Frontale con una serranda, shopping doloroso: niente risarcimento dal negozio

Respinta definitivamente la richiesta avanzata da un uomo, rimasto vittima della disavventura. Decisiva la doppia versione da lui presentata sulla dinamica dell’incidente mancano le prove definitive sul fatto e sul nesso di causalità.

Shopping assai pericoloso per un uomo. Non, però, per le ‘folli’ compere realizzate dalla compagna, bensì per lo scontro con la serranda del negozio. Inevitabili le lesioni, sia nel fisico che nell’orgoglio, ma è difficile, alla luce della incertezza sulla ricostruzione dell’episodio, pretendere un risarcimento dalla società proprietaria dell’esercizio commerciale Cassazione, ordinanza n. 15092, sez. VI Civile, depositata oggi . Onere probatorio. Dinamica fantozziana l’uomo sostiene di essere stato colpito alla fronte, mentre stava uscendo da un negozio – di scarpe – da una serranda difettosa, calata improvvisamente . Per questo motivo, chiede un adeguato risarcimento dei danni , citando in giudizio la società proprietaria del negozio. Richiesta non accoglibile, però, secondo i giudici di merito. E tale decisione viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, alla luce della ‘confusione’ nel racconto fatto dall’uomo. Quest’ultimo, difatti, ha prima sostenuto, in citazione, di essere stato colpito dalla serranda, calata improvvisamente , e poi ha corretto la propria versione, affermando di aver battuto la testa contro la serranda parzialmente abbassata, a cui non aveva fatto caso . E su questa costruzione ha concordato, indirettamente, la società, spiegando che l’uomo entrando nel negozio, non si era avveduto della serranda parzialmente calata e vi aveva urtato contro . Vacilla, in maniera decisiva, l’ipotesi della responsabilità della società , soprattutto perché è stata esclusa l’esistenza della prova sul fatto materiale e sul nesso di causalità tra la denunciata alterazione e della cosa e l’evento . Ciò significa che, in questo caso, la persona danneggiata non ha adempiuto il proprio onere probatorio . E, di conseguenza, perdono di rilievo tutte le considerazioni volte alla dimostrazione di una colpa della società o al riconoscimento dell’esistenza della violazione di un obbligo di custodia della cosa .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 11 giugno – 17 luglio 2015, n. 15092 Presidente Finocchiaro – Relatore Cirillo Svolgimento del processo É stata depositata la seguente relazione. 1. R.P. convenne in giudizio, davanti al Pretore di Prato, la Compar s.p.a., chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni da lui sofferti per essere stato colpito alla fronte, mentre stava uscendo dal negozio della convenuta, da una serranda difettosa cafta improvvisamente. Si costituì la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale, subentrato al soppresso ufficio del Pretore, rigettò la domanda, condannando l'attore al pagamento delle spese di lite. 2. Proposto appello dal soccombente, la Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 7 marzo 2014, ha respinto il gravame, confermando la pronuncia di primo grado e condannando l'appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. 3. Contro la sentenza d'appello ricorre R.P. con atto affidato a quattro motivi. Resiste la Compar s.p.a. con controricorso. 4. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato. 5. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 115 del codice di procedura civile. Osserva il ricorrente che la società Compar non avrebbe contestato l'impatto contro la serranda del suo negozio, avendo escluso la propria responsabilità sulla base di altri rilievi. La decisione della Corte d'appello sarebbe perciò errata, in quanto fondata sul dato della mancata prova del nesso di causalità tra la condotta colposa e l'evento, prova che sussisterebbe per la mancata contestazione. 5.1. Il motivo non è fondato. Risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso atto di ricorso che il P., dopo aver sostenuto in citazione di essere stato colpito dalla serranda calata improvvisamente, ha poi corretto la propria versione, affermando di aver battuto la testa contro la serranda parzialmente abbassata, alla quale non aveva fatto caso. La società convenuta, come risulta dal controricorso, in comparsa di risposta non ha ammesso le circostanze di cui alla citazione, ma fornito una propria diversa versione dell'accaduto, secondo cui l'attore, entrando nel negozio, non si era avveduto della serranda parzialmente calata e vi aveva urtato contro. Il fatto stesso che l'attore abbia modificato la propria versione dei fatti durante il giudizio di primo grado rende assai complessa la configurazione di una non contestazione da parte della convenuta. Nel corso del giudizio di primo grado ed anche in quello di appello, poi, l'attore ha insistito sull'ammissione delle prove volte alla ricostruzione della dinamica del sinistro, con ciò implicitamente ammettendo - come rileva la sentenza impugnata - che la presunta non contestazione non sussisteva. La sentenza impugnata, d'altronde, ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la non contestazione, che è tendenzialmente irreversibile, non determina di per sé la decisione della controversia, dovendo il giudice di merito valutare se il fatto non contestato sia inquadrabile nell'astratto parametro normativo e, prima ancora, stabilire la sussistenza o l'insussistenza di una non contestazione. A tal fine ove il giudice, anche tacitamente, abbia manifestato la propria interpretazione in senso contrario alla non contestazione e, in assenza di ogni deduzione sulla stessa, abbia proceduto all'espletamento incontestato di un mezzo istruttorio in ordine all'accertamento del fatto, la successiva deduzione di parte in ordine all'altrui pregressa contestazione diventa inammissibile sentenze 2 maggio 2007, n. 10098, e 16 marzo 2012, n. 4249 . 6. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 345 del codice di procedura civile. Osserva il ricorrente che la Corte d'appello avrebbe errato nel non ammettere le ulteriori prove testimoniali dedotte. 6.1. Il motivo non è fondato. La Corte d'appello ha osservato che uno dei due testimoni dei quali si chiedeva l'ammissione era stato rinunciato da parte dello stesso P. nel giudizio di primo grado e che l'altra testimone non poteva essere ammessa perché si trattava di prova volta a completare o confortare la prova già svolta in primo grado, per cui non era comunque ravvisabile il requisito della indispensabilità. Si tratta di una valutazione di merito del tutto corretta, rispetto alla quale non è configurabile la lesione del citato art. 345. 7. Con il terzo e quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 del codice civile. Osserva il ricorrente che la responsabilità della società convenuta doveva essere riconosciuta sulla base di entrambe le norme, per cui la Corte d'appello avrebbe errato nel respingere la domanda. 7.1. 1 motivi sono entrambi privi di fondamento. In realtà, una volta esclusa l'esistenza della prova sul fatto materiale e sul nesso di causalità tra la denunciata alterazione della cosa e l'evento, è corretto affermare che l'attore non ha adempiuto il proprio onere probatorio. Da ciò consegue che perdono di rilievo tutte le ulteriori considerazioni volte alla dimostrazione di una colpa della società convenuta art. 2043 cod. civ. o al riconoscimento dell'esistenza della violazione di un obbligo di custodia della cosa art. 2051 cod. civ. . 8. Si ritiene, pertanto, che il ricorso debba essere rigettato . Motivi della decisione 1. Non sono state depositate memorie alla precedente relazione. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni. 2. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 1.800, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.