Equa riparazione: il provvedimento cautelare non ferma le lancette dell’orologio

Il provvedimento cautelare, anche se anticipa tutti gli effetti della sentenza richiesta, è un atto precario e rivedibile, per cui non limita il diritto della parte attrice ad ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24925, depositata il 24 novembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Messina rigettava il ricorso per equa riparazione proposto da un attore per l’eccessiva durata di un giudizio amministrativo in materia di pubblico impiego. Secondo i giudici, il ricorrente aveva rapidamente ottenuto dal giudice amministrativo la sospensione in via cautelare del provvedimento impugnato, perciò non ci sarebbe stato alcun pregiudizio concreto dalla protrazione del processo, in quanto il ricorrente aveva subito ottenuto un provvedimento che aveva reso inefficace quello impugnato. L’attore ricorreva in Cassazione, contestando l’esclusione del danno non patrimoniale da irragionevole durata i giudici erroneamente avrebbero ricavato dalla sospensione in via cautelare del provvedimento impugnato la prova della mancanza di un danno, essendo cessato l’interesse alla pronta definizione della controversia amministrativa. Provvedimento provvisorio. La Corte di Cassazione ricorda che il provvedimento cautelare, anche se anticipa tutti gli effetti della sentenza richiesta, è un atto precario e rivedibile, per cui non limita il diritto della parte attrice ad ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia. Allo stesso modo, non esclude il dovere dello Stato di assicurare la conclusione della causa nel rispetto del termine. Disagio ridotto, ma presente. Questo provvedimento può incidere, infatti, sulla consistenza delle conseguenze negative del ritardo, specialmente quando la protezione provvisoria delle posizioni dell’istante sia pari a quella reclamata mediante la domanda e poi accordata in via definitiva con la decisione. Tuttavia, anche in questo caso, non osta alla configurabilità di un pregiudizio morale, anche ridotto difatti, la precarietà della protezione non elimina l’incertezza, ma diminuisce solo l’intensità della sofferenza per l’attesa della definizione della lite, nella speranza che la sentenza sia conforme al provvedimento cautelare già adottato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rinvia la decisione alla Corte d’appello di Messina.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 10 luglio – 24 novembre 2014, n. 24925 Presidente Petitti – Relatore Falaschi Svolgimento del processo La Corte d'appello di Messina, con decreto in data 27 novembre 2012, ha rigettato il ricorso - depositato il 27.7.2010 - per equa riparazione proposto, ai sensi della 1. 24 marzo 2001, n. 89, da G.C. per l'eccessiva durata di un giudizio amministrativo in materia di pubblico impiego pendente dinanzi al TAR Catania da circa quindici anni, rilevando che nella specie il ricorrente aveva rapidamente ottenuto dal giudice amministrativo la sospensione, in via cautelare, del provvedimento impugnato, sicché nessun pregiudizio lo stesso aveva ricevuto dalla protrazione del processo, avendo subito ottenuto un provvedimento che aveva reso inefficace quello impugnato. Per la cassazione del decreto della Corte di Messina agisce il C. sulla base di tre motivi. L'intimato Ministero ha resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa. Motivi della decisione Il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione in forma semplificata. Con i primi due motivi violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4, art. 6, par. 1, artt. 13 e 41 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione il ricorrente si duole che il decreto impugnato abbia escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale da irragionevole durata, avendo desunto dalla intervenuta sospensione, in via cautelare, del provvedimento impugnato la prova della mancanza di un danno per essere cessato un interesse alla pronta definizione della controversia amministrativa. La complessiva censura è fondata. Come già affermato da questa Corte Cass. 30 aprile 2013 n. 10226 , il provvedimento cautelare, ancorché anticipi tutti gli effetti della sentenza richiesta al giudice, è atto precario e rivedibile, di modo che non tocca il diritto della parte attrice di ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia, nè correlativamente esclude il dovere dello Stato, in linea con gli impegni assunti in sede internazionale e recepiti nell'ordinamento interno, di assicurare la conclusione della causa nel rispetto di quel termine. Detto provvedimento può incidere sul diverso versante della consistenza delle conseguenze negative del ritardo, specie quando la protezione provvisoria delle posizioni dell'istante sia pari a quella reclamata con la domanda e poi accordata in via definitiva con la decisione, ma, anche in tale ipotesi, non osta alla configurabilità di un pregiudizio morale, pure se di entità ridotta, dato che la precarietà di quella protezione non elimina l'incertezza e la connessa sofferenza per l'attesa della definizione della lite, potendo solo diminuirne l'intensità, in relazione all'aspettativa del conformarsi dell'emananda sentenza alle determinazione di tipo interinale già adottate dal giudice in tal senso v. anche Cass. 5 dicembre 2012 n. 21905 . Da questo principio la Corte d'appello si è discostata, per cui il provvedimento impugnato va cassato. Il terzo motivo - con il quale vengono indicati parametri per la determinazione dell'indennizzo, non esaminati dalla corte di merito - rimane superato dall'accoglimento delle prime due censure. Conclusivamente il ricorso va accolto e il decreto impugnato cassato, con rinvio alla Corte di appello di Messina in diversa composizione, che nel riesaminare la controversia si atterrà ai principi sopra esposti. Ai sensi dell'art. 385, comma 3, c.p.c., rimette al giudice del rinvio anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.