Terribile incidente, lesioni fisiche e psichiche per un giovane: escluso, però, il successivo suicidio dai danni lamentati dalla famiglia

Accolte solo parzialmente le richieste dei genitori, del fratello e della sorella del giovane, il quale è rimasto vittima di un bruttissimo incidente stradale e poi, a distanza di un anno, si è suicidato. Manca la ‘prova provata’ del nesso tra il sinistro e la scelta di togliersi la vita, anche considerando i problemi subiti dal giovane, a livello psichico, già prima dell’incidente.

Drammatico incidente stradale scontro frontale tra due automobili. Lesioni gravi per un ragazzo, passeggero nella vettura guidata dalla donna ritenuta responsabile del terribile impatto. A rendere la situazione ancora più difficile, per la famiglia, poi, un anno dopo il fatto, il suicidio del giovane. Nessun dubbio sul risarcimento destinato ai parenti del giovane, ossia i due genitori, la sorella e il fratello. Ma va escluso che l’incidente abbia dato il ‘la’ a una spirale tale da condurre il ragazzo al suicidio Corte di Cassazione, sentenza n. 10244, terza sezione civile, depositata il 20 maggio . Morte. Ricostruita nei dettagli la dinamica dell’incidente una vettura, guidata da una donna – e su cui si trova anche un giovane passeggero –, si scontra frontalmente con una vettura guidata da un uomo, e alla donna viene addebitata la responsabilità. Ripercussioni gravi per il ragazzo, che riporta lesioni serie, e che, poi, a distanza di un anno dal fato, si suicida. Tutto è collegato, secondo i genitori del ragazzo. Ecco spiegata la richiesta di risarcimento dei danni , richiesta ritenuta corretta dai giudici del Tribunale, i quali obbligano la conducente e la sua assicurazione a versare alla famiglia del giovane oltre 12mila euro . E questa linea di pensiero viene condivisa anche dai giudici d’Appello, i quali, però, riconoscono alla famiglia anche il diritto al risarcimento del danno biologico iure ha ereditario , quantificato nella somma di 20mila euro, e del danno morale, liquidato in pari misura, anch’esso a titolo di successione in locum et ius defuncti , così elevando tale voce di danno riconosciuta in misura minore in Tribunale. All’interno di questo quadro, però, i giudici aggiungono che l’incidente, pur avendo aggravato la preesistente condizione psichica del giovane, già affetto da sindrome depressiva , non aveva rappresentato la causa determinante della malattia e del suicidio , avvenuto, come detto, a un anno di distanza dal brutto incidente. Psiche. Nodo gordiano, a questo punto, è proprio quello relativo al presunto nesso tra i postumi del sinistro stradale e il suicidio del giovane. Su questo punto si soffermano, anche col ricorso in Cassazione, genitori, fratello e sorella del ragazzo, ribadendo, in sostanza, la richiesta di risarcimento per i danni provocati dal suicidio del loro familiare. Ma per i giudici del ‘Palazzaccio’, pur di fronte a una assai dolorosa vicenda e pur tenendo conto delle ‘ferite’ subite dalla famiglia del giovane, è assolutamente corretto, e da confermare, il risarcimento stabilito in Appello. Nessuna possibilità, quindi, di valutare anche il suicidio del ragazzo. Logica la esclusione della natura di causa efficiente dell’incidente automobilistico rispetto al suicidio, verificatosi quasi un anno dopo , anche tenendo presente la preesistenza di gravi fattori predisponenti nel giovane, il quale era già affetto da sindrome depressiva maggiore cronica, manifestatasi, tra l’altro, in epoca precedente al sinistro, in un tentativo di suicidio attraverso la ingestione volontaria di farmaci . Senza dimenticare, poi, che il giovane, comunque, nel post incidente aveva progressivamente recuperato una accettabile condizione psico-fisica , come dimostrato anche dalla decisione di provvedere all’ acquisto di una veloce autovettura .