Diffamazione a mezzo stampa: il danno alla reputazione non è in re ipsa

Il danno alla reputazione nella diffamazione a mezzo stampa non è in re ipsa, ma richiede che ne sia data prova, anche a mezzo di presunzioni semplici. La sussistenza può considerarsi correttamente presunta sulla base degli elementi della gravità dell’offesa, della professione svolta dai danneggiati e della diffusione ed autorevolezza del quotidiano su cui viene pubblicato l’articolo diffamatorio.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16055/15, depositata il 29 luglio. Il caso. Due uomini sporgevano querela avverso un giornalista e il direttore responsabile di un quotidiano per la pubblicazione di un articolo che, a detta dei querelanti, attribuiva loro attività di finanziamento di gruppi terroristici islamici tramite la banca di cui erano ai vertici. Disposto il rinvio a giudizio dal gup del Tribunale di Milano in relazione ai reati di diffamazione a mezzo stampa e di omesso controllo rispettivamente contestati, il Tribunale di Milano assolveva entrambi gli imputati, mentre la Corte d’appello, confermata l’assoluzione per il direttore, dichiarava estinto il reato ascritto al giornalista per intervenuta prescrizione, condannandolo al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. A seguito di ricorso proposto dal giornalista, la sentenza veniva annullata dalla Corte di Cassazione, che disponeva il rinvio al giudice di appello in sede civile. Pronunciando sulla causa riassunta, la Corte d’appello territoriale accertava la responsabilità dell’imputato, condannandolo al risarcimento dei danni. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione il giornalista sulla base di cinque motivi. L’articolo andava trascritto, almeno parzialmente. I primi quattro motivi di ricorso vengono dichiarati inammissibili dai Giudici di Piazza Cavour per difetto di autosufficienza essi, infatti, si basano sul contenuto dell’articolo dal quale è scaturita la vicenda in esame, ma tale contenuto non risulta trascritto – neppure in minima parte – nel ricorso. In linea di continuità con la più consolidata giurisprudenza di legittimità, dunque, gli Ermellini ritengono che in difetto di trascrizione del contenuto dell’articolo di cui il ricorrente nega il carattere diffamatorio e in carenza di qualsiasi indicazione utile al suo reperimento nell’ambito degli atti processuali, i motivi debbano essere ritenuti inammissibili , dal momento che non pongono la Corte nella condizione di valutare se le censure mosse alla sentenza impugnata siano fondate o meno. La sussistenza del danno è adeguatamente accertata. Il quinto motivo di ricorso, invece, viene dichiarato infondato dal Supremo Collegio. La Corte sul punto osserva che, se è vero che la Corte territoriale ha erroneamente affermato che il danno doveva considerarsi sussistente in re ipsa , ha poi mostrato di aver correttamente presunto l’esistenza del danno. Il Collegio di merito, in particolare, ha posto a fondamento della propria decisione la gravità dell’offesa – tale da determinare discredito sociale financo a livello di comunità internazionale -, la professione svolta dai danneggiati e la diffusione ed autorevolezza del quotidiano sul cui supplemento era stato pubblicato l’articolo. Deve, pertanto, ritenersi corretta la liquidazione equitativa del danno cui la Corte ha proceduto in base agli elementi soprarichiamati. Per tutte le ragioni sovraesposte, la Corte ha rigettato il ricorso proposto dal giornalista.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 30 aprile – 29 luglio 2015, n. 16055 Presidente Salmé – Relatore Sestini Svolgimento del processo A seguito di querela sporta da Y.N. e da A.G.H., il GUP del Tribunale di Milano dispose il rinvio a giudizio di G.O. giornalista e di Ferruccio D.B. direttore responsabile del omissis in relazione ai reati di diffamazione a mezzo stampa e di omesso controllo loro rispettivamente contestati con riferimento ad un articolo pubblicato il 20.10.1997 sul supplemento omissis del omissis i querelanti lamentavano che l'articolo, intitolato omissis , attribuisse loro attività di finanziamento di gruppi terroristici islamici tramite la omissis e la omissis di cui gli stessi erano ai vertici. Il Tribunale di Milano mandò assolti entrambi gli imputati, mentre la Corte di Appello, confermata l'assoluzione del D.B., dichiarò l'estinzione del reato ascritto all'O. per intervenuta prescrizione, condannando il giornalista al risarcimento dei danni -da liquidarsi in separata sede in favore delle parti civili. A seguito di ricorso proposto dall'O. , la sentenza venne annullata dalla Corte di Cassazione, che dispose il rinvio al giudice di appello in sede civile. Pronunciando sulla causa riassunta, la Corte di Appello di Milano ha accertato la responsabilità dell'O., condannandolo al risarcimento dei danni e al pagamento