Macchina restituita alla persona sbagliata: il garage apre il portafoglio

In caso di furto della cosa depositata, il depositario non è esente da responsabilità se si limita a dimostrare di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prevista dall’art. 1768 c.c., ma deve altresì provare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22807, depositata il 28 ottobre 2014. Il caso. Veniva proposta una domanda di risarcimento danni nei confronti di una società che gestiva un parcheggio, in seguito al furto di una macchina, concessa in leasing all’attore, che aveva consegnato le chiavi al dipendente del garage, ricevendo l’apposito scontrino per la riconsegna. L’assicurazione aveva indennizzato la società concedente con una somma, una parte della quale era stata versata direttamente dall’attore. La società convenuta chiamava in causa la compagnia assicurativa con cui aveva stipulato una polizza per esserne manlevata. La Corte d’appello accoglieva la domanda dell’attore e rigettava la richiesta di manleva della convenuta. La società convenuta ricorreva in Cassazione, contestando la ritenuta mancanza di prova di aver usato la diligenza richiesta per la sua attività e comunque quella del buon padre di famiglia, riguardo alla mancata verifica circa l’autenticità del tagliando esibito dal ladro che si era presentato a ritirare l’auto ed al mancato accertamento della sua autorizzazione al ritiro. La contraffazione, a suo giudizio, avrebbe ingannato chiunque. Responsabilità del depositario. La Corte di Cassazione ricorda che, in caso di furto della cosa depositata, il depositario non è esente da responsabilità se si limita a dimostrare di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prevista dall’art. 1768 c.c., ma deve altresì provare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile. Correttamente, quindi, i giudici di merito avevano rilevato che era onere della ricorrente verificare l’autenticità del tagliando esibito tale circostanza evidenziava la mancanza di una prova idonea dell’insuperabilità dell’errore in cui era caduto l’addetto del garage nel momento in cui non aveva rilevato la non autenticità del contrassegno. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 25 settembre – 28 ottobre 2014, n. 22807 Presidente Amatucci – Relatore Sestini Svolgimento del processo F.A. convenne in giudizio la società Sempione Gestione Autorimesse s.r.l. per sentirla condannare al risarcimento del danno subito il 16.5.1992 a seguito della sottrazione, da parte di terzi, dell'autovettura Mercedenz Benz che aveva parcheggiato presso il garage gestito dalla convenuta, consegnando le chiavi al dipendente del garage e ricevendone l'apposito scontrino per la riconsegna precisò che l'auto gli era stata concessa in leasing dalla Daimler Chrysler Services Leasing, la quale era assicurata contro il furto presso la Zurigo Assicurazioni s.p.a., e che quest'ultima aveva indennizzato la società concedente con un importo di oltre 116.000 Euro, una quota del quale Euro 22.909,83 era stata versata direttamente all'attore ciò premesso, quantificò il residuo danno in complessivi Euro 43.176,46. La convenuta resistette alla domanda e chiamò in causa l'INA Assitalia Le Assicurazioni d'Italia s.p.a. per esserne manlevata. La terza chiamata eccepì l'inoperatività della garanzia assicurativa sotto plurimi profili e, in subordine, la prescrizione di ogni diritto. Il Tribunale di Milano accolse la domanda dell'attore, mentre rigettò la richiesta di manleva avanzata dalla convenuta. La Corte di Appello di Milano ha rigettato l'appello proposto dalla Sempione Gestione Autorimesse, la quale ricorre ora per cassazione affidandosi a tre articolati motivi, cui resiste l'INA Assitalia s.p.a. a mezzo di controricorso il F. non svolge attività difensiva. Motivi della decisione 1. Col primo motivo, la ricorrente censura la sentenza in relazione all'affermazione della responsabilità della depositarla. Più precisamente, deduce violazione artt. 115 e 167 comma 1 cpc omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 cpc in relazione all'affermazione della Corte territoriale secondo cui la società Sempione non aveva provato le modalità di sottrazione dell'autovettura, nonché violazione dell'art. 1780 cc in relazione alla ritenuta mancanza di prova che la depositarla avesse usato la diligenza richiesta per la sua attività e comunque quella del buon padre di famiglia in riferimento a tale ultimo profilo ossia alla ritenuta omessa verifica circa l'autenticità del tagliando esibito del terzo che si era presentato a ritirare l'auto e al mancato accertamento che il possessore del tagliando fosse autorizzato al ritiro , deduce, conclusivamente, anche ogni possibile vizio motivazionale ovvero violazione dell'art. 112 cpc . 