Chiavi in mano al custode, che ne approfitta per un furto: non responsabile il datore di lavoro

Non è possibile ritenere operativa la previsione dell’art. 2049 c.c. responsabilità dei padroni e dei committenti a carico del datore di lavoro se il fatto illecito del dipendente è avvenuto senza alcun collegamento funzionale con l’attività lavorativa.

Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 13425, depositata il 30 giugno 2015. Il caso. Un uomo conveniva in giudizio una compagnia assicurativa, chiedendo il riconoscimento di una somma di denaro in quanto quest’ultima era responsabile, ai sensi dell’art. 2049 c.c. responsabilità dei padroni e dei committenti , del fatto illecito del proprio dipendente. Il danno di cui chiedeva il risarcimento era conseguenza di furti, avvenuti nell’appartamento che l’attore conduceva in locazione, ad opera di un uomo, custode dello stabile di proprietà della società di assicurazione e dipendente della medesima. La Corte d’appello di Milano rigettava la domanda attorea, per cui l’attore ricorreva in Cassazione. Rapporto di occasionalità. La Corte di Cassazione ricorda che, ai fini dell’applicabilità della norma ex art. 2049 c.c., è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze , purché sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro. Necessario un collegamento. Anche se questa responsabilità può sussistere pure nel caso in cui il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del datore di lavoro, non è possibile ritenere operativa la previsione dell’art. 2049 c.c. se il fatto illecito è avvenuto senza alcun collegamento funzionale con l’attività lavorativa. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano accertato che i furti commessi dal custode, per i quali si era svolto anche un procedimento penale conclusosi con estinzione del reato per prescrizione, si ponevano come condotte prive di ogni collegamento funzionale con i compiti a lui affidati dalla società. Inoltre, lo stesso ricorrente aveva consegnato, di sua spontanea volontà, al custode le chiavi del proprio appartamento. Di conseguenza, i furti dovevano ritenersi del tutto estranei al rapporto di dipendenza tra il custode e la società datrice di lavoro. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 19 maggio – 30 giugno 2015, n. 13425 Presidente Finocchiaro – Relatore Cirillo Svolgimento del processo È stata depositata la seguente relazione. 1. F.V. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la RAS s.p.a., poi divenuta Allianz s.p.a., chiedendo che fosse condannata al pagamento della somma di curo 143.610,84 in quanto responsabile, ai sensi dell'art. 2049 cod. civ., del fatto illecito del proprio dipendente. A sostegno della domanda rilevò che il danno del quale chiedeva il risarcimento era conseguenza di furti, avvenuti nell'appartamento che egli conduceva in locazione, ad opera di V.G., custode della stabile di proprietà della società di assicurazione e dipendente della medesima. La convenuta si costituì, contestando l'esistenza del nesso di occasionalità necessaria e chiedendo il rigetto della domanda ovvero, in subordine, che fosse riconosciuto il concorso di colpa dell'attore, che aveva consegnato al G. le chiavi del proprio appartamento. Il Tribunale accolse in parte la domanda e condannò la società convenuta al pagamento della somma di euro 88.410, con rivalutazione, interessi ed il carico delle spese. 2. La pronuncia è stata appellata dalla Allianz s.p.a. e la Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 3 luglio 2013, ha accolto l'appello e, in totale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda del V., condannando il medesimo alla restituzione della somma di euro 117.697,41 nonché al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. 3. Contro la sentenza d'appello ricorre F.V. con atto affidato a due motivi. Resiste la Allianz s.p.a. con controricorso. 4. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato. 5. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2049 cod. civ., mentre il secondo lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. 5.1. I motivi, da trattare congiuntamente in considerazione della profonda connessione che li unisce, sono entrambi privi di fondamento. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, ai fini dell'applicabilità della norma di cui all'art. 2049 cod. civ., è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro sentenze 24 gennaio 2007, n. 1516, 17 dicembre 2007, n. 26527, 25 marzo 2013, n. 7403, e 4 aprile 2013, n. 8210 . Il fatto che tale responsabilità possa sussistere anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all'insaputa del datore di lavoro non consente di ritenere operativa la previsione dell'art. 2049 cod. civ. quando, come nella specie, il fatto illecito sia avvenuto senza alcun collegamento funzionale con l'attività lavorativa. E l'accertamento della sussistenza o meno di tale collegamento costituisce accertamento rimesso al giudice di merito, non censurabile in questa sede se adeguatamente motivato. 5.2. La sentenza della Corte d'appello, con accertamento in fatto congruamente motivato e privo di vizi logici, ha rilevato che nel caso in esame i furti commessi dal G. in danno del V. - per i quali si era svolto anche un processo penale conclusosi con declaratoria di estinzione del reato per prescrizione - si ponevano come condotte prive di ogni collegamento funzionale con i compiti a lui affidati dalla società Allianz tanto più che il V. aveva consegnato di sua spontanea volontà al G. le chiavi del proprio appartamento, per cui i furti erano da ritenere del tutto estranei al rapporto di dipendenza tra il G. e la società di assicurazione, sua datrice di lavoro. 5.3. A fronte di tale motivazione, il ricorso, oltre a richiamare ampi passi della sentenza penale di condanna emessa a carico del G., poi riformata in appello, insiste nel ritenere che, alla luce delle prove raccolte, doveva ritenersi applicabile la norma dell'art. 2049 cod. civ., in tal modo sollecitando in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito. 11 secondo motivo, tra l'altro, è anche carente ai sensi dell'art. 366, primo comma, n. 6 , cod. proc. civ., poiché non indica né il momento né la sede processuale nei quali sarebbe stata avanzata richiesta di prova testimoniale nei termini di cui al ricorso. 6. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere rigettato . Motivi della decisione Non sono state depositate memorie alla precedente relazione. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni. 2. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui all'art. 13, comma l-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi curo 5.500, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.