Moto distrutta, per la liquidazione equitativa serve un’impossibilità oggettiva di stimare il danno

La liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria e non sostitutiva dell’onere di allegazione e prova della parte, per cui la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno richiede, oltre all’accertata esistenza di un danno risarcibile, che il giudice di merito abbia previamente accertato che l’impossibilità, o l’estrema difficoltà, di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegare e dimostrare gli elementi da cui desumere l’entità del danno.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7635, depositata il 15 aprile 2015. Il caso. Gli eredi di un uomo morto in un incidente stradale agivano per il risarcimento dei danni. Il Tribunale di Bari riconosceva il danno morale da rapporto parentale alla moglie 88.000 euro ed ai figli 30.000 euro ciascuno . La Corte d’appello di Bari accoglieva l’appello dei danneggiati solo in riferimento all’entità degli onorari liquidati, confermando nel resto la prima pronuncia. Gli attori ricorrevano in Cassazione, deducendo, in riferimento al danno riportato dal ciclomotore della vittima, la mancata applicazione dell’art. 1226 c.c., quale mancato esercizio del potere di liquidazione equitativa. I giudici d’appello avevano rigettato la relativa impugnazione, avendo rilevato l’assenza di prove sul valore del motociclo. I ricorrenti si limitavano a dedurre di aver chiesto 250 euro come risarcimento, ed affermavano che la Corte d’appello avrebbe ben potuto liquidare in via equitativa il danno, non potendo questo essere valutato nel suo preciso ammontare. Potere sussidiario. La Corte di Cassazione ricorda però che la liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria e non sostitutiva dell’onere di allegazione e prova della parte, per cui la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno richiede, oltre all’accertata esistenza di un danno risarcibile, che il giudice di merito avvia previamente accertato che l’impossibilità, o l’estrema difficoltà, di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegare e dimostrare gli elementi da cui desumere l’entità del danno. Danno certo. Perciò, il giudice di merito si avvale del potere equitativo di liquidazione del danno, se ha previamente accertato che un danno esista in caso di danno patrimoniale consistente nella distruzione di un bene, il ricorso alla liquidazione equitativa è ammissibile se è certo, in quanto debitamente provato da chi si ritiene danneggiato, che la cosa distrutta ha un concreto valore oggettivo, e non meramente d’affezione, e che l’impossibilità dell’accertamento del danno effettivo non sia attribuibile al mancato assolvimento dell’onere della prova gravante sul danneggiato. Nel caso di specie, non avrebbero potuto avvalersi di questo potere i giudici di merito, a cui i danneggiati avevano semplicemente chiesto di liquidare una somma determinata a titolo di danno per il danneggiamento del motoveicolo infatti i ricorrenti non avevano indicato neanche nel ricorso delle prove fornite e non esaminate dai giudici. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 14 gennaio – 15 aprile 2015, n. 7635 Presidente Finocchiaro – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. Gli eredi di G. C. - deceduto in esito alle gravissime lesioni riportate in un sinistro stradale - agirono per il risarcimento dei danni e il Tribunale di Bari, ai fini che ancora rilevano nel presente giudizio, riconobbe il danno morale da rapporto parentale nei confronti della moglie quasi 88 mila euro e dei figli 30 mila euro ciascuno . La Corte di appello di Bari sentenza del 19 giugno 2013 accolse l'appello dei danneggiati unicamente in riferimento all'entità degli onorari liquidati e confermò nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso la suddetta sentenza, la moglie e i figli del C. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi esplicati da memoria. Resiste con controricorso l'Assicurazione. D. M. non si difende. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo in ricorso indicato sub A , in riferimento al danno riportato dal ciclomotore della vittima, deducono la mancata applicazione dell'art. 1226 cod. civ., quale mancato esercizio dl potere di liquidazione equitativa. La Corte di appello, nel rigettare la relativa impugnazione, aveva rilevato l'assenza di qualunque prova relativa al valore del motociclo. I ricorrenti si limitano a dedurre di aver chiesto circa euro 250, quale risarcimento, e che il giudice di appello avrebbe potuto liquidare il danno in via equitativa non potendo essere il danno valutato nel suo preciso ammontare. 1.2. Per rigettare la censura basta richiamare il principio consolidato, secondo il quale, la liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria e non sostitutiva dell'onere di allegazione e prova della parte, con la conseguenza che la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige, oltre all'accertata esistenza di un danno risarcibile, che il giudice di merito abbia previamente accertato che l'impossibilità o l'estrema difficoltà d'una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entità del danno ex multiis, Cass. n. 25912 del 2013, n. 10850 del 2003 . Ne consegue che, in tanto il giudice di merito può avvalersi del potere equitativo di liquidazione del danno, in quanto abbia previamente accertato che un danno esista e, nel caso di danno patrimoniale consistito nella distruzione di un bene, il ricorso alla liquidazione equitativa in tanto è ammissibile, in quanto sia certo per essere stato debitamente provato da chi si afferma danneggiato che la cosa distrutta avesse un concreto valore oggettivo, e non meramente d'affezione e, sempre che l'impossibilità dell'accertamento del danno effettivo non sia attribuibile al mancato assolvimento dell'onere della prova gravante sul danneggiato. In riferimento alla specie all'attenzione della Corte, certamente non poteva avvalersi di tale potere il giudice ai quale il danneggiato aveva semplicemente chiesto di liquidare una somma determinata a titolo di danno per il danneggiamento del mezzo di locomozione, atteso che nello stesso ricorso i ricorrenti non indicano l'inizio di prova da loro eventualmente fornita ed eventualmente non esaminata dal giudice. 2. Gli altri due motivi sono strettamente connessi. Con il secondo e il terzo motivo in ricorso indicati sub B e sub C , i ricorrenti deducono violazione della legge per la mancata applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano per il danno morale, rispettivamente, in favore del coniuge superstite secondo e dei figli terzo . Censurano la sentenza impugnata per non aver applicato le tabelle milanesi, e comunque senza motivare lo scostamento dalle suddette, nonostante ne avessero chiesto l'applicazione con la comparsa conclusionale, provvedendo a depositarle contestualmente. Richiamano la sentenza di legittimità n. 12408 del 2011, secondo la quale, quando nella liquidazione del danno biologico manchino criteri stabiliti dalla legge, il criterio di liquidazione cui i giudici di merito devono attenersi, al fine di garantire l'uniformità di trattamento, è quello predisposto dal Tribunale di Milano, in quanto ampiamente diffuso sul territorio nazionale, salvo circostanze in concreto idonee a giustificarne l'abbandono il richiamo alla suddetta sentenza è fatto nella parte in cui ha affermato che, quanto alle sentenze di merito che sono state depositate prima della suddetta pronuncia, nelle quali il giudice abbia liquidato il danno biologico adottando criteri diversi, tale difformità può essere fatta valere in sede di legittimità solo a condizione che la questione sia stata posta nel giudizio di merito. 2.1. La Corte di merito, nel decidere l'impugnazione concernente il quantum del danno morale liquidato al coniuge e ai figli, ha ritenuto i relativi motivi di appello inammissibili per genericità. A tal fine, ha messo in evidenza che la censura si doleva solo che il giudice di primo grado si era attenuto al valore minimo previsto nelle tabelle in uso presso il Tribunale di Pisa per il coniuge ed era restato sotto il minimo previsto dalla stessa tabella per i figli. Quindi, ha rilevato che gli appellanti non avevano in alcun modo spiegato perché le somme liquidate risultassero inadeguate rispetto al danno patito. 2.3. I motivi sono inammissibili. Per la decisiva ragione che, a fronte di una statuizione di inammissibilità per difetto di specificità dei motivi di appello, si sarebbe dovuta prospettare una violazione processuale in riferimento all'art. 342 cod. proc. civ., argomentando nel senso della specificità degli stessi mentre, i ricorrenti, al di là della generica prospettazione di violazione di legge, si limitano a dedurre di aver chiesto, con la comparsa conclusionale, l'applicazione delle tabelle di Milano. In secondo luogo, e solo per completezza motivazionale, in riferimento alla sentenza di legittimità n. 12408 del 2011, va rilevato l'improprio richiamo relativo alle sentenze impugnate pubblicate prima della stessa, mentre la sentenza impugnata è stata emessa dopo la pubblicazione della sentenza di legittimità in argomento comunque, lo stesso richiamo si traduce nella mancata considerazione delle suddette tabelle, peraltro effettuata a detta degli stessi ricorrenti solo con la comparsa conclusionale, senza alcun riferimento ai criteri di valutazione equitativa del danno utilizzati dal primo giudice ed oggetto di specifica censura in appello. 3. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza, a favore della controricorrente. Non avendo gli altri intimati svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'ars. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.