1.1. In punto di responsabilità della depositarla, la Corte di Appello ha osservato che al contratto atipico di posteggio si applicano le norme relative al deposito sicché il depositario assume contrattualmente nei confronti del depositante l'obbligo della restituzione della cosa nello stato in cui è stata consegnata e il conseguente obbligo, in caso di sottrazione, di risarcimento del danno, salvo che fornisca la prova, sul medesimo incombente, della imprevedibilità ed inevitabilità della perdita della cosa nonostante l'uso della diligenza richiesta per la sua attività e comunque quella del buon padre di famiglia dunque la colpa del depositario si presume e detta presunzione può essere superata solo se costui prova che l'inadempimento sia derivato da fatto a lui non imputabile ciò premesso e dato atto che il tagliando originale era rimasto in possesso del F. ed era stato sequestrato al momento in cui questi aveva sporto denuncia ai Carabinieri , ha rilevato che l'appellante non aveva provato che colui che aveva ritirato l'auto avesse esibito un tagliando contraffatto e, comunque, che l'addetto alla riconsegna avesse diligentemente verificato l'autenticità del predetto tagliando o avesse accertato che il possessore era autorizzato al ritiro. 1.2. La ricorrente osserva che la circostanza della sottrazione ad opera di un terzo costituiva fatto non contestato, che la stessa Corte di Appello aveva autorizzato l'acquisizione agli atti della contromarca di deposito falsificata e che la Sempione aveva evidenziato come la contraffazione fosse tale da ingannare chiunque aggiunge che neppure poteva ragionevolmente pretendersi che venisse richiesto al possessore della contromarca di dimostrare di essere autorizzato al ritiro, in quanto la funzione della contromarca è proprio quella di legittimare il semplice possessore all'esercizio del diritto . 1.3. Premesso che, in caso di furto della cosa depositata, il depositario non è esente da responsabilità ove si limiti a dimostrare di avere usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'art. 1768 cod. civ., ma deve provare a mente dell'art. 1218 cod. civ. che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile Cass. n. 26353/2013 e considerato, altresì, che il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto, come tale insuscettibile di esame in sede di legittimità, se debitamente motivato Cass. n. 5736/2009 , deve ritenersi che il motivo sia nel complesso infondato. Deve, infatti, considerarsi che la Corte ha rilevato che comunque sarebbe stato onere del depositario diligente verificare l'autenticità del tagliando esibitogli e che tale affermazione costituente il fulcro della motivazione evidenzia come sia mancata una prova idonea della insuperabilità dell'errore in cui cadde l'addetto del garage nel momento in cui non rilevò la non autenticità del contrassegno prova che, ovviamente, non poteva desumersi dalla mera allegazione della parte interessata circa l'idoneità della contraffazione ad ingannare chiunque la conclusione della Corte di merito corretta in iure non risulta quindi censurabile neppure sotto il profilo del vizio di motivazione men che meno sotto quello dell'error in procedendo in quanto non è emerso che sul punto della rilevabilità della contraffazione siano stati trascurati elementi decisivi che avrebbero potuto condurre ad un opposto apprezzamento. 2. Il secondo motivo violazione degli artt. 2056 comma 1 e 1223 cc nonché omessa od insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio censura la sentenza per avere incluso nell'indennizzo riconosciuto al F. tutti i costi del leasing dallo stesso sopportati Euro 53.627,53 per maxirata e cauzione + 4.924,52 per n. 2 canoni mensili , evidenziando che il giudice di merito avrebbe dovuto motivare in ordine a tali somme chieste in indennizzo dal F. , somme contestate da Sempione Autorimesse ed ammesse sic et simpliciter a rimborso . 