della sanzione pecuniaria quantificati -rispettivamente in 40.000,00 ed in 6.000,00 euro per ciascuno dei danneggiati . Ricorre per cassazione l'O., affidandosi a cinque motivi illustrati da memoria resistono il N. e l'H. a mezzo di controricorso. Motivi della decisione 1. Risulta infondata l'eccezione di invalidità e/o inesistenza della procura apposta in calce al ricorso , che è stata sollevata dai controricorrenti sul duplice rilievo che la procura difetta del requisito necessario della specialità e reca una data anteriore a quella del ricorso. Va considerato, infatti, che, benché abbia un contenuto generico ma, comunque, esteso anche al ricorso per cassazione , non esistono elementi che consentano di ritenere che la procura non si riferisca allo specifico giudizio per cassazione introdotto dal ricorso ed in tal senso depone anche l'elezione di domicilio in Roma non rileva, inoltre, la circostanza che la data della procura 30.4.12 sia anteriore a quella del ricorso 11.5.2012 , giacché ciò che esclude sicuramente la specialità è solo l'anteriorità della procura rispetto alla sentenza impugnata. 2. Richiamati i criteri della pertinenza, della continenza e della verità che valgono ad integrare la scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca, la Corte di Appello ha preso in esame alcuni passaggi dell'articolo giornalistico ed ha affermato che risulta ictu oculi la portata diffamatoria dell'articolo per l'onore e la reputazione in ispecie professionale di Y.N. e di A.G.H. , anche perché l'autore ha operato un accostamento suggestivo tra le attività finanziarie dirette dagli appellanti e la lotta armata nel nome dell'Islam ciò premesso, ha escluso che sia ravvisabile la scriminante del diritto di cronaca giornalistica, in quanto non appare rispettato il principio di verità delle notizie riferite , neppure sotto il profilo della verità putativa, che resta esclusa a priori dalla circostanza che il giornalista -cui incombeva il relativo onere neppure ë stato in grado di offrire idonea prova delle fonti di prova utilizzate, rimaste essenzialmente non rivelate in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di diffamazione, ha -poi osservato che non soltanto è ravvisabile nel giornalista la volontà della propria condotta e la consapevolezza della sua capacità offensiva , ma vieppiù la mancanza di prova circa l'attività di diligente verifica delle fonti, attesta l'accettazione da parte dell'autore del rischio della comunicazione di fatti falsi pur di darne la notizia quanto, infine ai profili liquidatori, ha affermato che doveva compiersi una valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. , con riferimento alla gravità dell'offesa all'onore e alla reputazione dei soggetti diffamati, alla diffusione e alla autorevolezza del quotidiano e alla professione delle parti lese. 3. Col primo motivo, il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 Cost., 51 e 59 c.p., oltre che dell'artt. 627, comma 3 c.p.p. e, comunque dell'art. 384 cpv C.P.C. e si duole che, con una motivazione apparente e/o contraddittoria e disattendendo i principi affermati dalla sentenza di rinvio, non gli sia stata riconosciuta la scriminante del legittimo esercizio del diritto di cronaca, quantomeno sotto il profilo putativo rileva che la sentenza rescindente aveva affermato che, perché sia esclusa la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di cronaca, occorre che risulti la non verità, ovvero la falsità, del fatto narrato ed evidenzia che l'articolo era basato su fonti confidenziali dell'epoca, rivelatesi poi attendibili e che -pertanto ricorreva la verosimiglianza delle informazioni assunte dal giornalista e poi divulgate , senza che tale verosimiglianza potesse essere esclusa dall'esito delle investigazioni avvenuto molti anni dopo la pubblicazione dell'articolo e risultante da documenti che non avrebbero dovuto trovare ingresso nel giudizio di rinvio . 3.1. Col secondo motivo che deduce, oltre alla omessa e contraddittoria motivazione sul punto, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42 cpv, 47 e 595 c.p. , l'O. si duole che la Corte non abbia valutato, neppure incidenter tantum, la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ed evidenzia che il giudice di rinvio confonde le categorie giuridiche della putatività della scriminante e dell'errore che esclude il dolo. 3.2. Il terzo motivo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 627, comma 3 c.p.p. e, comunque, dell'art. 384 cpv C.P.C. e omessa motivazione ribadisce che il giudice di rinvio avrebbe dovuto rivalutare tutti gli elementi di fatto già acquisiti dal Tribunale, ivi compresi i fondamentali dossier dei servizi informativi , al fine di giungere alla affermazione della verità o comunque della verosimiglianza dei fatti esposti dal giornalista e con la già ricordata avvertenza che solo la comprovata falsità di quanto riportato nell'articolo avrebbe potuto condurre ad un giudizio negativo sulla condotta del ricorrente . 