Risarcibile la perdita di chance per il ritardo diagnostico del processo morboso terminale

In caso di processo morboso terminale tardivamente diagnosticato va risarcita la perdita della possibilità di scegliere cosa fare della salute residua fino al momento della morte.

In questo senso ha deciso la Terza Sezione della Cassazione nella sentenza n. 16993, depositata il 20 agosto 2015. La vicenda. Una donna, a cui era stato diagnosticato tardivamente un carcinoma all'utero, ha proposto domanda di risarcimento nei confronti del ginecologo. Il Tribunale di Palermo accoglieva parzialmente la domanda e nel conseguente giudizio d'appello veniva respinto il gravame proposto dagli eredi della donna, frattanto deceduta nel corso del giudizio. Gli eredi hanno quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza d'appello, lamentando il fatto che sia stato negato, con motivazione ritenuta contraddittoria, che la tardività della diagnosi abbia inciso sulle possibilità della paziente di godere di una maggiore o comunque migliore durata di sopravvivenza. La perizia richiesta al medico specialista. Anzitutto la Terza Sezione ricorda alcuni principi in tema di responsabilità del professionista e in particolar modo dello specialista. La regola per cui normalmente il debitore è tenuto ad un grado di perizia standard, commisurata alla natura dell'attività esercitata e non alle concrete capacità del soggetto, non vale per un debitore professionalmente qualificato, nel qual caso va tenuto conto dei diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore di attività cfr. Cass. n. 22222/2014 . Per quanto concerne il professionista, e a maggior ragione per uno specialista, a questi è richiesta una diligenza particolarmente qualificata lo standard professionale cui parametrare l'attività, infatti, è quello della propria categoria. Inoltre anche lo specialista deve sottostare agli obblighi di buona fede oggettiva correttezza , dovendo quindi mantenere un comportamento improntato a lealtà, ovvero osservando gli obblighi di informazione e di avviso onde evitare falsi affidamenti ingenerati nei terzi. La perdita di chance. Premessa questa ricostruzione dei fondamenti della responsabilità dello specialista, la Cassazione concentra la propria attenzione sul danno conseguente all'omissione della tempestiva diagnosi di un processo morboso comunque terminale. Sul punto la Corte d'appello aveva concluso per l'esclusione del nesso causale tra aggravamento della malattia e comportamento omissivo per altro acclarato, anche dalla stessa Corte d'appello del medico, in ragione del fatto che poco o nulla sarebbe cambiato circa il decorso clinico , data la natura maligna e aggressiva del carcinoma. Tale conclusione viene sconfessata dalla Terza Sezione, secondo cui l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale assume rilievo sia sotto il profilo della chance persa a seguito della diagnosi tardiva di vivere anche solo per un breve periodo di tempo in più rispetto a quello effettivamente vissuto dalla paziente, e anche sotto il profilo della avvenuta perdita in capo alla paziente stessa della chance di conservare nel periodo terminale della propria esistenza una migliore qualità di vita. Dove per migliore qualità di vita” va ricompresa la possibilità di determinare il proprio essere persona, ovvero anche il prepararsi alla propria fine vivendo consapevolmente l'ultimo scampolo della propria vita. Da ultimo la Cassazione coglie l'occasione anche per ricordare come il danno da perdita di chance vada configurato come danno patrimoniale sotto specie di lucro cessante e non di danno emergente, come erroneamente definito dalla Corte d'appello , tenendo a mente che il concetto di patrimonialità va correlato al bene in relazione al quale la chance si assume perduta e, quindi, in riferimento al danno alla persona ad una chance di conservazione dell'integrità psico-fisica o di una migliore integrità psico-fisica o delle condizioni e della durata dell'esistenza in vita così già Cass. n. 23846/2008 . Conseguentemente la Cassazione ha accolto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 aprile – 20 agosto 2015, n. 16993 Presidente Vivaldi – Relatore Scarano Svolgimento del processo Con sentenza dell'11/10/2010 la Corte d'Appello di Palermo ha respinto il gravame interposto dai sigg. La.Ci.Ag. , A. e G. - quali eredi della congiunta sig. D.A. , deceduta in corso di giudizio - in relazione alla pronunzia Trib. Palermo 6/9/2003, di parziale accoglimento della domanda da quest'ultima proposta nei confronti del sig. C.G. , anch'egli deceduto in corso di causa, a titolo di risarcimento dei danni sofferti in conseguenza di tardiva diagnosi, nella sua qualità di ginecologo, di carcinoma all'utero. Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. La.Ci.Ag. , A. e G. , nella qualità, propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso i sigg. C.G. e C. , quali eredi dei sigg. C.G. ed M.E. , quest'ultima essendo deceduta in corso di giudizio. L'altra intimata non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione” degli artt. 40, 41 c.p., in relazione all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. nonché omessa ed insufficiente motivazione” su punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c Con il 2 motivo denunziano violazione e falsa applicazione” degli artt. 1681, 2054 c.c. nonché omessa applicazione” degli artt. 2055, 1292, 1294 c.c., in relazione all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c Con il 3 motivo denunziano omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ed immotivatamente escluso la sussistenza del nesso causale tra il ritardo diagnostico della malattia e la morte della signora D. ”, facendo proprie le conclusioni della CTU disposta in sede di gravame, senza motivare sulla preferenza a questa accordata rispetto alla CTU effettuata in 1 grado. Lamentano che, ritenuto in colpa il ginecologo, la corte di merito ha quindi contraddittoriamente negato il nesso causale tra la condotta omissiva del sanitario” e la sussistenza di tutti i pregiudizi sofferti dalla paziente e della loro diretta derivazione dalla condotta colpevole” del medesimo. Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato che le valutazioni tecniche rese dai consulenti nominati in secondo grado . sono inidonee ad escludere che la tardività della diagnosi abbia inciso sulla possibilità della paziente di godere di una maggiore durata di sopravvivenza”. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti p.q.r. nei termini di seguito indicati. Come questa Corte ha avuto più volte modo di porre in rilievo, in accordo con quanto osservato anche in dottrina, il debitore è di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata alla natura dell'attività esercitata secondo una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto, sicché deve escludersi che ove privo delle necessarie cognizioni tecniche il debitore rimanga esentato dall'adempiere l'obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell'attività esercitata mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore di attività cfr., con riferimento al professionista, ed in particolare allo specialista, Cass., 20/10/2014, n. 22222 . Atteso che la diligenza deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata art. 1176, 2 co., c.c. , al professionista e a fortiori allo specialista è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12995 e allo standard professionale della sua categoria, l'impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il medesimo deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativo della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222 Cass., 9/10/2012, n. 17143 . Nell'adempimento delle obbligazioni e dei comuni rapporti della vita di relazione il soggetto deve osservare altresì gli obblighi di buona fede oggettiva o correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale la cui violazione comporta l'insorgenza di responsabilità anche extracontrattuale . È pertanto tenuto a mantenere un comportamento leale, osservando obblighi di informazione e di avviso nonché di salvaguardia dell'utilità altrui - nei limiti dell'apprezzabile sacrificio -, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi cfr., con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 20/2/2006, n. 3651 Cass., 27/10/2006, n. 23273 Cass., 15/2/2007, n. 3462 Cass., 13/4/2007, n. 8826 Cass., 24/7/2007, n. 16315 Cass., 30/10/2007, n. 22860 Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056 Cass., 27/4/2011, n. 9404, e, da ultimo, Cass., 27/8/2014, n. 18304 . In tema di danno alla persona conseguente a responsabilità medica, si è per altro verso nella giurisprudenza di legittimità precisato che l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in relazione al quale sia manifesti la possibilità di effettuare solo un intervento c.d. palliativo, determinando un ritardo della relativa esecuzione cagiona al paziente un danno già in ragione della circostanza che nelle more egli non ha potuto fruirne, dovendo conseguentemente sopportare tutte le conseguenze di quel processo morboso, e in particolare il dolore in ordine al quale cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826 , che la tempestiva esecuzione dell'intervento palliativo avrebbe potuto alleviargli, sia pure senza la risoluzione del processo morboso cfr. Cass., 18/9/2008, n. 23846, e, conformemente, Cass., 23/5/2014, n. 11522 . Danno risarcibile alla persona in conseguenza dell'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale è stato da questa Corte ravvisato anche in conseguenza della mera perdita per il paziente della chance di vivere per un anche breve periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto, ovvero anche solo della chance di conservare, durante quel decorso, una migliore qualità della vita v. Cass., 18/9/2008, n. 23846, e, conformemente, Cass., 8/7/2009, n. 16014, Cass., 27/3/2014, n. 7195 . Si è al riguardo precisato che in tale ipotesi il danno per il paziente consegue pure alla mera perdita della possibilità di scegliere, alla stregua delle conoscenze mediche del tempo, cosa fare per fruire della salute residua fino all'esito infausto, anche rinunziando all'intervento o alle cure per limitarsi a consapevolmente esplicare le proprie attitudini psico-fisiche in vista del e fino all'exitus cfr. Cass., 18/9/2008, n. 23846 . Orbene i suindicati principi sono stati dalla corte di merito in parte disattesi nell'impugnata sentenza. È rimasto nella specie accertato che il Dott. C. ebbe in cura la signora D. per un periodo di cinque mesi, dal settembre '92 al febbraio '93, durante il quale la paziente presentò episodi di perdite ematiche dai genitali, e che il medico effettuò controlli clinici per cinque volte si tratta . delle visite del 29 settembre 1992, in cui venne controllata la spirale, dell'ottobre del 1992, in cui la spirale venne rimossa, del dicembre 1992, in cui venne eseguita un'ecografia, del gennaio 1993, in cui vennero prescritti antibiotici e utero tonici, e del febbraio 1993, in cui venne eseguita un'ecografia . Il 23 febbraio del 1993 la donna si ricoverò quindi all'Istituto Materno Infantile per tre giorni, ove le fu diagnosticato il carcinoma, mediante biopsia del canale cervicale, ciò da cui può desumersi, con certezza, che il carcinoma era già presente all'atto delle visite del Dott. C. ”. Orbene, dopo avere correttamente affermato che il comportamento nel caso dal medico mantenuto non è stato improntato alla dovuta diligenza, essendosi con certezza” accertato che il carcinoma era già presente all'atto delle visite del Dott. C. ” e che l'”approccio diagnostico” del medesimo fu insufficiente” [atteso che quantomeno in occasione del terzo controllo dicembre '92 o del quarto gennaio 1993 ” il quadro patologico della D. andava approfondito . mediante l'effettuazione di esami diagnostici quali il pap test, la colposcopia e la biopsia della cervice uterina”], la corte di merito è invero pervenuta ad escludere la responsabilità del medesimo argomentando dal rilievo che i consulenti hanno confermato che secondo l'id quod plerumque accidit, poco o nulla sarebbe cambiato circa il decorso clinico, con specifico riferimento alla forma tumorale, particolarmente maligna e aggressiva”, traendone la conferma dell'”insussistenza del nesso causale tra l'aggravamento della malattia e il comportamento omissivo del sanitario”. La corte di merito ha altresì escluso il risarcimento del c.d. danno da perdita di chance sofferto dalla D.A. , per il troncante rilievo che il controverso orientamento giurisprudenziale che ne ammette la configurabilità in materia di responsabilità medica, ritiene comunque che il danno da perdita di chance sia un'autonoma voce di danno emergente, con la conseguenza che la relativa domanda è diversa rispetto a quella avente ad oggetto il mancato raggiungimento del risultato sperato”. Ha del pari negato il ristoro del danno consistente nella sofferenza patita dalla D. prima di morire durante l'agonia danno c.d. tanatologico ”, in quanto difetta, come già ampiamente detto, il nesso di causalità”. Orbene, le suindicate ragioni e conclusioni si appalesano apodittiche ed erronee. Vale al riguardo osservare che, quand'anche la durata del ritardo diagnostico” sia da considerarsi non già di quattro mesi, come ritenuto dal giudice di prime cure, bensì quella ridotta . a circa due mesi”, da essa ravvisata sussistere, la corte di merito non ha spiegato come mai alla mancata tempestiva individuazione da parte del C. della reale natura della malattia, che aveva invero già colpito la D. al momento della prima visita, quale forma tumorale particolarmente maligna e aggressiva non abbia assegnato alcuna rilevanza causale in relazione