Grave stato ansioso da comportamento illegittimo altrui: da quando decorre la prescrizione?

Il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno alla salute non univocamente riconducibile, da un punto di vista soggettivo, ad un preciso comportamento colposo o doloso di un terzo – come nel caso di grave stato ansioso/depressivo -, deve essere individuato con riferimento al momento in cui tale danno viene esteriorizzato in modo oggettivo, non solo quale lesione alla propria integrità psicofisica, ma anche sotto il profilo della riferibilità causale al comportamento del terzo.

E’ quanto risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 7194/15, depositata il 10 aprile. I fatti. Nel dicembre 1999 il Ministero della pubblica istruzione, il Provveditore agli studi di Palermo e la direttrice di un circolo didattico venivano convenuti in giudizio dal segretario del circolo didattico di Termini Imerese per il risarcimento del danno da questo asseritamente subito a causa di un atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, sfociato in una denuncia per truffa alla p.a., accusa dalla quale era stato poi assolto. Il segretario sosteneva di aver subito gravi danni alla propria reputazione, nonché danni alla salute sviluppando un grave stato ansioso – depressivo, accertato dal medico di fiducia nel 1990. Durante l’anno successivo aveva presentato distinte richieste all’amministrazione ai fini dell’equo indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio e del risarcimento del danno. Nel 1995 la Commissione medica aveva riconosciuto la dipendenza della malattia da causa di servizio, nel 1997, a seguito del diniego del Provveditorato alla richiesta di equo indennizzo, il segretario aveva adito il TAR, il quale accoglieva la domanda nel 1998. Il Tribunale respingeva la domanda di risarcimento, ritenendo prescritto il relativo diritto per mancanza di validi atti interruttivi, successivi alle domande presentate alla p.a. del 1991. La pronuncia veniva successivamente confermata dai giudici di seconde cure con sentenza impugnata dal segretario innanzi alla Corte di Cassazione. La decorrenza della prescrizione. Con il primo motivo del ricorso viene denunciato l’omesso riconoscimento della rilevanza dell’esito della Commissione medica del 1995 e della sentenza del TAR del 1998 ai fini dell’individuazione del momento della piena consapevolezza soggettiva della riconducibilità causale della malattia alla vicenda processuale intentata contro il segretario, quale momento da cui decorre il termine di prescrizione per il risarcimento del danno subito. La Corte di Cassazione, ritenendo la doglianza priva di fondamento, afferma che nell’ipotesi di danni alla salute che, per loro stessa natura – come nel caso di grave stato ansioso / depressivo – non sono univocamente riconducibili da un punto di vista soggettivo a un preciso comportamento colposo o doloso di un terzo, ai fini della individuazione del dies a quo della decorrenza del diritto al risarcimento del danno, rileva l’esteriorizzazione del danno, come oggettivamente percepibile e riconoscibile, non solo rispetto alla lesione alla propria integrità psicofisica, ma anche sotto il profilo della riferibilità causale al comportamento colposo o doloso di un terzo . Aggiungono poi i Giudici di legittimità che la condotta del danneggiato deve essere valutata dal giudice di merito alla luce della ordinaria diligenza da esso esigibile fino al limite temporale della domanda di riparazione del danno subito, presentata dal danneggiato nei confronti del soggetto a cui ritiene causalmente riferibile il comportamento dannoso, momento oltre il quale sarebbe illogico ritenere che la prescrizione possa iniziare a decorrere, essendosi la parte attivata per chiedere la reintegrazione della lesione subita. L’inidoneità del giudizio amministrativo ad interrompere la prescrizione. Il ricorrente sostiene altresì che il ricorso presentato al TAR avrebbe interrotto la decorrenza della prescrizione, in quanto domanda in giudizio ex art. 2943 c.c., mettendo in evidenza che il giudice ordinario ed il giudice amministrativo tutelano il medesimo bene dell’integrità psicofisica in riferimento allo stesso evento lesivo, ed avrebbero dunque errato i giudici di merito nell’escludere l’interruzione della prescrizione, ritenendo il giudizio amministrativo una vicenda collaterale . Ancora una volta, l’apprezzamento della Cassazione esclude la fondatezza della doglianza affermando che l’effetto interruttivo della prescrizione, ricollegato dall’art. 2943 c.c. alla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio è limitato al diritto dedotto specificatamente nel giudizio, estinguendosi ogni