Delibera approvata, assistenza alla minore disabile: illegittima la pubblicazione sul periodico del Comune

Accolte le richieste dei genitori ‘via libera’ al risarcimento a loro favore, e a favore della minore, per i danni subiti a seguito della diffusione dei dati della figlia. A pagare sarà il direttore editoriale dell’organo di informazione dell’ente pubblico.

Delibera ufficializzata dalla giunta comunale passaggi successivi sono l’affissione all’Albo pretorio, e la pubblicazione sulle pagine del periodico che è organo di informazione del Comune. Tutto regolare, quindi, ma vi è un particolare non irrilevante la delibera riguarda l’assistenza riconosciuta a una minore – identificata con i relativi dati personali – diversamente abile. Evidente la violazione della privacy, addebitata al direttore editoriale del Comune. Consequenziale il riconoscimento del risarcimento dei danni a favore della minore e dei suoi genitori Cassazione, sentenza n. 24986, sez. III Civile, depositata oggi . Organo del Comune. A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria sono proprio i genitori della minore, i quali espongono che sul periodico del Comune era stata pubblicata la notizia della delibera comunale di assistenza alla figlia diversamente abile , destinataria, poi, della morbosa continua e insistente curiosità delle persone . Per i due genitori è evidente la illiceità del trattamento dei dati personali, difettando l’essenzialità dell’informazione e l’interesse pubblico dei fatti riportati . E tale opinione è condivisa anche dai giudici del Tribunale, i quali condannano il direttore editoriale dell’organo di informazione del Comune al risarcimento dei danni in favore dei genitori – 1.500 euro ciascuno – e in favore della ragazza – 1.000 euro –. Dati sensibili. Ad avviso del giornalista, però, vi è un particolare non secondario la condizione di handicap della minore è un comportamento percepibile da chiunque possa incontrarla personalmente. In sostanza, secondo l’uomo, è evidente che il mostrarsi in pubblico rappresenta una condotta che rende volontariamente palese la condizione di handicap della ragazza. Ma tale tesi viene valutata come risibile dai giudici della Cassazione, i quali ritengono, difatti, acclarata la violazione della privacy concretizzatasi nella pubblicazione della delibera comunale . Ciò perché, spiegano i giudici, la percepibilità ictu oculi , da parte dei terzi, della condizione di handicap di una persona non può considerarsi circostanza o fatto reso noto direttamente dalla persona coinvolta. Di conseguenza, non è affatto possibile porre in discussione la violazione compiuta, in questo caso, con la pubblicazione della delibera , resa ancora più grave dal fatto che sono stati divulgati gli elementi di identificazione e i dati sensibili attinenti alla salute della ragazza, senza che essi, così come pubblicati – e, in particolare, con l’indicazione del nome e del cognome – fossero di interesse pubblico ed essenziali alla informazione . Tutto ciò conduce alla conferma del risarcimento dei danni come deciso dai giudici del Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 settembre – 25 novembre 2014, n. 24986 Presidente Russo - Relatore Scrima Svolgimento del processo Con ricorso ex art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, depositato nel dicembre del 2004, P.B. e V.R., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore P.M., chiedevano al Tribunale di Paola la condanna del periodico Il Municipale e del direttore editoriale del Comune di Cetraro al risarcimento dei danni subiti ai sensi degli artt. 11 e 15 del codice della privacy. Esponevano gli attori che in data 30 gennaio del 2004, sul periodico già indicato, era stata pubblicata la notizia della delibera comunale di assistenza alla predetta minore perché diversamente abile e, conseguentemente, si era verificata una continua e insistente curiosità delle persone. Lamentavano, quindi, l’illiceità del trattamento giornalistico dei dati personali, difettando l’essenzialità dell’informazione e l’interesse pubblico dei fatti riportati. Si costituiva il direttore responsabile del periodico, D.G., eccependo il difetto di personalità giuridica del giornale convenuto e sostenendo