Gradino rotto, piede in fallo: capitombolo per una donna. Che avrebbe dovuto essere più attenta...

Azzerato definitivamente il corposo obolo, pari a quasi 100mila euro, previsto a carico del Comune. Nessun dubbio sulla dinamica dell’episodio, e sul fatto che la caduta sia avvenuta a causa del gradino rotto, ma la donna, essendo a conoscenza delle condizioni della scalinata, avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione a dove metteva i piedi.

Dannosa, e per nulla salutare, la passeggiata – obbligata, per poter andare a lavoro – nel centro storico del paese lungo il tragitto, difatti, è fatale il gradino rotto di una scalinata, che provoca la caduta – con serie conseguenze – di una donna. Tutta colpa del Comune, almeno in linea teorica. Perché, in pratica, a risultare decisiva è la scarsissima attenzione prestata dalla donna, che, non a caso, vede azzerato definitivamente il corposo risarcimento riconosciutole Cassazione, ordinanza n. 25220, sez. VI Civile, depositata oggi . Occhi aperti Vittoria piena, in Tribunale, per la donna, che, a seguito della caduta da una scalinata del centro storico del Comune , vede ufficializzato il risarcimento dei danni personali subiti a seguito del brutto capitombolo. Cifra corposa, quella decisa dai giudici di primo grado ben 99mila euro! Ma tale numero è da azzerare completamente, ribattono i giudici di secondo grado, i quali, accogliendo l’obiezione mossa dal Comune, ritengono decisiva, nella caduta , la condotta non diligente della donna. E questa visione viene condivisa, e quindi confermata, anche dai giudici della Cassazione, i quali ritengono corrette le valutazioni compiute in Appello, laddove si è posto in evidenza che l’evento era avvenuto di giorno, su una scalinata che la persona danneggiata percorreva per recarsi al lavoro, e che, presumibilmente, conosceva come scalinata di vecchia fattura, con gradino rotto , e che quindi esso avrebbe potuto essere evitato ricorrendo alla ordinaria diligenza . Tutto ciò, ovviamente, libera il Comune da ogni ipotesi di responsabilità. Perché, pur considerando acclarato il nesso causale tra la cosa e l’evento, nel senso materiale della caduta proprio dallo scalino ‘sbeccato’ , è stata la disattenzione della donna – la quale, conoscendo le condizioni della scalinata, avrebbe dovuto essere più accorta – a interrompere il nesso causale con il custode – il Comune – della cosa .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 13 – 27 novembre 2014, n. 25220 Presidente Finocchiaro – Relatore Carluccio Ritenuto che, prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui agli artt. 376 e 380-bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione che la relazione ha il seguente contenuto 1. Il Tribunale di Benevento ha accolto la domanda, proposta dalla Sig.ra O.C. nei confronti del Comune di Morcone, di risarcimento dei danni personali pari a circa 99 mila euro, oltre accessori , subiti a seguito di una caduta da una scalinata del centro storico del Comune. La Corte di Appello di Napoli, accogliendo l'impugnazione del Comune di Morcone, ha riformato la sentenza di primo grado e rigettato la domanda sentenza del 23 febbraio 2012 . 2. Avverso la suddetta sentenza, la Sig.ra Ortoni propone ricorso per cassazione con due motivi. Il Comune di Morcone resiste con controricorso. E' applicabile ratione termporis la legge 18 giugno 2009, n. 69. Proposta di decisione 1.La Corte di appello ha rigettato la domanda risarcitoria sulla base di due argomentazioni autonome_ Ha ritenuto decisivo, a prescindere dalla qualificazione della domanda ai sensi dell'art 2051 o 2043 cod. civ., la mancanza di prova in ordine al nesso di causalità tra la cosa e l'evento. In particolare, la Ortoni non avrebbe provato di essere di essere caduta sullo scalino rotto , secondo quanto assunto nell'atto introduttivo del giudizio, atteso che a tal fine non sarebbero utili - né i testi, non presenti al momento della caduta - né la consulenza tecnica sulla dinamica dell'incidente, fondata su giudizi di probabilità in ordine alla possibile caduta dal gradino rotto. Quindi, con argomentazione autonoma, la Corte di merito ha ritenuto che, anche a voler ritenere provato il nesso di causalità tra la cosa e l'evento, la responsabilità del Comune sarebbe esclusa dal caso fortuito costituito dalla condotta non diligente della danneggiata, atteso che l'evento - avvenuto di giorno, su una strada scalinata che la danneggiata percorreva per recarsi al lavoro e che presumibilmente conosceva come scalinata di vecchia fattura, con gradino rotto - avrebbe potuto essere evitato con l'ordinaria diligenza. 