La casa di cura è responsabile sia per i propri inadempimenti, sia per quelli del medico dipendente

In caso di responsabilità medica per un intervento eseguito da un medico specialista presso una casa di cura, quest’ultima risponde dei danni patiti dal paziente sia per inadempimento proprio ex art. 1218 c.c., sia per fatto del proprio dipendente incorso in responsabilità professionale, in modo tale che, in mancanza di prova sul riparto delle rispettive responsabilità, il criterio applicabile è quello dell’equivalenza oltre a quello della solidarietà passiva ex lege.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, Terza sezione Civile, con la sentenza n. 25605 depositata il 21 dicembre 2015. Il caso. Una paziente veniva ricoverata presso una casa di cura per un intervento per la cataratta all’occhio destro. A seguito dell’operazione però la signora lamentava la perdita completa dell’acutezza visiva dell’occhio, patendo altresì forti dolori e sviluppando di conseguenza una sindrome ansioso-depressiva. La signora agiva dunque in giudizio per l’accertamento della responsabilità della casa di cura e del medico e per il ristoro dei danni patiti. In primo grado il Tribunale respingeva la domanda, mentre la Corte d’appello accoglieva successivamente le richieste della paziente. La casa di cura proponeva allora ricorso in Cassazione. La responsabilità professionale sanitaria. Secondo costante giurisprudenza di merito e di legittimità, si è oggi completato un lungo processo di costituzionalizzazione” e contrattualizzazione” del sistema della responsabilità civile e del sottosistema” della responsabilità professionale sanitaria, attraverso il quale si è pervenuti ad una più corretta ed incisiva interpretazione delle norme in materia, per consentire una maggior tutela del soggetto debole, cioè il paziente, vittima degli errori e inadempienze delle strutture sanitarie e dei sanitari stessi. In particolare, in tema di responsabilità nei confronti del danneggiato, la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente sia per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., sia per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., allorquando i danni siano dipesi dai medici di cui la struttura si sia avvalsa a qualunque titolo. Il rapporto che si instaura tra il paziente e la casa di cura o ente ospedaliero trova infatti fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui insorgono a carico della casa di cura accanto a quelli tipo lato sensu alberghieri obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni do emergenze. Quindi la responsabilità della casa di cura nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, come detto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dall’inadempimento diretto delle obbligazioni a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 c.c., dall’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato , non rilevando a contrario che il sanitario risulti essere anche di fiducia” dello stesso paziente in tal senso ex multis Cassazione n. 8826/2007 . Nel caso di specie la Cassazione conferma tali precetti sottolineando come la Corte territoriale abbia fatto buon uso delle regole” sopra brevemente ricordate. In ordine a questi capi la sentenza di secondo grado viene quindi confermata. Responsabilità solidale. Così pure condivisibile è la soluzione adottata in tema di riparto di responsabilità. Infatti, secondo i principi generali, in mancanza di prova contraria, il criterio applicabile è quello dell’equivalenza delle rispettive responsabilità con la relativa solidarietà passiva dei condannati. L’art. 2055 c.c. specifica infatti che quando un medesimo danno è conseguenza di diverse azioni di più soggetti responsabili anche tra loro indipendenti, ma insieme concorrenti, la responsabilità è solidale e nel dubbio le singole colpe relative si presumono uguali . Secondo tale schema le questioni sulla gravità delle colpe e sull’entità delle conseguenze derivate possono essere esaminate dal giudice nel caso in cui uno dei condebitori agisce in regresso verso gli altri, oppure nell’ipotesi in cui il danneggiato abbia rinunciato alla parte di credito corrispondente al grado di responsabilità del coautore dell’illecito così Cassazione 15428/2004 . Quantificazione dei danni risarcibili. Il punto sul quale il ricorso viene parzialmente accolto è in tema di quantificazione dei