Presunzione di responsabilità del custode, ma l’attore non può starsene con le mani in mano

Per l’applicazione della presunzione di responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è necessaria la prova da parte del danneggiato del rapporto di causalità tra il bene in custodia e l’evento dannoso.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24845, depositata il 21 novembre 2014. Il caso. Una donna chiedeva il risarcimento dei danni per i danni riportati a seguito della caduta con il motorino, causata dalla presenza di una buca piena d’acqua sulla strada. Conveniva in giudizio l’Amministrazione provinciale, che a sua volta chiamava in causa la ditta che stava effettuando dei lavori stradali. La Corte d’appello di Firenze rigettava la domanda, ritenendo che mancasse la prova del nesso causale tra la caduta e la buca nel manto stradale, e poneva a carico dell’attrice le spese del giudizio di appello dell’Amministrazione e della ditta. La donna ricorreva in Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 2051 c.c. danno cagionato da cose in custodia secondo la ricorrente, per applicare tale norma era necessaria solo la contestualità temporale e spaziale tra la presenza della buca e la caduta del danneggiato, non risultando necessario provare questa circostanza mediante una fonte di prova diretta. Responsabilità del custode e onere della prova. La Corte di Cassazione ricorda che per l’applicazione della presunzione di responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è necessaria la prova da parte del danneggiato del rapporto di causalità tra il bene in custodia e l’evento dannoso. La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo, in quanto è sufficiente per la sua configurazione la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, essendo irrilevante la condotta del custode. La norma, infatti, sancisce la responsabilità di chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa. Perciò, chi chiede il riconoscimento del danno deve provare l’esistenza del nesso eziologico tra cosa ed evento lesivo, mentre il custode convenuto, per non essere ritenuto responsabile, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera oggettiva e idoneo ad interrompere il nesso causale. Nel caso di specie, l’attrice non aveva provato che la caduta dal motorino fosse dipesa dalla presenza di una buca nel manto stradale. Di conseguenza questo motivo di ricorso viene rigettato dalla Cassazione. Spese del terzo chiamato in causa. Inoltre, la ricorrente lamenta l’addebito delle spese del giudizio di appello anche della terza chiamata in causa, cioè la ditta. Tuttavia, gli Ermellini sottolineano che il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dallo stesso attore, che si siano poi rivelate infondate. È irrilevante che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda. Invece, il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo se l’iniziativa si rivela palesemente arbitraria. Nel caso di specie, però, la chiamata in causa della ditta che stava svolgendo dei lavori sulla strada in cui si era svolto l’incidente non poteva definirsi arbitraria. Perciò, anche questo motivo di ricorso viene rigettato dalla Corte di Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 settembre – 21 novembre 2014, n. 24845 Presidente Berruti – Relatore Armano Svolgimento del processo La Corte di appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda proposta da S.L. nei confronti dell'Amministrazione Provinciale di Pisa, che a sua volta ha chiamato in causa la Camuzzi Geometri, ora Enel Rete Gas, ditta che stava effettuando dei lavori stradali, per i danni riportati a seguito della caduta con il suo motorino per la presenza di una buca piena di acqua sulla sede stradale. La Corte di merito ha confermato il rigetto della domanda sul rilievo della mancanza di prova che la caduta del motorino fosse avvenuta a causa della presenza di una buca nel manto stradale. Ha posto le spese del giudizio di appello dell'Amministrazione Provinciale di Pisa e dell'Enel a carico della ricorrente. Avverso detta decisione propone ricorso la Sollazzi con tre motivi. Non presentano difese gli intimati. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si denunzia la nullità del procedimento per la mancata ammissione del teste G.A. ex. art. 360 n. 4 c.p.c. Sostiene la ricorrente che la Corte di appello ha negato, senza un'adeguata motivazione, l'ammissione della deposizione del teste G.A. , che in base all'articolo 345 c.p.c. avrebbe dovuto ammettere in quanto la deposizione era indispensabile. 2. Il motivo è infondato. La Corte di appello ha ritenuto non ammissibile la testimonianza del teste G. introdotto dalla Sollazzi solo in grado di appello,tenendo conto delle circostanze poste a fondamento della richiesta,vale a dire che la S. solo dopo vent'anni era venuta a conoscenza della presenza di tale teste sul luogo dell'incidente, e del contenuto del capitolo di prova. La Corte ha evidenziato che il nuovo teste avrebbe dovuto deporre su circostanze del fatto diverse ed opposte a quelle su cui aveva già deposto un teste indicato dalla Sollazzi regolarmente ammesso ed ascoltato in primo grado. Tale contraddizione sull'articolazione della prova,insieme alle circostanze giustificative della richiesta che avveniva ad oltre vent'anni dal fatto, rendeva inammissibile la prova. 3. La Corte di merito non si è pronunziata sulla indispensabilità della prova richiesta, ma sulla sua ammissibilità. La motivazione non è stata censurata dal ricorrente, il quale incentra il suo motivo di ricorso sulla indispensabilità del mezzo di prova. 4. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell'articolo 2051 c.c Sostiene il ricorrente che per applicarsi l'articolo 2051 c.c. era necessaria solo la contestualità temporale e spaziale tra la presenza della buca e la caduta del danneggiato, non risultando necessario provare detta circostanza tramite una fonte di prova diretta. 5. Il motivo è infondato. Secondo costante giurisprudenza di legittimità per l'applicazione della presunzione di responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è necessario che venga fornita la prova da parte del danneggiato del rapporto di causalità fra il bene in custodia e l'evento dannoso. Infatti la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa Cass. Sentenza n. 11016 del 19/05/2011. L'attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. Cass. Sentenza n. 4279 del 19/02/2008. 6. Nella specie i giudici di merito, facendo corretta applicazione dell'articolo 2051 c.c. secondo l'interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità, hanno ritenuto che l'attrice non aveva fornito la prova che la caduta dal motorino fosse dipesa dalla presenza di una buca nel manto stradale, rimanendo a suo carico la necessità di dimostrare la storicità del fatto per determinare l'inversione dell'onere della prova a carico del custode 7. Con il terzo motivo si denunzia violazione del principio della soccombenza ex art. 96 c.p.c La ricorrente lamenta che erroneamente le sono state addebitate le spese del giudizio di appello della terza chiamata in causa Enel Gas s.p.a 8. Il Motivo è infondato. Attesa la lata accezione con cui il termine soccombenza è assunto nell'art. 91 cod. proc. civ., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria. Cass., Sentenza n. 7431 del 14/05/2012. Allorché il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria - e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria - legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell'attore, pone a carico di quest'ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorché nella seconda fase del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall'altro, l'onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza - mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l'attore ed il terzo - bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo. Cass., Sentenza n. 5027 del 26/02/2008. 9. Non avendo il carattere dell'arbitrarietà la chiamata in causa da parte dell'Amministrazione Provinciale della ditta che stava effettuando dei lavori sulla strada teatro dell'incidente, il regolamento delle spese del giudizio di appello è stato effettuato nel rispetto dell'articolo 91 c.p.c Nulla per le spese del presente giudizio stante l'assenza degli intimati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.