l’infondatezza della domanda, trattandosi di pubblicazione - da parte di un organo di informazione dell’amministrazione comunale - di una delibera che, per legge, era affissa all’albo pretorio e negando, pertanto, l’esistenza del nesso di causalità tra la diffusione e le lamentate conseguenze. Si costituiva il direttore editoriale de Il Municipale, G.P,, che eccepiva l’incompetenza territoriale del Tribunale adito, il difetto di legittimazione attiva dei coniugi P. in proprio, venendo in rilievo il trattamento dei dati della figlia M., e la carenza della propria legittimazione passiva, essendo egli mero direttore editoriale e non direttore responsabile deduceva l’infondatezza della domanda rappresentando che era stata indicata la sola condizione di diversa abilità di M. e non la sua condizione di salute, peraltro visibile, e che la pubblicazione della delibera dell’organo del Comune, di cui il giornale era strumento di informazione, era caratterizzata dall’essenzialità e dalla sussistenza di un correlativo interesse pubblico sosteneva, infine, l’eccessività dei danni lamentati. Il Tribunale di Paola, con sentenza del 17 aprile 2007, riteneva competente il giudice adito, affermava la sussistenza della legittimazione attiva dei coniugi P. in proprio, dichiarava la nullità della domanda proposta dagli attori, in proprio e nella qualità, nei confronti de Il Municipale per inesistenza del convenuto, non essendo Il Municipale persona giuridica né soggetto di diritto condannava G.P. al risarcimento dei danni, liquidati in euro 1.500,00, in favore di ciascuno dei genitori, e in euro 1.000,00, in favore di P.M., oltre interessi, nonché alle spese di lite nei confronti dei ricorrenti. Avverso tale decisione G.P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Hanno resistito con controricorso P.B. e V.R., in proprio e nella qualità. Non si sono costituiti D.G. e il Garante per protezione dei dati personali. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Va rigettata l’eccezione di intempestività della ricorso sollevata dal controricorrente, risultando applicabile nella specie la sospensione feriale dei termini, in difetto di espressa previsione in senso contrario, e dovendo farsi riferimento, ai fini della verifica della tempestività del ricorso, alla data di presentazione dello stesso per la notifica all’Ufficiale giudiziario, nella specie avvenuta il 28 maggio 2008 e, quindi, nel rispetto del termine di cui all’art. 327 c.p.c., essendo stata la sentenza impugnata, non notificata, pubblicata in data 17 aprile 2007. 2. Va precisato che, contrariamente a quanto sembrano ritenere i controricorrenti v. controricorso p. 6 , il G. non ha in questa sede censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la competenza territoriale del Giudice adito. 3. Con il primo motivo si lamenta omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla circostanza che fosse proprio il G. ad occuparsi delle scelte di pubblicazione e ad avere l’obbligo di vigilare su quanto inserito nel periodico. Sostiene il ricorrente che la motivazione sul punto sarebbe meramente apparente e comunque insufficiente e contraddittoria. 4. Con il secondo motivo, rubricato violazione / falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.”, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ricollegherebbe la sua responsabilità alla qualifica di direttore editoriale, in tal modo implicitamente ritenendo che gli attori avessero assolto l’onere probatorio su di essi incombente al riguardo con la semplice allegazione di detta qualità e con la produzione del numero del periodico da cui risultava che egli rivestiva tale ruolo. 4. I due motivi, che ben possono essere trattati unitariamente, essendo strettamente connessi, sono infondati. Ed invero, la motivazione del Tribunale, pur se sintetica, risulta esaustiva e priva di vizi logici e giuridici e si fonda su un accertamento in fatto, non ripetibile in questa sede. 5. Con il terzo motivo si deduce violazione / falsa applicazione dell’art. 137 D.Lgs. n. 196 del 2003” nonché motivazione illogica e insufficiente. Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia escluso nel caso di specie l’applicabilità della scriminante di cui all’art. 137 da ultimo citato affermando che non è pertinente al caso di specie in quanto la condizione di handicap non è un comportamento palesato volontariamente al pubblico dall’interessato, quanto solo percepibile da chi incontra M.”. Ad avviso del ricorrente, il terzo comma dell’art. 137 in parola si riferirebbe non ai soli dati che gli interessati palesino con l’intenzione specifica di renderli noti ma anche a quei fatti o a quei comportamenti in pubblico posti coscientemente in essere dagli interessati pur senza il fine precipuo di renderli noti, ma accettando comunque che gli stessi siano percepiti dai terzi. Assume altresì il G. che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe viziata da errore logico in relazione al fatto controverso e decisivo che il mostrarsi in pubblico non sia un comportamento che renda volontariamente palese la condizione di handicap della minore in questione e sostiene che l’illogicità e contraddittorietà della motivazione sarebbe evidente sol che si ponga attenzione all’assurdità del sillogismo per il quale un comportamento non sarebbe palesato volontariamente ove percepibile da chi incontra l’interessato”. 5.1. Il motivo è infondato. Correttamente il Tribunale, con motivazione congrua e immune da vizi logici, ha ritenuto di non applicare alla fattispecie all’esame il terzo comma del D.Lgs. 196/2003, secondo cui possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati attraverso loro comportamenti in pubblico”. La percepibilità lctu ocuh, da parte dei terzi, della condizione di handicap di un persona non può, infatti, considerarsi circostanza o fatto reso noto direttamente dall’interessato o attraverso un comportamento di questi in pubblico e, conseguentemente, non è applicabile in siffatta ipotesi la richiama norma. E ciò vale a maggior ragione nel caso all’esame, in cui risulta violata la riservatezza di una minore della quale sono stati divulgati gli elementi di identificazione e i dati sensibili attinenti alla sua salute, senza che essi, così come pubblicati - e in particolare con l’indicazione del nome e cognome della minore -, fossero peraltro di interesse pubblico ed essenziali alla informazione. A tanto deve aggiungersi che, come già questa Corte ha avuto modo di affermare, sia la legge n. 675 del 1996, sia il D.Lgs. n. 196 del 2003 cosiddetto codice della privacy” , hanno ad oggetto della tutela anche i dati già pubblici o pubblicati, poiché colui che compie operazioni di trattamento di tali informazioni, dal loro accostamento, comparazione, esame, analisi, congiunzione, rapporto od incrocio, può ricavare ulteriori informazioni e, quindi, un valore aggiunto informativo”, non estraibile dai dati isolatamente considerati, potenzialmente lesivo della dignità dell’interessato ai sensi degli artt. 3, primo comma, prima parte, e 2 della Costituzione , valore sommo a cui è ispirata la legislazione sul trattamento dei dati personali Cass., 25 giugno 2004, n. 11864 . è stato perfino affermato che la circostanza che i dati personali siano stati resi noti alla stampa direttamente dagli interessati in una pregressa occasione non ha valore di consenso tacito al trattamento anche in contesti diversi dalla loro originaria pubblicazione, poiché l’interessato può essere contrario a che l’informazione da lui già resa nota riceva una ulteriore e più ampia diffusione, dovendosi ritenere che la deroga prevista dall’art. 137, ultimo comma, del d.lgs. 30 giugno 2006, n. 196 concerna solo l’essenzialità del dato trattato e non anche l’interesse pubblico alla sua diffusione, di cui va apprezzata autonomamente l’idoneità, in ispecie rispetto al diritto del minore alla riservatezza e al diritto alla non divulgabilità del proprio domicilio. Nell’enunciare il principio, la S.C. ha ritenuto irrilevante che le sembianze ed i dati della figlia minore fossero stati già diffusi in precedenza direttamente dagli interessati, così come si è ritenuta non divulgabile la foto della palazzina di residenza, trattandosi di una piccola località, che consentiva una facile ricostruzione dell’indirizzo della privata dimora Cass. 6 dicembre 2013, n. 27381 . 6. Il ricorso, deve, quindi, essere rigettato. 7. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2014.