L’istituto di vigilanza che non ha impedito il furto deve risarcire il contraente per gli oggetti rubati o danneggiati

Con riferimento a un contratto di servizio di vigilanza privata, in mancanza di una diversa disposizione contrattuale, la responsabilità dell’istituto di vigilanza che abbia omesso di adottare le misure convenute o comunque necessarie a sventare tempestivamente un furto subito dal contraente si estende all’intero contenuto dell’abitazione da proteggere ed obbliga il responsabile al risarcimento dei danni commisurati al valore dei beni danneggiati o sottratti, siano questi di proprietà del contraente, o di taluno dei componenti del suo nucleo familiare o con lui conviventi od anche di proprietà di terzi, nei confronti dei quali il contraente possa essere chiamato a rispondere.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 16195, depositata il 30 luglio 2015. Il caso. Il proprietario di un appartamento si avvaleva di un servizio di vigilanza notturna prestato da una società privata. Ciononostante, subiva un furto lamentando la sottrazione di oggetti preziosi di notevole valore. Il danneggiato agiva quindi in giudizio nei confronti della società chiedendo il ristoro dei danni patiti per effetto del furto che la vigilanza non aveva saputo impedire. Risultava infatti che la società di vigilanza, avvertito il segnale di allarme, non aveva avvisato la polizia e aveva inviato tardivamente sul posto il proprio personale, peraltro sprovvisto delle chiavi dell’appartamento nel frattempo svaligiato. In primo grado il Tribunale accordava il risarcimento quantificando il danno sulla base del valore che avrebbero avuto i beni rubati oltre 30.000,00 € . In appello, la Corte riduceva i danni in € 7.000,00 pari al corrispettivo pagato dal danneggiato per il servizio di vigilanza. Il danneggiato ricorreva in Cassazione per ottenere un maggior risarcimento come accordato in primo grado. Occorre subito precisare che la Suprema Corte, pur correggendo parzialmente la motivazione di secondo grado, conferma la sentenza in ordine al quantum risarcibile e respinge il ricorso in Cassazione. In appello nulla quaestio in ordine alla responsabilità contrattuale della società di vigilanza. Era stata infatti accertata la sussistenza del furto e del danneggiamento dell’abitazione, constatata anche dalla società stessa. Tuttavia i Giudici di merito avevano ridotto l’entità dei danni risarcibili sulla base di due ragionamenti. In primo luogo affermavano che i beni preziosi rubati erano di proprietà della moglie del ricorrente, non parte del contratto di vigilanza. Servizio di vigilanza. Sul punto il ragionamento dei giudici di secondo grado viene contestato dal ricorrente e viene sconfessato dagli Ermellini. Infatti il servizio di vigilanza va riferito all’immobile che ne costituisce l’oggetto, compreso tutto il suo contenuto, indipendentemente dal fatto che i beni siano di proprietà del contraente o meno. Ciò vale ancora di più se gli oggetti sono comunque di proprietà di parenti stretti e familiari conviventi del contraente. Da tale situazione nasce infatti una comunanza di interessi in ordine alle spese agli oneri di custodia dei beni stessi indipendentemente dalla titolarità. Ma, osservano gli Ermellini, ciò varrebbe anche se i beni fossero stati di proprietà di terzi, per così dire, estranei” al nucleo familiare del soggetto stipulante. Quest’ultimo infatti potrebbe essere chiamato nei confronti di tali terzi a risponderne nel caso di perdita o danneggiamento se gli oggetti sono stati affidati alla sua custodia. In assenza di pattuizioni contrattuali diverse, la responsabilità dell’istituto vigilante va dunque estesa a tutto il contenuto dell’abitazione controllata” e l’entità dei danni da risarcire va commisurata al valore dei beni sottratti o danneggiati. Proprio su questo secondo punto però il danneggiante, secondo la Cassazione condividendo così la seconda parte del ragionamento della Corte d’Appello non ha assolto a tutti gli oneri probatori su di lui gravanti. È infatti pacifico che chi richiede il risarcimento del danno deve dimostrare l’entità del pregiudizio subito. Nel caso di specie, tuttavia, lo stipulante non aveva fornito alcuna concreta dimostrazione in merito. Certo, spiegano gli Ermellini, non si richiede la probatio diabolica della precisa, specifica e certificata individuazione di ogni singolo bene rubato con la stima del relativo valore. Sarebbe infatti un onere impossibile perché altrimenti ciascuno dovrebbe predisporre e aggiornare sempre uno specifico inventario di tutti i beni e preziosi esistenti nell’appartamento al momento del furto. Tuttavia nel caso di specie la parte non aveva nemmeno dedotto nessuna prova testimoniale, neanche presuntiva o indiziaria circa l’effettiva esistenza, natura e valore dei beni sottratti. La Corte d’appello si è allora affidata a un criterio giudicato razionale dagli Ermellini e quindi non censurabile in Cassazione. I giudici di merito infatti, in mancanza di altra prova offerta dal danneggiato, hanno quantificato il danno nel corrispettivo pagato dal contraente alla società di vigilanza per un servizio contrattualmente pattuito e non reso dalla società stessa. Gli Ermellini, in assenza di ulteriori e diversi elementi probatori, sposano il ragionamento della Corte territoriale e confermano la decisione di secondo grado.