Processo infinito, dovuto a continue richieste di rinvio: non è giusto scaricare la colpa sulle parti

Ai fini del riconoscimento del diritto ad un’equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, non possono essere ascritti in toto al comportamento delle parti i ritardi dovuti alle continue richieste di rinvio non funzionali al contraddittorio ed al corretto svolgimento del processo. Questi rilevano, almeno in parte, in caso di inerzia ed acquiescenza dell’istruttore, per valutare proprio il comportamento del giudice.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 803, depositata il 20 gennaio 2015. Il caso. Quattro persone chiedevano il pagamento dei danni non patrimoniali derivanti dall’irragionevole durata di un giudizio civile, instaurato nel 1977 e ancora pendente. La Corte d’appello di Catanzaro detraeva dalla durata del processo 11 anni e 8 mesi, in quanto riferibili a rinvii richiesti dalla parti, oppure all’utilizzazione del termine lungo per la proposizione delle impugnazioni. In base a tale calcolo, rideterminava la durata del processo e liquidava le somme spettanti alle parti. Queste ricorrevano in Cassazione, contestando la detrazione di tutti i segmenti processuali determinati da richieste di rinvio delle parti, senza un’indagine sulle ragioni dei rinvii, sui tempi degli stessi e sul ruolo del giudice nella conduzione del processo. Anche il giudice può avere le sue responsabilità. La Corte di Cassazione ricorda che, ai fini del riconoscimento del diritto ad un’equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, non possono essere ascritti in toto al comportamento delle parti i ritardi dovuti alle continue richieste di rinvio non funzionali al contraddittorio ed al corretto svolgimento del processo. Questi rilevano, almeno in parte, in caso di inerzia ed acquiescenza dell’istruttore, per valutare proprio il comportamento del giudice. Nel caso di specie, la Corte d’appello di Catanzaro non aveva svolto verifiche sul mancato esercizio da parte del giudice dei poteri direttivi del processo e neanche sulla durata dei singoli rinvii, addebitando alle parti tutto il lasso di tempo intercorso tra un’udienza e l’altra. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione ai giudici di merito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 26 novembre 2014 – 20 gennaio 2015, n. 803 Presidente/Relatore Petitti Fatto e diritto Ritenuto che S.P., S. Antonino, S. Franco, S. Quinto, con ricorso depositato in data 20 febbraio 2012 presso la Corte d'appello di Catanzaro, chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dei danni non patrimoniali derivanti dalla irragionevole durata di un giudizio civile instaurato nel 1977 dinnanzi al Tribunale di Locri, ancora pendente presso la Corte di cassazione alla data di proposizione della domanda che l'adita Corte d'appello detraeva sei anni quale durata ragionevole di un processo svoltosi in tre gradi di giudizio, nonché undici anni e otto mesi in quanto riferibili a rinvii richiesti dalle parti, ovvero alla utilizzazione del termine lungo per la proposizione delle impugnazioni che, con riferimento alla posizione di S. Antonino, la Corte d'appello rilevava che lo stesso era rimasto contumace nel giudizio di appello e non aveva proposto ricorso per cassazione, sicché la durata complessiva del giudizio a lui riferibile era di anni diciassette, pari alla durata del giudizio di primo grado che la Corte d'appello riteneva, quindi, che la durata irragionevole indennizzabile per S.P., S. Franco, S. Quinto fosse di diciassette anni e per S. Antonino di sei ani e nove mesi durata in relazione alla quale liquidava, per ciascuno dei primi tre, un indennizzo di 13.000,00 euro e, per il quarto, un indennizzo di euro 4.250,00, adottando il criterio di liquidazione di 500,00 euro per i primi tre anni di ritardo e di 750,00 per ciascuno degli anni successivi, e compensando per metà le spese di lite che per la cassazione di questo decreto S.P., S. Franco, S. Quinto, S. Antonino hanno proposto ricorso sulla base di due motivi che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso. Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 6 della CEDU e dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, nonché degli artt. 175 cod. proc. civ. e 81 disp. att. cod. proc. civ. , e motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria su fatti decisivi della causa, dolendosi del fatto che la Corte d'appello abbia detratto tutti i segmenti processuali determinati da richieste di rinvio delle parti, senza indagare sulle ragioni dei rinvii, sui tempi degli stessi e senza porsi in alcun modo il problema del ruolo del giudice nella conduzione del processo che con il secondo motivo i ricorrenti censurano la statuizione di compensazione parziale delle spese sostenendo che non fosse sufficiente il riferimento ai giusti motivi che il primo motivo di ricorso è fondato che, invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di diritto all'equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, per la valutazione della ragionevole durata del processo deve tenersi conto dei criteri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, alle cui sentenze, riguardanti l'interpretazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, richiamato dalla norma interna, deve riconoscersi soltanto il valore di precedente, non sussistendo nel quadro delle fonti meccanismi normativi che ne prevedano la diretta vincolatività per il giudice italiano. Anche in tale prospettiva, l'accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda di equa riparazione - ovvero, la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta dell'autorità - così come la misura del segmento, all'interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all'apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione Cass. n. 24399 del 2009 che, con specifico riferimento al processo civile e alla imputabilità dei rinvii al comportamento delle parti, si è chiarito che ai fini del riconoscimento, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, del diritto ad un'equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, non possono essere ascritti in toto al comportamento delle parti i ritardi dovuti alle continue richieste di rinvio non funzionali al contraddittorio e al corretto svolgimento del processo, rilevando gli stessi, almeno in parte, in caso di inerzia ed acquiescenza dell'istruttore - in capo al quale sussistono tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento stesso - ai fini della valutazione del comportamento del giudice, ai sensi dell'art. 2, comma secondo, della citata legge n. 89 del 2001 Cass. n. 15258 del 2011 che, nel caso di specie, risulta evidente che la Corte d'appello non ha svolto alcuna verifica né in ordine al mancato esercizio, da parte del giudice, dei poteri direttivi del processo, né della durata dei singoli rinvii, finendo con l'addebitare tutto intero alle parti il lasso di tempo intercorso tra un'udienza e l'altra che il primo motivo, con riferimento alla problematica del computo dei rinvii - l'unico, del resto, in ordine al quale i ricorrenti svolgono critiche, non avendo invece censurato la detrazione dei periodi di stasi processuale ai fini delle impugnazioni - è dunque fondato che l'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento del secondo, concernente la statuizione sulle spese che dunque il decreto impugnato deve essere cassato in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Catanzaro perché, in diversa composizione, proceda a nuovo esame della durata irragionevole del giudizio presupposto alla luce dell'indicato principio che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Catanzaro, in diversa composizione.