diritto in forza di una propria prescrizione, nessuna identità oggettiva è rinvenibile tra l’azione volta ad ottenere l’indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio e l’azione di risarcimento del danno, ex art. 2043 c.c., per lesione del diritto alla salute, data la ontologica diversità delle stesse . Ne consegue che la domanda presentata innanzi al TAR ai fini dell’equo indennizzo non costituisce atto idoneo all’interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione del diritto alla salute, avanzata dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. In conclusione nel caso di specie la domanda di risarcimento del danno risulta prescritta e, per questi motivi, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 3 febbraio – 10 aprile 2015, n. 7194 Presidente Segreto – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. P.F. con atto del dicembre 1999 convenne in giudizio il Ministero della pubblica istruzione, il Provveditore agli studi di Palermo A.G. e la direttrice del circolo didattico S.G. per il risarcimento del danno conseguente ad un atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, all'epoca in cui lavorava quale segretario presso il circolo didattico di Termini Imerese. Comportamento che si era attuato anche con la denuncia per truffa alla Pubblica Amministrazione nel marzo 1984 , dalla quale, dopo aver subito una condanna, era stato assolto. Il P. sostenne di aver subito, oltre alla lesione della reputazione, gravi danni alla salute, sviluppando un grave stato ansioso-depressivo che tale stato era stato diagnosticato nel settembre del 1990 da un medico di fiducia che nel 1991 aveva presentato distinte richieste, una all'amministrazione ai fini dell'equo indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio e l'altra di risarcimento del danno che, in esito ad una nuova visita privata, la quale nell'aprile del 1992 aveva accertato un aggravamento, aveva inviato due richieste di risarcimento nell'agosto e nell'ottobre del 1992 all'amministrazione che nel febbraio 1995 la Commissione medica aveva riconosciuto la dipendenza della malattia da causa di servizio e aveva dato parere positivo per la pensione ai sensi della legge n. 834 del 1981 che, non avendo il Provveditorato accolto la richiesta di equo indennizzo, nel gennaio 1997 aveva adito il TAR, il quale nel gennaio 1998 aveva annullato il diniego, così ottenendo l'equo indennizzo nel giugno dello stesso anno. Il Tribunale ritenne prescritto il diritto al risarcimento per mancanza di atti interruttivi validi, successivi alle richieste di risarcimento presentate all'amministrazione nel 1992 e rigettò anche la domanda nel merito. L'impugnazione proposta dal P. , sostenendo che la decorrenza della prescrizione era stata interrotta dal ricorso al Tar del 1997, oltre che proponendo censure nel merito, venne rigettata dalla Corte di appello di Bologna sotto il profilo della prescrizione, ritenendo assorbita la censura attinente al merito sentenza del 17 giugno 2010 . Avverso la suddetta sentenza, P. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resistono con unico controricorso tutti gli intimati. Motivi della decisione 1. La Corte di merito, nel confermare la sussistenza della intervenuta prescrizione, ha in primo luogo ritenuto la prescrizione del danno alla reputazione, di immediata percezione, per essere stata proposta la prima richiesta di risarcimento nel maggio del 1991, a fronte del comportamento assunto come lesivo costituito dal rapporto alla Procura della Repubblica, risalente al marzo del 1984. Quanto ai danni lamentati in riferimento allo stato di salute, nel dare rilievo alla percezione da parte del P. della lesione del proprio diritto alla salute e agli atti interruttivi costituiti dalla messa in mora dell'amministrazione, la Corte di merito ha ritenuto - che la consapevolezza dei danni alla salute risale alla visita medica del settembre 1990, nella quale era stato accertato il grave stato ansioso-depressivo quale patologia permanente, confermata, con l'accertamento anche sulla capacità lavorativa specifica, nel 1992 che gli ultimi atti interruttivi erano costituiti dalle due richieste di risarcimento del 1992 rivolte alla Amministrazione. Dopo aver messo in rilievo che il danneggiato, dopo il 1992, aveva coltivato la domanda di equo indennizzo, ottenendo nel 1995 il parere positivo da parte della Commissione Medica, facendo ricorso al Tar nel 1997 avverso il diniego da parte del Provveditorato dopo il parere negativo della commissione pensioni, e ottenendo dal Tar, nel 1998, una sentenza favorevole, la Corte di merito ha escluso che, sia il parere della Commissione medica, sia la sentenza dinanzi al Tar potessero avere incidenza sullo stato soggettivo e sulla consapevolezza del nesso causale ha escluso, altresì, valenza interruttiva all'avvio del giudizio dinanzi al Tar per essere lo stesso attinente ad una vicenda collaterale , quale l'infermità per causa di servizio. Infine, ha ritenuto assorbite le censure relative al merito della controversia. 