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 maggio – 30 luglio 2015, n. 16195 Presidente Berruti – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo Con atto di citazione del 2004 B.G. ha convenuto davanti al Tribunale di Genova la s.p.a. Metronotte Città di Genova, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale, a seguito del furto perpetrato all'interno del suo appartamento il 26 marzo 2004, nel vigore del contratto di vigilanza in corso con la convenuta. Quest'ultima, avvertito il segnale di allarme, non ha avvertito la polizia e ha tardato nell'inviare sul posto il suo personale, che fra l'altro è giunto in luogo senza le chiavi dell'appartamento, che è stato nel frattempo svaligiato. La convenuta ha resistito, negando ogni inadempimento. Con sentenza n. 465/2007 il Tribunale ha condannato la Metronotte al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 35.000,00, oltre rivalutazione, interessi e spese. Proposto appello dalla s.p.a. Fidelitas, subentrata alla Metronotte, a cui ha resistito il B. , con sentenza depositata il 26 marzo 2011 n. 314 la Corte di appello di Genova ha ridotto la somma liquidata in risarcimento dei danni ad Euro 7.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, ritenendo carente la prova dei danni, che ha quantificato in via equitativa con riferimento all'importo delle somme pagate dal B. quale corrispettivo del servizio di vigilanza. Il B. propone due motivi di ricorso per cassazione. Resiste la Fidelitas con controricorso, proponendo due motivi di ricorso incidentale, a cui il ricorrente replica con controricorso. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nel capo in cui la sentenza di appello gli ha negato il risarcimento dei danni conseguenti al furto di gioielli e di altri oggetti di valore, con la motivazione che si trattava di beni di proprietà della moglie, la quale non è parte del contratto di vigilanza. Afferma che il contratto deve intendersi riferito a tutti i beni compresi nell'appartamento, così come avviene nel caso di assicurazione contro il furto, in quanto oggetto del servizio non è la persona od il patrimonio del contraente, ma la sua abitazione, con tutto ciò che vi è contenuto. 1.1.- Il motivo non è fondato. Le argomentazioni del ricorrente vanno in linea di principio condivise, quanto al rilievo che il servizio di vigilanza va riferito all'immobile che ne costituisce oggetto, con tutto il suo contenuto, restando irrilevante il fatto che taluni oggetti o arredi appartengano non al diretto contraente, ma ad altri. Ciò vale in particolare quando i pretesi terzi siano componenti della famiglia del contraente e con lui conviventi, donde una stretta comunanza di interessi in ordine alle spese ed agli oneri inerenti alla custodia dei beni ed al loro ripristino un caso di sottrazione. Ma analogo principio è da ritenere applicabile quando si tratti di terzi estranei, nei confronti dei quali il contraente possa essere chiamato a rispondere, nel caso di perdita o di danneggiamento dei beni in sua custodia. Salva restando, ovviamente, una diversa pattuizione, che peraltro nella specie non è stata invocata da alcuno. Pertanto, in mancanza di diversa disposizione contenuta nel contratto, la responsabilità dell'istituto di vigilanza che abbia omesso di adottare le misure convenute o comunque necessarie a sventare tempestivamente il furto - come i giudici di merito hanno accertato essere avvenuto nel caso di specie - si estende all'intero contenuto dell'abitazione da proteggere ed obbliga il responsabile al risarcimento dei danni, commisurati al valore dei beni danneggiati o sottratti, siano questi di proprietà del contraente, o di taluno dei componenti del suo nucleo familiare o con lui conviventi, od anche di proprietà di terzi, nei confronti dei quali il contraente possa essere chiamato a rispondere. La motivazione della sentenza impugnata dovrebbe essere quindi corretta, ove vi si ravvisasse l'enunciazione di un principio diverso. Resta il fatto