio liquidativo utilizzato dal primo giudice ed è valutazione di merito , ha accordato all'appellante il danno da mora c. d. taxatio dunque spazio non vera alcuno per la ulteriore pretesa di rivalutazione del credito risarcitorio, del cui omesso esame il ricorrente si duole in questa sede. Nessun omesso esame, infatti, si riscontra nella sentenza impugnata, ma piuttosto un implicito rigetto della richiesta di rivalutazione, incompatibile con la condanna del responsabile al pagamento del danno da mora. 2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la sottostima del c.d. danno morale, accordato dal giudice d'appello in misura inferiore a quella prevista dalle c. d. tabelle milanesi”. 2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile. La c. d. tabella milanese non è un letto di Procuste sul quale si sacrifica la valutazione equitativa del giudice di mento, e dunque la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale non può dirsi erronea sol perché non coincidente con quanto da quella tabella sia previsto. Né il ricorrente ha indicato quali circostantie di fatto, da lui tempestivamente dedotte e dalla Corte erroneamente trascurate, avrebbero giustificato una più cospicua liquidazione del danno non patrimoniale. 3. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la Corte d'appello abbia erroneamente rigettato la sua domanda di risarcimento del danno c. d. da `fermo tecnico 3. 1. Il motivo è manifestamente inammissibile tanto perché sollecita da questa Corte una tipica valuta & lt ione di merito, quanto perché corretta fu la statuizione della Corte d'appello secondo cui il pregiudizio in questione non può mai ritenersi in re Osa, ma deve essere debitamente allegato e provato come ritenuto da tempo da questa Corte, con orientamento largamente maggioritario. 4. Si propone pertanto il rigetto del ricorso con condanna alle spese. La totale inconsistenza dei motivi giustifica altresì una condanna per responsabilità aggravata ai sensi del novellato art 96 c .p. c . 2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., con la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Motivi della decisione 3. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione. Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla parte ricorrente nella propria memoria. 3.1. Per quanto attiene il primo motivo di ricorso, si apprende dalla sentenza impugnata p. 6, primo capoverso , che il Tribunale di Milano, nell'anno 2007, rese pubblici e diffuse i consueti parametri equitativi per la liquidazione del danno alla salute il 26.4.2007, mentre la sentenza di primo grado venne pronunciata il 28.3.2007. Non sussiste dunque alcuna violazione dell'art. 1226 c.c. l'unica seriamente ipotizzabile nel nostro caso , poiché il giudice di merito ha applicato, nel momento in cui adottò la propria decisione, il criterio di liquidazione in quel momento disponibile, ed indicato da questa Corte come quello preferibile ai sensi dell'art. 1226 c.c. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv. 618048 . Soggiunge il ricorrente nondimeno che, avendo il Tribunale liquidato il danno nel 2007, ma applicando valori monetari risalenti al 2006, il suo credito si sarebbe dovuto rivalutare. Tale censura tuttavia è inammissibile in questa sede stabilire, infatti, se l'andamento del costo della vita, nel periodo tra la diffusione della c.d. tabella milanese e quello della decisione, abbia comportato un incremento ovvero un decremento del potere d'acquisto della moneta, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, e non sindacabile in questa sede. 3.2. Per quanto attiene il secondo motivo di ricorso, il ricorrente sostiene nella memoria che l'importo accordatogli a titolo di danno morale è stato pari ad 1/10 della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno biologico mentre le tabelle applicabili ratione temporis prevedevano la liquidazione del danno morale in misura variabile da '/4 ad '/2 della somma liquidata a titolo di danno biologico. La Corte d'appello, perciò, si sarebbe discostata dal criterio tabellare, ed in ciò consisterebbe la violazione dell'art. 1226 c.c. e delle altre norme indicate dal ricorrente. La deduzione non ha pregio. Infatti, quale che fosse la nozione di danno morale cui si volesse accedere questione sulla quale esistono non sopiti contrasti, ma che resta irrilevante ai nostri fini , la giurisprudenza di questa Corte è tuttavia unanime nel ritenere che quel pregiudizio debba essere accertato e liquidato in base alle concrete peculiarità del singolo caso. Non, dunque, la divergenza tra risarcimento e tabella può costituire motivo di impugnazione in sede di legittimità, ma la divergenza tra risarcimento e effettiva gravità del danno. Nel caso di specie, per quanto già detto, il ricorrente non risulta avere dedotto né in grado di appello, né in questa sede, alcuna circostanza di fatto che, trascurata dai giudici di merito, avrebbe giustificato una più cospicua liquidazione del danno non patrimoniale. 3.3. Per quanto attiene il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce nella memoria che, in caso di danneggiamento di un autoveicolo, non potrebbe dirsi integrale il risarcimento che non accordasse al proprietario del mezzo una somma di denaro proporzionale al periodo di tempo durante il quale il veicolo rimase in officina per le necessarie riparazioni. Tale deduzione è infondata, alla luce del principio già affermato da Sez. 3, Sentenza n. 20620 del 14.10.2015, secondo cui l'indisponibilità d'un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato la prova di tale danno non può consistere nella dimostra.Zione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un me j o sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall'uso del mero, alle cui motivazioni in diritto è possibile in questa sede rinviare, ai sensi dell'art. 118, comma 1, ultima parte, disp. att. c.p.c 4. La indefensio degli intimati rende superfluo provvedere sulle spese. 5. La esistenza di orientamenti non unanimi in tema di liquidazione del danno morale e di risarcimento del danno da fermo tecnico non consente di ritenere dimostrata una colpa grave del ricorrente, nella proposizione del ricorso. P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c. - rigetta il ricorso - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di G.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.