2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 2943, 2946 e 2947 cod. civ., unitamente a difetti motivazionali. I profili di censura sono due. Con il primo si sostiene che, erroneamente, il giudice di merito non ha dato rilievo all'esito della Commissione medica del 1995 e alla sentenza del Tar del 1998 al fine di individuare il momento della piena consapevolezza soggettiva della riconducibilità causale della malattia alle vicende giudiziarie intentate nei suoi confronti, quindi, il momento dell'inizio del termine di decorrenza della prescrizione. A tal fine, il ricorrente sostiene che solo con il primo parere ha avuto attestazione ufficiale di tale riconducibilità causale, peraltro successivamente messa in discussione dal parere del Comitato per le pensioni sulla base del quale il provveditorato aveva negato il diritto all'indennizzo. Con la conseguenza che, sempre secondo il ricorrente, la piena consapevolezza andrebbe ricondotta alla sentenza favorevole del Tar del 1998 e, quindi, comunque, l'esercizio del diritto al risarcimento non sarebbe prescritto essendo stata l'azione proposta nel 1999. La censura prospettata con il primo profilo del primo motivo va rigettata. 2.1. La questione posta all'attenzione della Corte concerne l'individuazione del momento della piena consapevolezza soggettiva da parte del P. in ordine alla riconducibilità causale della malattia alle vicende giudiziarie avviate dall'amministrazione, che lo avevano visto denunciato per truffa alla Pubblica Amministrazione e poi assolto dopo aver subito una condanna, ai fini della individuazione del momento dell'inizio del termine di decorrenza della prescrizione quinquennale. Snodo centrale è l'individuazione del dies a quo della decorrenza del diritto al risarcimento del danno, nell'ipotesi di danni alla salute che, per la loro stessa natura - come nel caso di grave stato ansioso-depressivo - non sono immediatamente, univocamente e direttamente riconducibili da un punto di vista soggettivo a un preciso comportamento colposo o doloso di un terzo. Soccorre al fine, il lungo percorso nell'interpretazione degli artt. 2935 e 2947, primo comma cod. civ., compiuto dalla giurisprudenza, oltre che dalla dottrina, poi recepito dal legislatore speciale rispetta a materie particolari, e fatto proprio dalle Sezioni Unite n. 576 del 2008, anche per la compiuta descrizione del suddetto percorso in riferimento a fatti dannosi lungolatenti da contagio. In estrema sintesi, rileva il graduale passaggio dal giorno in cui il fatto si è verificato”, secondo la previsione del codice civile, alla esteriorizzazione del danno, come oggettivamente percepibile e riconoscibile, non solo rispetto alla lesione della propria integrità psicofisica, ma anche in relazione alla riconoscibilità della lesione sotto il profilo, giuridico cioè sotto il profilo della riferibilità causale al comportamento colposo o doloso di un terzo non potendo l'inattività della parte esplicare effetti negativi sulla prescrizione del diritto in mancanza della rapportabilità causale di un danno ad un comportamento di un terzo. E, sia nell'esame delle diverse tappe che possano in concreto caratterizzare l'emersione del danno quale lesione dell'integrità psicofisica, quanto nell'individuazione del momento in cui possa ritenersi chiara la riferibilità causale delle lesioni oramai manifestate ad un comportamento di un terzo, un ruolo determinante è svolto dal giudice del merito. A questo, infatti, spetta individuare tali momenti, non indagando il foro interiore del soggetto danneggiato, ma valutando, alla luce della ordinaria diligenza esigibile, la sua condotta nell'acquisire informazioni per risalire alla causa della malattia e nel manifestare istanze di reintegrazione della lesione subita. Questa indagine incontra un limite temporale oltre il quale non è neanche ipotizzabile che il danneggiato non abbia avuto consapevolezza della lesione subita e della riconducibilità causale della stessa ad un soggetto determinato. Ed il limite è costituito dalla domanda di riparazione del danno subito, effettuata dal danneggiato al soggetto cui ritiene causalmente riconducibile il comportamento ingiusto. Sarebbe illogico, infatti, ritenere che la prescrizione possa iniziare a decorrere dopo che la parte si è comunque attivata per chiedere la reintegrazione della lesione subita. Mentre, non incide sulla decorrenza della prescrizione l'esito della domanda, che si pone solo quale conferma di quanto ipotizzato dal danneggiato la domanda amministrativa avanzata dalla vittima del contagio per ottenere l'indennizzo previsto dalla legge nel caso di trasfusioni, e non il responso della Commissione medica preposta, nella decisione delle Sez. Un. del 2008, richiamata . 