che l'argomento di cui sopra non costituisce l'unico, e neppure il principale, motivo della decisione, ma solo una delle considerazioni in base alle quali la Corte di appello ha ritenuto di non poter confermare la sentenza di primo grado, quanto alla somma da liquidare in risarcimento dei danni. La ragione determinante della decisione è consistita nel fatto che il danneggiato non ha potuto fornire alcuna prova circa la natura degli oggetti sottratti ed il loro valore. Ha rilevato la Corte di appello che il Tribunale ha quantificato equitativamente i danni senza indicare alcun parametro valutativo, limitandosi a ridurre del 20% la somma di Euro 45.900,00, chiesta dall'attore sulla base dell'elenco dei beni sottratti contenuto nella denuncia di furto, privo di ogni pezza giustificativa e di ogni riscontro probatorio. Ha inoltre ritenuto doversi detrarre dalla somma liquidata in primo grado varie spese non collegate causalmente all'inadempimento della Metronotte e sulla base di tutte queste considerazioni ha adottato un criterio diverso di quantificazione dei danni. Le censure di cui al primo motivo non giustificano, quindi, l'annullamento della decisione. 2.- Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha quantificato equitativamente i danni sulla base di un criterio a suo avviso non congruente, perché parametrato sull'importo delle somme pagate dal B. quale corrispettivo del servizio di vigilanza, anziché sul valore degli oggetti rubati. Il motivo va esaminato congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale, che propone censure uguali ed opposte, poiché denuncia la contraddittorietà della motivazione per il fatto che della Corte di appello - avendo constatato la mancanza di ogni prova del valore degli oggetti rubati o danneggiati - avrebbe dovuto respingere la domanda attrice, anziché quantificare il danno sulla base di un criterio diverso, qual è quello che fa riferimento al corrispettivo del servizio di vigilanza. 3.- I motivi non sono fondati. Vero è che il soggetto danneggiato è in linea di principio tenuto a fornire la prova sia dell'esistenza, sia dell'entità dei danni. Nella specie, tuttavia, da un lato la materiale esistenza del furto e del danneggiamento dell'abitazione è indubbia ed è stata constatata anche dall'Istituto di vigilanza chiamato a risponderne dall'altro lato è comprensibile, e non è del tutto imputabile a colpa del danneggiato, il fatto che non sia stata fornita la prova specifica della natura degli oggetti sottratti e del loro valore prova che avrebbe richiesto la predisposizione dell'inventario preciso di tutti i beni e i preziosi esistenti nell'appartamento alla data del furto, e una stima del loro valore ad opera di persona estranea e affidabile cautele a cui normalmente non si procede. Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto di dover attribuire una somma in risarcimento dei danni, in considerazione dell'evidenza e certezza dei danni medesimi e di procedere alla valutazione equitativa sulla base di un parametro di valutazione diverso da quello consistente nel riferimento alla natura ed al valore entrambi ignoti degli oggetti sottratti parametro che ha ravvisato nelle somme pagate dal danneggiato per un servizio che non gli è stato reso, nell'unica occasione in cui se ne è presentata la necessità. A questa Corte compete solo una valutazione in termini di razionalità del criterio equitativo adottato, e una tale valutazione non può che essere positiva, pur se la somma liquidata è largamente inferiore a quella richiesta. La valutazione della Corte di appello appare equa nei confronti del danneggiato, perché sarebbe stato suo onere, se non dimostrare la precisa entità dei danni subiti, quanto meno offrire un qualche prova testimoniale, od anche meramente presuntiva, circa la natura e il valore degli oggetti sottratti, sì da giustificare la condanna del responsabile al pagamento di una somma maggiore. La valutazione è equa anche nei confronti del danneggiante, poiché l'esistenza del danno è certa ed è stata da lui in gran parte verificata, e la somma liquidata a suo carico con riferimento all'importo del corrispettivo ricevuto per il servizio non reso, non è manifestamente sproporzionata per eccesso, in relazione all'importo dei danni da risarcire. 4.- Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile perché generico, in quanto si limita a denunciare apoditticamente la violazione degli art. 1226 e 2697 cod. civ., senza alcuna argomentazione di supporto. 5.- Entrambi i ricorsi sono respinti. 6. Considerata la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio si compensano. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione.