Magistrato presentato come ‘toga rossa’: nessuna diffamazione

Pomo della discordia alcune righe di un testo sugli ‘anni di piombo’, dove il magistrato viene etichettato come ‘toga rossa’, per giunta sgradita al presidente del Consiglio dell’epoca. Tale definizione, però, viene valutata come assolutamente non offensiva respinta, quindi, la richiesta di risarcimento avanzata dal magistrato nei confronti dello scrittore e della casa editrice.

Sdoganata, definitivamente, la definizione ‘toga rossa’, utilizzabile, da oggi, senza tema di querele! Decisiva la pronuncia conclusiva sul contenzioso tra un magistrato e una casa editrice, relativamente a un libro in cui il magistrato era stato presentato come ‘toga rossa’. Ebbene, non solo questa ‘etichetta’ non è diffamatoria, ma, paradossalmente, può anche essere valutata come un riconoscimento positivo Cass., sent. n. 1435/2015, Terza Sezione Civile, depositata oggi . Etichetta. Pagine scottanti e pregne, quelle – oltre 520 – del libro Piombo rosso – La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi”, scritto dal professore Giorgio Galli e pubblicato dalla casa editrice ‘Baldini e Castoldi Dalai’. Ma a saltare agli occhi, per una delle persone citate nel voluminoso testo, è la definizione che gli viene attribuita, ossia ‘toga rossa’. Piccata la reazione del magistrato chiamato in causa, Leonardo Matassa, il quale porta scrittore ed editore in Tribunale, chiedendo un adeguato risarcimento dei danni conseguenti all’avvenuta pubblicazione di frasi dal contenuto asseritamente diffamatorio . Ma quali sono le parole incriminate? Eccole Il PM Matassa, una toga rossa, proprio di Palermo, di quelle particolarmente sgradite al presidente del Consiglio ed ai suoi giornali . Evidente, secondo il magistrato, il contenuto diffamatorio della frase, anche in considerazione della sua partecipazione alla Commissione parlamentare inquirente sul cosiddetto ‘affare Mitrokhin’ . Ma tale visione, condivisa dai giudici del Tribunale – laddove è riconosciuto un risarcimento pari a 5mila euro –, viene smentita dai giudici della Corte d’Appello, i quali, anzi, affermano che la censurata espressione di ‘toga rossa’, presa, però, nel contesto di un’ampia trattazione sul periodo dei cosiddetti ‘anni di piombo’, non risultava usata in tono denigratorio o dispregiativo, bensì, piuttosto, in senso positivo, ossia per indicare l’atteggiamento di un magistrato inquirente che non si ferma alle apparenze e che gode di una coscienza tranquillamente fiera . Senza offesa Niente risarcimento, quindi, alla luce del giudizio di secondo grado, e tale decisione viene fatta propria e cristallizzata, in via definitiva, ora, dai giudici della Cassazione, i quali respingono le obiezioni mosse da Matassa. Confermata, di conseguenza, le valutazioni dei giudici di Appello sulle frasi contestate inserite, come detto, in un libro di contenuto storico, destinato alla ricostruzione dei cosiddetti ‘anni di piombo’ esse, anche alla luce del contesto complessivo dell’opera , non hanno alcuna valenza denigratoria . E questa valutazione non viene minimamente modificata dalla sottolineatura, fatta dal magistrato, che l’uso del termine ‘toga rossa’ era stato anche collegato al rilievo per cui magistrati così inquadrabili erano sgraditi al presidente del Consiglio dell’epoca e ai suoi giornali ciò anche tenendo presente, concludono i giudici di Cassazione, la soggettività della valutazione in termini di ‘sgradevolezza’ .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 31 ottobre 2014 – 27 gennaio 2015, n. 1435 Presidente Petti – Relatore Cirillo Svolgimento del processo l. Il dott. L. M., magistrato, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la casa editrice Baldini e Castoldi Dalai ed il prof. G.G,, chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni conseguenti all'avvenuta pubblicazione di frasi dal contenuto asseritamente diffamatorio. Sostenne l'attore che alla pag. 340 del libro intitolato Piombo rosso - La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi , scritto dal prof. Galli e pubblicato dalla menzionata casa editrice, ci si riferiva a lui nei seguenti termini Il PM M. una toga rossa, proprio di Palermo, di quelle particolarmente sgradite al Presidente del Consiglio ed ai suoi giornali . Tale apprezzamento si era rivelato di contenuto diffamatorio, anche in considerazione della partecipazione del dott. M. alla Commissione parlamentare inquirente sul c.d. affare Mitrokhin. Si costituirono entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale, accertata la natura diffamatoria dell'espressione toga rossa , condannò i convenuti, in solido, al pagamento in favore del dott. M. della somma di euro 5.000, con il carico delle spese di giudizio. 2. Proposto appello da parte dei convenuti soccombenti, la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 15 luglio 2010, in riforma di quella di primo grado, ha accolto il gravame, respingendo la domanda risarcitoria proposta dal dott. M. e compensando per intero le spese del doppio grado di giudizio. Ha osservato la Corte territoriale che, nella specie, non era stata prospettata dall'interessato una lesione della propria identità personale, bensì soltanto della propria reputazione professionale. La censurata espressione di toga rossa , però, presa nel contesto di un'ampia trattazione sul periodo dei c.d. anni di piombo, non risultava usata in tono denigratorio o dispregiativo, bensì piuttosto in senso positivo, ossia per indicare l'atteggiamento di un magistrato inquirente che non si ferma alle apparenze e che gode di una coscienza tranquillamente fiera . D'altra parte, il fatto che il testo in oggetto si riferisse anche alla circostanza che le toghe rosse erano particolarmente sgradite al Presidente del Consiglio ed ai suoi giornali non poteva comunque integrare gli estremi della diffamazione, dato il carattere del tutto soggettivo del giudizio di sgradevolezza . 3. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano propone ricorso il dott. L. M., con atto contenente un solo motivo. Resistono con un unico controricorso la casa editrice Baldini e Castoldi Dalai ed il prof. G.G,. Il ricorrente ha presentato memoria. Motivi della decisione 1. Col primo ed unico motivo del ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento agli artt. 2043 e 2059 cod. civ. ed all'art. 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, sulla stampa. Rileva il ricorrente che non sarebbe chiaro il percorso logico seguito dalla Corte d'appello per pervenire ad escludere la negatività dell'espressione toga rossa . Essa, infatti, unitamente al riferimento per cui quella parte della magistratura era da ritenere invisa al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai suoi giornali, sarebbe da ritenere diffamatoria. Al riguardo, tenendo presente anche il titolo dell'opera - che contiene un riferimento al piombo rosso - l'uso della citata espressione sarebbe da ritenere in grado di ledere il prestigio di un magistrato proprio nella sua qualità fondamentale della indipendenza. Il contesto nel quale è inserita la frase, del resto, risulterebbe esorbitante rispetto alle condizioni delineate dalla giurisprudenza per l'esercizio del diritto di cronaca e di critica, finendo col colpire sul piano morale la figura del magistrato. 1.1. Il motivo non è fondato. Come questa Corte ha in più occasioni ribadito, la lesione dell'onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti la verità oggettiva, o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto della gravità della notizia pubblicata l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto cosiddetta pertinenza e la correttezza formale dell'esposizione cosiddetta continenza . La valutazione in concreto della sussistenza di tali elementi è un potere spettante al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità in presenza di motivazione congrua ed immune da vizi logici giurisprudenza costante v., tra le altre, le sentenze 20 ottobre 2009, n. 22190, e 10 gennaio 2012, n. 80 . Tali principi devono valere anche nel caso di specie, nel quale le dichiarazioni contestate non fanno parte di un articolo di giornale, bensì di un libro di contenuto storico, destinato alla ricostruzione dei c.d. anni di piombo. 1.2. La Corte d'appello di Milano, nella specie, ha fatto buon governo dei principi sopra indicati. Con una motivazione correttamente argomentata e priva di vizi logici, essa ha dato la propria ricostruzione dei fatti con la conseguente valutazione, pervenendo alla conclusione - come sopra si è visto - che la frase di cui si doleva il dott. M. non assumeva, in relazione al contesto complessivo dell'opera, alcuna valenza denigratoria, quanto invece doveva ritenersi in qualche modo elogiativa ciò in quanto l'uso del termine toga rossa, aggiunto al rilievo per cui magistrati del genere del dott. M. erano affatto sgraditi al Presidente del Consiglio dell'epoca ed ai suoi giornali, non poteva avere, di per sé, alcun carattere diffamatorio, stante anche la soggettività della valutazione in termini di sgradevolezza. Analogamente, la Corte d'appello ha valutato come forzato e difficilmente comprensibile l'accostamento -- che secondo l'attore aveva valenza diffamatoria - tra l'espressione toga rossa e quella di piombo rosso, utilizzata nel libro del prof. Galli con riferimento ai molti fatti di sangue di quegli anni, ed ha quindi escluso che le due espressioni potessero in qualche modo lasciare intuire un comportamento non pienamente limpido da parte del dott. M A fronte di tale motivata ricostruzione dei fatti, il ricorso in esame si risolve nell'evidente tentativo di ottenere in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito della vicenda. 2. Il ricorso, pertanto, è rigettato. In considerazione, tuttavia, della particolarità della vicenda e degli alterni esiti dei giudizi di merito, ritiene la Corte di dover integralmente compensare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.