alla sopraggiunta morte, e pertanto anche sotto il segnalato profilo della possibilità di effettuazione di un intervento quantomeno di tipo palliativo, nonché quello della suindicata perdita di una doppia chance. Il rilievo secondo cui il morbo ha nel caso avuto una progressione che avvenne con modalità particolarmente rapida ed inconsuetamente tumultuosa”, per cui poco o nulla sarebbe comunque cambiato circa il decorso clinico”, e la conclusione di insussistenza del nesso causale tra l'aggravamento della malattia e il comportamento omissivo del sanitario” sono stati dal giudice del gravame invero, rispettivamente, formulato e trattalo senza invero considerare che anche in presenza di una situazione deponente per un prossimo ed ineluttabile exitus l'intervento medico può - come detto - essere comunque volto a consentire al paziente di poter eventualmente fruire di un intervento anche solo meramente palliativo idoneo, se non a risolvere il processo morboso o ad evitarne l'aggravamento, quantomeno ad alleviarne le sofferenze cfr. Cass., 18/9/2008, n. 23846, e, conformemente, Cass., 23/5/2014, n. 11522 . A tale stregua, l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale assume allora rilievo causale non solo in relazione alla chance di vivere per un anche breve periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto ma anche per la perdita da parte del paziente della chance di conservare, durante quel decorso, una migliore qualità della vita cfr. Cass., 18/9/2008, n. 23846, e, conformemente, Cass., 8/7/2009, n. 16014, Cass., 27/3/2014, n. 7195 , intesa - come detto - quale possibilità di programmare anche all'esito di una eventuale scelta di rinunzia all'intervento o alle cure cfr. Cass., 16/10/2007, n. 21748 il proprio essere persona, e, quindi, in senso lato l'esplicazione delle proprie attitudini psico-fisiche in vista e fino a quell'esito cfr. Cass., 18/9/2008, n. 23846 . L'erroneità dell'assunto e della conclusione trattane dalla corte di merito si è quindi riverberata nel mancato riconoscimento di un ristoro dei danni subiti dalla D. , e fatti valere iure hereditatis dagli odierni ricorrenti, avuto in particolare riguardo alla suindicata perdita di chance di sopravvivenza ovvero anche solo della possibilità di meglio prepararsi alla proprio fine vivendo consapevolmente, pur in tale contingenza, il proprio essere persona. Né può al riguardo sottacersi come tale erroneità trovi ulteriore sintomatica conferma nel riferimento operato dalla corte di merito al diverso concetto di danno da perdita di chance” quale autonoma voce di danno emergente” rectius, lucro cessante v., da ultimo, Cass., 12/6/2015, n. 12221 , e pertanto di aspetto del danno patrimoniale, laddove questa Corte ha già avuto modo di precisare che il concetto di patrimonialità va correlato al bene in relazione al quale la chance si assume perduta e, quindi, in riferimento al danno alla persona ad una chance di conservazione dell'integrità psico-fisica o di una migliore integrità psico-fisica o delle condizioni e della durata dell'esistenza in vita” così Cass., 18/9/2008, n. 23846 . Per altro verso, la suindicata erroneità si è ripercossa nella negazione del ristoro del c.d. danno tanatologico consistente nella sofferenza patita dalla D. prima di morire durante l'agonia”. Danno da questa Corte, anche a Sezioni Unite, indicato in termini di danno morale terminale o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26772 Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26773 , quale danno dalla vittima subito per la sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine, per la cui configurabilità assume rilievo il criterio dell'intensità della sofferenza provata v. Cass., 8/4/2010, n. 8360 Cass., 23/2/2005, n. 3766 Cass., 1/12/2003, n. 18305 Cass., 19/10/2007, n. 21976 Cass., 24/5/2001, n. 7075 Cass., 6/10/1994, n. 8177 Cass., 14/6/1965, n. 1203. In tema di c.d. danno catastrofico v. già Cass., 2/4/2001, n. 4783 , a prescindere dall'apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima richiesto per la liquidazione del danno biologico terminale in ordine al quale v. Cass., 28/8/2007, n. 18163 Cass., 16/5/2003, n. 7632 Cass., 1/2/2003, n. 18305 Cass., 16/6/2003, in 9620 Cass., 14/3/2003, n. 3728 Cass., 2/4/2001, n. 4783 Cass., 10/2/1999, n. 1131 Cass., 29/9/1995, n. 10271 . Dell'impugnata sentenza - assorbiti ogni altro e diverso profilo e il 4 motivo - s'impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d'Appello di Palermo, la quale in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Palermo, in diversa composizione.