3.3. Il quarto motivo prospetta la violazione dell'art. 345 C.P.C. avendo la Corte d'Appello deciso la causa sulla base di elementi di prova inammissibili e, comunque, avendo valorizzato documenti riportanti fatti successivi rispetto alla data di pubblicazione dell'articolo assume l'O. che la verosimiglianza dei fatti narrati può ben essere provata anche con documenti formati successivamente, purché relativi a fatti verificatisi prima della pubblicazione, mentre non possono trarsi elementi negativi, ossia volti a negare l'applicazione della scriminante della verità putativa, da atti non solo formatisi successivamente, ma aventi ad oggetto fatti verificatisi dopo la pubblicazione dell'articolo e perciò non conoscibili -in allora da parte dell'autore . 3.4. L'ultimo motivo prospetta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e dell'art. 185 c.p. e censura la sentenza per avere liquidato il danno non patrimoniale in difetto di alcuna prova al riguardo e comunque in totale carenza motivazionale afferma che il danno non può mai essere considerato sussistente in re ipsa incombendo sul richiedente l'onere di dedurre e provare gli elementi che attestino la effettiva esistenza di un pregiudizio, anche soltanto di natura non patrimoniale . 4. I primi quattro motivi risultano inammissibili per difetto di autosufficienza giacché sono incentrati -sotto vari profili sul contenuto dell'articolo giornalistico, che non risulta tuttavia trascritto -neppure in minima parte nel ricorso. Più specificamente, va considerato che i primi tre motivi sono volti -nel loro complesso a censurare l'affermazione della sussistenza della diffamazione, dolendosi il ricorrente della ritenuta ricorrenza dell'elemento soggettivo del reato e del mancato riconoscimento della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca anche in relazione alla verità putativa dei fatti narrati il quarto motivo -ancorché concernente in via diretta l'ammissione di prove documentali che si assumono tardive attiene anch'esso all'accertamento della diffamazione in quanto le prove contestate sono state utilizzate per escludere la verità dei fatti narrati . Ciò premesso, deve rilevarsi che questa Corte ha avuto modo di affermare che, in relazione ad una causa risarcitoria avente ad oggetto dichiarazioni asseritamente diffamatorie compiute a mezzo stampa, la parte che muova critiche alla valutazione compiuta dal giudice di appello, sia in fatto che in diritto, circa la natura diffamatoria dello scritto in questione e la sussistenza del relativo reato, è tenuta, in ossequio al c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ad individuare se del caso riproducendolo direttamente, ove necessario in relazione all'oggetto della critica di cui al motivo, ed eventualmente indirettamente, ove l'apprezzamento della critica lo consenta il contenuto dell'articolo nella parte cui la critica si riferisce, specificando anche dove la Corte possa esaminarlo per verificarne la conformità del contenuto riprodotto rispetto a quello effettivo Cass. n. 3338/2009 . Alla luce di tale principio di diritto -che merita continuità deve ritenersi che, in difetto di trascrizione anche parziale e per le parti di specifico interesse del contenuto dell'articolo di cui il ricorrente nega il carattere diffamatorio e in carenza di qualsiasi indicazione utile al suo reperimento nell'ambito degli atti processuali, i motivi siano inammissibili in quanto non pongono la Corte nella condizione di poter valutare la fondatezza o meno delle censure mosse alla sentenza impugnata. 5. Il quinto motivo è infondato. A prescindere dall'erronea affermazione che il danno deve considerarsi sussistente in re ipsa cfr. Cass. n. 24474/2014, che ha sottolineato che nella diffamazione a mezzo stampa, il danno alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è `in re ipsa', ma richiede che ne sia data prova, anche a mezzo di presunzioni semplici , deve considerarsi che la Corte ha mostrato di avere correttamente presunto l'esistenza del danno sulla base degli elementi -espressamente richiamati della gravità dell'offesa tale da determinare discredito sociale financo a livello di comunità internazionale , della professione svolta dai danneggiati dirigenti bancari e manager di livello internazionale e della diffusione ed autorevolezza del quotidiano sul cui supplemento era stato pubblicato l'articolo altrettanto correttamente -e sulla base degli stessi elementi la Corte ha proceduto ad una liquidazione necessariamente equitativa del danno. 6. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese di lite, liquidate in euro 5.800,00 di cui euro 200,00 per esborsi , oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.