2.2. In questa ottica si collocano le argomentazioni della sentenza impugnata, che ha correttamente negato rilievo agli esiti e della Commissione medica e, ovviamente, della sentenza del TAR, e dato rilievo, invece, alle visite mediche del 1990 e del 1992, considerando poi come ultimi atti interruttivi le domande di risarcimento del 1992 proposte all'amministrazione. In particolare, applicando alla specie il principio suddetto, deve ritenersi che il dies a quo per la decorrenza della prescrizione non può essere successivo al momento in cui 1991 il danneggiato, dopo la visita medica del 1990, si era attivato per chiedere all'amministrazione l'indennizzo previsto per l'infermità dipendente da causa di servizio e, con distinto atto, il risarcimento del danno. 2.3. In conclusione, il profilo di censura è rigettato sulla base del seguente principio di diritto Nell'ipotesi di danni alla salute che, per loro stessa natura - come nel caso di grave stato ansioso/depressivo - non sono univocamente riconducibili da un punto di vista soggettivo a un preciso comportamento colposo o doloso di un terzo, ai fini della individuazione del dies a quo della decorrenza del diritto al risarcimento del danno, rileva l'esteriorizzazione del danno, come oggettivamente percepibile e riconoscibile, non solo rispetto alla lesione della propria integrità psicofisica, ma anche sotto il profilo della riferibilità causale al comportamento colposo o doloso di un terzo, e al giudice del merito spetta valutare la condotta del danneggiato alla luce della ordinaria diligenza esigibile sino al limite temporale, costituito dalla domanda di riparazione del danno subito, effettuata dal danneggiato al soggetto cui ritiene causalmente riconducibile il comportamento ingiusto, oltre il quale sarebbe illogico ritenere che la prescrizione possa iniziare a decorrere, essendosi la parte comunque attivata per chiedere la reintegrazione della lesione subita”. 3. Con il secondo profilo di censura prospettato con il primo motivo, sul presupposto di far decorrere il termine di prescrizione dal 1992 quando si mise in mora l'amministrazione con le richieste di risarcimento del danno , si sostiene che il ricorso dinanzi al Tar nel 1997 ne avrebbe interrotto la decorrenza trattandosi di domanda in giudizio ex art. 2943 cod. civ A tal fine, mettendo in evidenza che il giudizio dinanzi al giudice amministrativo e quello dinanzi al giudice ordinario tutelano il medesimo bene della integrità psicofisica in riferimento allo stesso evento lesivo, si censura la sentenza impugnata che ha escluso l'interruzione della prescrizione, ritenendo il giudizio dinanzi al Tar attinente ad una vicenda collaterale quale l'infermità per causa di servizio. 3.1. La censura non ha pregio e va rigettata. Correttamente la sentenza di merito ha escluso che la domanda dinanzi al Tar, relativa all'equo indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio, potesse costituire idoneo atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute, avanzata dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria. L'effetto interruttivo della prescrizione, che l'art. 2943 cod. civ. ricollega alla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, non può non essere limitato al diritto dedotto specificamente nel giudizio, posto che ogni diritto si estingue in forza di una propria prescrizione e non può estendersi ad altre azioni. Si tratta della limitazione oggettiva degli effetti della prescrizione che si unisce a quella soggettiva, dal lato attivo e passivo, non potendo normalmente operare l'effetto interruttivo sulla sfera giuridica di terzi estranei, come è pacifico nella giurisprudenza della Corte da lungo tempo Cass. n. 1550 del 1975 n. 2839 del 1966 . Estensione degli effetti internativi che non si verifica neanche nell'ipotesi di diverse azioni risarcitorie, dovendo l'identità concernere anche la causa petendi oltre che il petitum Cass. n. 726 del 2006 . Nella specie nessuna identità oggettiva è rinvenibile tra l'azione volta ad ottenere l'indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio e l'azione di risarcimento del danno, ex art. 2043 cod. civ., per lesione del diritto alla salute, data la ontologica diversità delle stesse, della quale è sufficiente evidenziare l'indifferenza dell'indennizzo, con valenza assistenziale/previdenziale, a qualsiasi profilo di colpa. Senza che possa assumere alcun rilievo la circostanza che i diversi diritti reintegrino lo stesso bene della integrità psicofisica, violato da uno stesso evento lesivo, che, invece potrebbe assumere rilievo rispetto alla cumulabilità dei diversi benefici cumulabilità ripetutamente negata dalla Corte di legittimità nel caso di danni alla salute patiti a causa di infezione contratta in seguito ad emotrasfusione con sangue infetto . 