danni risarcibili. La Corte d’appello, infatti, aveva liquidato il danno biologico in misura eccessiva considerando la perdita totale del visus dell’occhio destro. Al contrario la CTU aveva evidenziato che la responsabilità medica sussisteva per via del ritardo nell’esecuzione della vitrectomia e che tale ritardo aveva comportato una riduzione dell’acutezza visiva di 5/10. Non poteva quindi essere disposto il risarcimento integrale della perdita totale dell’acutezza visiva. Sulla base di tali aspetti il ricorso viene quindi accolto e la Suprema Corte cassa la sentenza rinviando alla Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 aprile – 21 dicembre 2015, n. 25605 Presidente Petti – Relatore Travaglino I fatti Nell'agosto del 2000 B.G. convenne dinanzi al Tribunale di Cosenza la Casa di cura S. Lucia e il sanitario C.B. , esponendo - di essersi recata presso il predetto nosocomio in quanto affetta da cataratta all'occhio destre - di essere stata visitata dal convenuto in qualità di medico specialista che le aveva consigliato l'intervento chirurgico senza alcun iniziale colloquio esplicativo - di aver subito l'intervento dopo che, qualche giorno prima, il C. si era limitato a comunicarle che esso sarebbe stato semplice senza alcuna specificazione dei possibili rischi - di avere in conseguenza di esso, completamente perso il visus all'occhio destro, soffrendo altresì insopportabili dolori per lenire i quali l'unica soluzione possibile pareva essere l'asportazione dell'intero bulbo oculare - di avere poi sviluppato una sindrome ansioso-depressiva. Specificò ancora l'attrice - che l'intervento non era stato posticipato nonostante gli alti valori della glicemia - che esso non era stato eseguito secondo le leges artis - che, nella fase post-operatoria, il C. si era recata a visitarla soltanto 11 giorni dopo, consigliando il trasferimento presso l'ospedale di Pisa, dove veniva individuato e isolato il microorganismo responsabile del quadro di endoftalmite lo stafilococcus auricularis , propenso ad insorgere in una condizione di non sufficiente sterilità della sala operatoria dove l'attrice aveva subito l'intervento dopo che ne erano stati completati già una decina, onde l'ulteriore responsabilità del C. in qualità di direttore sanitario della struttura . Il giudice di primo grado respinse la domanda. La corte di appello di Catanzaro accolse integralmente il gravame proposto dalla B. , condannando entrambi convenuti in solido al pagamento, in favore di quest'ultima, della somma di 85 mila Euro, con obbligo dalla Nuova Tirrena di tenere indenne il C. da quanto dovuto. Per la cassazione della sentenza della Corte ha proposto ricorso la Casa di cura S. Lucia sulla base di 4 motivi di censura illustrati da memoria. Resiste con controricorso R.C. , erede di B.G. . Le ragioni della decisione Il ricorso è fondato, nei limiti di cui si dirà. Devono esserne esaminate in limine le eccezioni preliminari di inammissibilità sollevate dalla contro ricorrente. Esse sono infondate. Da un canto, difatti, il ricorso risulta notificato anche a R.C. nella qualità di unica erede della B. , notifica che, per avere raggiunto il suo effetto, si sottrae tout court ai dubbi di inesistenza sollevati da quest'ultima in controricorso dall'altro, la procura speciale risulta apposta in calce al secondo ricorso, del quale reca la stessa data dall'altro ancora la evocazione, nell'intestazione dei singoli motivi, della formulazione previgente dell'art. 360 n. 5 c.p.comma non impedisce a questa Corte di esaminarne il contenuto limitatamente agli aspetti consentiti al giudice di legittimità dopo la riforma introdotta con legge 134/2012. Con il primo motivo , si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2230, 2236, 1176, 1218, 1223, 2697 c.c., 115, 116, 132 n. 4 c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per insufficiente e/o incompleta e/o erronea disamina delle risultanze processuali - insussistenza del nesso causale tra la condotta dei convenuti e il danno lamentato dall'attrice . Il motivo - con il quale, si lamenta, nella sostanza, la mancanza di prova che, a detta di parte ricorrente, dovrebbe essere certa dell'esistenza di un nesso di causalità tra il ritardo nell'esecuzione della vitrectomia e l'ipotizzato danno biologico - è privo di pregio. Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui ha ritenuto, con accertamento di fatto scevro da vizi logico-giuridici, e fondato sulle inequivoche risultanze della CTU, che la responsabilità dei sanitari fosse legittimamente predicabile sia sotto il profilo della colpa professionale alla luce della inadeguatezza delle cure praticate nel post-operatorio, sia sotto quello dell'omissione di informazione e del conseguente, mancato consenso all'intervento. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi, ormai consolidati, dettati tanto in tema di riparto dell'onere probatorio in subiecta materia , quanto in materia di regole causali applicabili e ormai costantemente applicate, per consolidata giurisprudenza nel giudizio civile di danni. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto artt. 13 e 32 Cost., 1223, 2691 c.comma 115, 116 c.p.c., Codici di deontologia medica omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un ' fatto controverso e decisivo per il giudizio per insufficiente e/o incompleta e/o erronea disamina delle risultanze processuali in relazione al consenso informato della paziente. Il motivo è fondato, non avendo la Corte territoriale fatto applicazione dei più recenti orientamenti di questo giudice di legittimità in tema di riparto dell'onere probatorio e delle eventuali conseguenze risarcitorie dell'ipotetica omissione di informazione Cass. 2847/2010 Cass. 20984/2012 , ma irrilevante ai fini del decidere risulta il suo accoglimento, essendosi il giudice di appello limitato a risarcire il danno derivante dalla compromissione della salute, quantificando nella misura del 25% il danno da perdita del visus ad un occhio, senza ulteriore specificazione né richiamo ed altri, eventuali poste risarcitorie da lesione del diritto all'informazione. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2230, 2236, 1218, 1223, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio per insufficiente e/o incompleta e/o erronea disamina delle risultanze processuali in relazione all'entità e alla quantificazione del danno liquidato e alla sussistenza del nesso di causalità . Il motivo è fondato. Correttamente osserva parte ricorrente che la Corte ha liquidato in eccesso il danno biologico, rispetto alle risultanze della CTU, dalla quale è emerso che l'unico addebito mosso ai sanitari era consistito nel ritardo dell'esecuzione della vitrectomia nessuna colpa essendo risultata predicabile, di converso, in relazione alla lesione della capsula posteriore del cristallino e del manifestarsi dell'enoftalmite, avendo i sanitari tenuto, in parte qua , una condotta improntata a diligenza qualificata . La conseguenza dannosa del ritardo nell'esecuzione della predetta vitrectomia è stata quantificata, con riferimento all'acutezza visiva, nella misura di 5/10. Erra pertanto la Corte di appello nel ritenere risarcibile il danno da perdita totale del visus , così ponendosi in contrasto con quanto affermato, in argomento, dalla più recente giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 15991 del 2011 , che consente al giudice di merito di procedere, ferma restando la regola di causalità materiale di cui all'art. 41 c.p., al frazionamento, anche in via equitativa, della causalità giuridica, con riferimento alle conseguenze dannose risarcibili etiologicamente connesse all'evento di danno, a sua volta riconducibile alla condotta colposa dell'agente. Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1228, 1203, 1299 c.c., 115 e 116 c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio per insufficiente e/o incompleta e/o erronea disamina delle risultanze processuali in relazione alla domanda di manleva e di regresso formulata dalla Casa di cura nei confronti del Dott. C. . La doglianza non può essere accolta. Correttamente la Corte territoriale rileva f. 26 della motivazione che la Casa di cura risponde, nella specie, sia per inadempimento proprio, ex art. 1218 c.c., sia per fatto del proprio dipendente incorso in responsabilità professionale, così che, difettando ogni prova sul riparto delle rispettive responsabilità, il criterio applicabile è quella dell'equivalenza oltre a quello della solidarietà passiva ex lege . Il ricorso è pertanto accolto nei limiti di cui in motivazione, e il procedimento rinviato alla Corte di appello di Catanzaro, che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto sopra esposti. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Catanzaro in altra composizione.