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 novembre 2014 – 20 maggio 2015, n. 10244 Presidente Petti – Relatore Travaglino I fatti G.B. e N.C. in qualità di genitori di A.C., insieme con i figli M.S.L. e S., convennero dinanzi al Tribunale di Perugia N.C., P.A. e le rispettive compagnie assicuratrici chiedendo il risarcimento del danno subito per la morte del figlio A Esposero gli attori che, la sera del 24 ottobre 1998, il giovane sì trovava a bordo della vettura condotta dalla C. - la quale, perso il controllo, si era scontrata frontalmente con l'auto guidata dall'Arcelli - e aveva riportato lesioni di tale gravità da indurlo al suicidio nel luglio dell'anno seguente. Il giudice di primo grado, dichiarata la responsabilità esclusiva della C. nella verificazione dell'incidente, accolse in parte la domanda, condannando la convenuta - in solido con la sua compagnia assicuratrice - al pagamento della somma di oltre 12 mila euro in favore degli attori. La corte di appello di Perugia, dinanzi alla quale la sentenza era stata impugnata in via principale dai C. solo parzialmente vittoriosi e in via incidentale dala compagnia assicuratrice della C., accolse parzialmente il gravame principale, riconoscendo agli appellanti il diritto al risarcimento del danno biologico iure haereditario, quantificato nella somma di 20.000 euro, e del danno morale, liquidato in pari misura, anch'esso a titolo di successione in locum et ius defuncti, così elevando tale voce di danno riconosciuta in misura minore in prime cure, con la precisazione che il suddetto titolo - danno, cioè, mai rivendicato iure proprio - doveva ritenersi definitivamente accertato in mancanza di impugnazione sul punto. Osservò, in particolare, il giudice d'appello, sulla scorta della disposta CTU, che l'incidente, pur avendo aggravato la preesistente condizione psichica del C. già affetto da sindrome depressiva maggiore cronica, manifestatasi, tra l'altro, in epoca precedente al sinistro, in un tentativo di suicidio attraverso la ingestione volontaria di farmaci , non aveva per converso rappresentato la causa determinante della malattia e del suicidio, evento quest'ultimo che non poteva pertanto essere ricondotto, sul piano causale, neppure in termini probabilistici, al suddetto incidente, atteso che, tra l'altro, il C. aveva progressivamente recuperato una accettabile condizione psico-fisica al punto da arrampicarsi su di un'alta croce elevata in montagna e impegnarsi nell'acquisto di una veloce autovettura. Giulia Becchi e i suoi tre figli, M.S., L. e S. C., hanno proposto ricorso per .cassazione sorretto da 4 motivi di censura illustrati da memoria. Resiste la Carige s.p.a. con controricorso anch'esso illustrato da memoria. Nadia C. non ha svolto attività difensiva. Le ragioni delle decisioni Il ricorso è infondato. Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sul capo di appello relativo all'esclusione del nesso causale tra sinistro stradale e suicidio in relazione all'art. 112, 360 n. 4 c.p.c La censura - che lamenta un preteso vizio di omissione di pronuncia nel dispositivo della sentenza di appello in ordine alla sussistenza del nesso casuale tra l'incidente e il suicidio di A.C. - è manifestamente priva di pregio. Pur volendo prescindere dalla indiscutibile correttezza anche formale del solo dispositivo della pronuncia d'appello - dispositivo che provvede ad elencare i capi di sentenza di prime cure in tutto o in parte riformati sulla dichiarata premessa di un esplicito rigetto di ogni ulteriore domanda e istanza -, va ancora osservato come il dispositivo della sentenza di merito deve necessariamente essere e ritenersi integrato, al fine della sua valutazione in punto di diritto, con il contenuto della motivazione, che, nella specie, diffusamente ed esaustivamente affronta il tema etiologico della causa, diversamente da quanto infondatamente affermato dai ricorrenti. Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa di un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione all'esclusione, in parte motiva, della pronuncia del nesso causale tra sinistro stradale e suicidio. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 e 2059 c.c., 40 e 41 c.p. in relazione all'art 360 n. 3 c.p.c. in materia di nesso causale cui è conseguito il rigetto della domanda di danni relativa al suicidio. Le censure possono essere congiuntamente esaminate, attesane la intrinseca connessione logica e giuridica. Esse, pur prescindendo da i non lievi profili di inammissibilità da cui sono caratterizzate, appaiono manifestamente infondate. Si censura, sotto le speculari spoglie della violazione di legge e del vizio di motivazione, non altro che la ricostruzione fattuale della pur dolorosa vicenda compiuta dalla Corte di merito sulla base di puntuali ed esaurienti argomentazioni scevre da vizi logico-giuridici, che richiamano all'uopo le altrettanto approfondite risultanze della consulenza d'ufficio, e che correttamente pervengono alla esclusione, sia pur soltanto sul piano della probabilità, della natura di causa efficiente dell'incidente automobilistico rispetto al suicidio del C verificatosi quasi un anno dopo. Si anela, in realtà, da parte dei ricorrenti, ad una sorta di ulteriore revisio prioris istantiae sotto il profilo della invocata riforma di una decisione di merito attraverso la sostituzione ad essa di una nuova e diversa valutazione di merito, istituzionalmente preclusa in questa sede. La preesistenza di gravi fattori predisponenti, tale da rendere impossibile l'affermazione secondo la quale, in termini di probabilità scientifica e, va aggiunto, anche logica , senza l'incidente il suicidio non si sarebbe verificato, così come correttamente evidenziato dal giudice di appello, si pone in termini del tutto ostativi, in punto fatto, alla legittimità e all'accoglimento della censura, atteso che, in tema di responsabilità aquiliana, la prova del nesso etiologico tra condotta ed evento di danno grava sul danneggiato, e ciò tanto che, dell'evento, si lamenti la mancata riconduzione alla condotta sub specie di unica causa determinante, sia che, della stessa, si predichi la pur ridotta, ma pur sempre parimenti rilevante ex art. 41 c.p. efficienza concausale. Non si controverte, nella specie, sul tema della rilevanza con causale, in ipotesi bensì accertata, ma poi erroneamente esclusa dal giudice di merito a fini risarcitori né tantomeno è stata mai posta la questione della risarcibilità del danno sul piano della causalità giuridica, una volta accertata la sussistenza di quella materiale Cass. 15991/2011 , discorrendosi, per converso, della motivata esclusione pur in presenza di un aggravamento della situazione patologica di tale rilevanza rispetto all'evento di danno - evento che, si badi, non è costituito dall'aggravamento delle condizioni patologiche preesistenti, correttamente liquidato a titolo di danno biologico, bensì dall'avvenuto suicidio, fatto che opportunamente la Corte ricorda essere stato oggetto di un precedente tentativo da parte del C. in epoca di due mesi anteriore al verificarsi del sinistro. Con il quarto motivo, si denuncia nullità della sentenza per ultra petizione sul capo che ha annullato, per supposta rinuncia, la domanda di risarcimento delle somme di 278 euro a/ titolo di spese sostenute danno emergente e di 9640 euro a titolo di danno da incapacità lavorativa specifica in relazione all'art. 112 360 n. 4 c.p.c., anche in relazione all'art. 2909 sul giudicato. La doglianza, prima ancora che infondata nel merito avendo la Corte territoriale, al folio 29 della sentenza impugnata, mostrato di aver fatto buon governo, con accertamento di merito incensurabile in Cassazione, dei principi più volte affermati da questa Corte di legittimità in tema di rinuncia alla domanda a seguito di mancata riproposizione di quelle in precedenza formulate , appare inammissibile in rito, poiché, nonostante la sua proposizione risulti compiuta ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., nella sua intima sostanza essa mira poi a contestare l'interpretazione adottata dalla Corte distrettuale in ordine all'abbandono della domanda relativa al danno da incapacità lavorativa interpretazione legittimamente condotta dal giudice territoriale sia sotto il profilo della sua mancata riproposizione, sia sotto quello del contenuto dello scritto difensivo volto a tale effetto e menzionato espressamente dagli allora appellanti incidentali , così investendosi il merito stesso della domanda e non anche il preteso vizio di omessa pronuncia. Il ricorso è pertanto rigettato. Le spese del giudizio possono essere nuovamente compensate in questa sede per le medesime ragioni addotte dal giudice di appello e non espressamente censurate dinanzi a questa Corte. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di Cassazione.