3.2. Il motivo, quindi, è rigettato sulla base del seguente principio di diritto Atteso che l'effetto interruttivo della prescrizione, ricollegato dall'art. 2943 cod. civ. alla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, è limitato al diritto dedotto specificamente nel giudizio, estinguendosi ogni diritto in forza di una propria prescrizione, nessuna identità oggettiva è rinvenibile tra l'azione volta ad ottenere l'indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio e l'azione di risarcimento del danno, ex art. 2043 cod. civ., per lesione del diritto alla salute, data la ontologica diversità delle stesse, con la conseguenza che la domanda dinanzi al Tar, relativa all'equo indennizzo non può costituire idoneo atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute, avanzata dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria”. 3.3. In definitiva, nella specie, è prescritta l'azione di risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute, proposta nel 1999, decorrendo il dies a quo dal momento in cui il danneggiato ha inequivocabilmente avuto consapevolezza delle lesioni e della loro rapportabilità causale all'azione giudiziaria intrapresa dall'amministrazione, il quale non può essere individuato in data successiva a quella in cui lo stesso danneggiato ha proposto domanda all'amministrazione per essere reintegrato del danno nel 1991, anno in cui ha chiesto l'indennizzo e il risarcimento , e dovendosi individuare l'ultimo atto interattivo nella domanda proposta nel 1992 con la quale, anche in riferimento all'aggravarsi della malattia, ha chiesto all'amministrazione il risarcimento del danno. Mentre, invece, il danneggiato ha omesso di coltivare la domanda di risarcimento sino a che non ha avuto esito positivo la diversa domanda di indennizzo nel 1998 con la sentenza del Tar . 4. Con il secondo motivo, in rubrica, si deducono vizi motivazionali relativi a un punto della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio” in ordine all'applicazione dell'art. 2946 cod. civ. e del termine decennale della prescrizione ordinaria violazione degli art. 22 e 23 del d.P.R. n. 3 del 1957 erronea e insufficiente motivazione in ordine alla insussistenza del dolo e della colpa dei funzionari. Nella parte esplicativa, si prospettano due distinte censure. Da un lato, quale censura alla sentenza di primo grado già sviluppata con l'appello, si sostiene l'illegittimità dei comportamenti dell'amministrazione e la sussistenza del nesso causale tra gli stessi e la patologia del P. . Dall'altro, a partire dal rapporto contrattuale esistente tra P. e l'amministrazione, si sostiene l'applicabilità della prescrizione decennale ai sensi dell'art. 2946 cod. civ Entrambi i profili sono inammissibili. 4.1. Il primo perché il merito della controversia è stato correttamente ritenuto assorbito dalla Corte di appello, avendo la stessa rigettato la domanda per intervenuta prescrizione del diritto. Il secondo perché proposto per la prima volta nel giudizio di cassazione. La Corte di merito non prende proprio in esame il tema della prescrizione decennale e il ricorrente non dimostra, mediante idoneo riferimento agli atti del giudizio di merito, che lo stesso era stato ivi trattato. Peraltro, se avesse fatto questa prospettazione nel ricorso, avrebbe poi dovuto impugnare la sentenza per omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ D'altra parte, lo stesso ricorrente sembra avere contezza della novità della questione della prescrizione decennale quando, nella rubrica del motivo, fa riferimento al rilievo d'ufficio della stessa. 5. Infine, nel ricorso, viene rubricata con il n. 3, la richiesta di condanna in favore del P. unitamente al favore delle spese processuali. All'evidenza, non si tratta neanche di un motivo di censura, quanto della prospettazione di una conseguenza dell'auspicato esito positivo del ricorso per cassazione. 6. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei parametri vigenti, a favore dei controricorrenti, difesi, con unico controricorso, dall'Avvocatura Generale dello Stato. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, per onorari, oltre spese prenotate a debito.