2. La ricorrente denuncia, con due motivi, violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2697, 2727 cod. civ. e dell'art. 116 cod. proc. civ., unitamente a contraddittorietà della motivazione. 2.1 I due motivi di ricorso sono suscettibili di essere trattati congiuntamente, data la loro intima connessione, e censurano entrambe le argomentazioni della sentenza. 2.2. E' inammissibile la censura concernente l'argomentazione che, dato per esistente il nesso causale tra la cosa e l'evento nel senso materiale della caduta proprio da quello scalino sbeccato secondo la qualificazione della consulenza , ritiene l'esistenza del caso fortuito, costituito dal comportamento della danneggiata, idoneo a interrompere il nesso causale con il custode della cosa. Infatti, la ricorrente si limita a contestare le affermazioni delh Corte di merito in ordine alla conoscenza da parte della danneggiata dello stato dei luoghi, sulle quali si basa la valutazione della condotta non diligente della stessa, idonea ad integrare il fortuito. Assume di non essere frequentatrice abituale e assume la mancanza di luce naturale, senza indicare dove e quando nel giudizio di merito queste circostanze fattuali sarebbero emerse, in modo da poter imputare al giudice di non averle considerate. Ne, a tale fine, é sufficiente l'indicazione in ricorso di una data del verbale di udienza, in mancanza di riproduzione nello stesso ricorso del contenuto del verbale e della esatta indicazione della collocazione del verbale nel fascicolo processuale art. 366, n. 6 cod. proc. civ. con conseguente impedimento alla Corte di legittimità di verificare la decisività della censura. 2.3. L'inammissibilità del profilo suddetto del ricorso, con conseguente conferma della parte della argomentazione della sentenza impugnata che, presupponendo il nesso di causalità materiale, ritiene interrotto il nesso causale tra cosa custodita ed evento per effetto del fattore fortuito esterno costituito dalla condotta della danneggiata, rende superfluo, per assorbimento, l'esame del profilo di censura volto a contestare l'esistenza del nesso di causalità materiale che l'autonoma argomentazione della sentenza, uscita indenne dalla censura, presuppone. Consegue l'inammissibilità del ricorso. che la suddetta relazione è stata notificata agli avvocati delle parti costituite Considerato che il Collegio condivide le osservazioni in fatto e le argomentazioni e le conclusioni in diritto della relazione che i rilievi mossi dalla ricorrente, con memoria, non sono idonei ad inficiare le argomentazioni della relazione che, in particolare, la conoscenza dei luoghi da parte della danneggiata è desunta dal giudice dalla allegazione dei fatti contenuta nell'atto di citazione che, quanto alle argomentazioni relative al secondo motivo, il Collegio rileva che, a parte l'assorbimento esposto in relazione - secondo il quale non c'è ragione che sia esaminato un motivo volto ad ottenere il riconoscimento del nesso di causalità di causalità materiale negato dal giudice nella prima argomentazione quando, per effetto della inammissibilità del primo motivo resta confermata l'argomentazione della sentenza che, dato per esistente il nesso di causalità materiale, ritiene interrotto il nesso causale per via del fortuito esterno costituito dalla condotta della danneggiata - il motivo è inammissibile anche per difetto di interesse alla pronuncia sullo stesso da parte della ricorrente. Infatti, l'ipotetico accoglimento del suddetto motivo con il riconoscimento dell'esistenza del nesso di causalità materiale non potrebbe giovare alla ricorrente, stante la conferma de11a pronuncia del giudice che, dando per esistente tale nesso causale, ha rigettato la domanda per l'esistenza del fortuito costituito dal comportamento della danneggiata che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile che le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.p.r. n. 1.15 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 3.