2.1. Esclusa la ricorrenza di vizi di impostazione giuridica giacché correttamente la Corte ha osservato come il risarcimento richiesto non concernesse il valore della vettura, ma unicamente il rimborso delle spese sostenute al fine del godimento, costituenti danno causalmente riconducibile alla sottrazione della vettura di cui il F. aveva comunque la disponibilità , la censura risulta inammissibile nella parte in cui contesta la spettanza di singole poste risarcitorie e prospetta ragioni che potrebbero astrattamente comportare una riduzione del quantum, ma non fornisce -incorrendo in un evidente difetto di autosufficienza elementi specifici e concreti idonei a consentire a questa Corte di apprezzare l'effettiva esistenza di eventuali vizi motivazionali. 3. Col terzo motivo violazione dell'art. 1362 comma 1 cc , falsa applicazione dell'art. 1891 cc e omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio , la ricorrente censura la sentenza laddove ha rigettato la domanda di manleva per il fatto che, vertendosi in un'ipotesi di assicurazione per conto di chi spetta, la società Sempione non aveva titolo per agire in forza della polizza assicurativa nel proprio interesse, bensì solo in vista dell'indennizzo a favore del depositante . 3.1. A fronte dell'affermazione della Corte territoriale secondo cui il tenore testuale della clausola n. 14 del contratto di assicurazione riportata integralmente nel corpo della motivazione non lascia dubbi sulla natura dell'assicurazione nel senso previsto dall'art. 1891 c.c , la ricorrente si è limitata a riportare ampi stralci di Cass. n. 5100/1999 e a concludere che proprio il tenore letterale della clausola, nella parte in cui riservava esclusivamente al contraente la possibilità di far valere il contratto, escludeva l'ipotesi di assicurazione per conto di chi spetti in cui legittimato a far valere il contratto è invece il terzo . 3.2. Rilevato che -per quanto emerge dallo stesso precedente richiamato dalla ricorrente- costituisce accertamento della comune volontà contrattuale delle parti stabilire se nella singola fattispecie ricorra l'assicurazione stipulata nel proprio interesse o per conto altrui e che tale accertamento costituisce apprezzamento del giudice di merito incensurabile in sede di legittimità se sia sorretto da motivazione congrua, coerente e completa cfr. Cass. n. 1942/2003 e Cass. n. 13058/2007 , deve escludersi che ricorra la lamentata violazione dell'art. 1891 c.c. in quanto la sentenza impugnata non ha ricostruito l'istituto in modo difforme dalla previsione normativa, ma ha solo interpretato la volontà delle parti nel senso che abbiano voluto un'assicurazione per conto di chi spetta e ricondotta la questione nell'ambito dell'interpretazione della volontà deve parimenti escludersi che ricorrano violazioni di criteri ermeneutici o violazioni di natura motivazionale. 3.3. Più specificamente, deve osservarsi quanto ai canoni ermeneutici che la ricorrente si è limitata a sottolineare a sostegno della propria tesi il tenore letterale della clausola laddove riserva esclusivamente al contraente la possibilità di esercitare le azioni, le ragioni e i diritti nascenti dal contratto , ma non ha illustrato le ragioni che determinerebbero l'erroneità dell'applicazione del medesimo criterio compiuta -con esito opposto dal giudice di appello che ha fatto perno sull'espressione la presente polizza è stipulata dal contraente in nome proprio e nell'interesse di chi spetta e sulla previsione che l'indennizzo non possa essere pagato se non nei confronti dell'assicurato ne consegue che non risulta prospettata un'effettiva violazione del criterio ermeneutico richiamato, quanto piuttosto un'erronea interpretazione della volontà contrattuale. Rispetto a questo secondo profilo, deve tuttavia rilevarsi che tale accertamento di fatto, in quanto riservato al giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità per il solo fatto che le ragioni poste a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì quando siano insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica Cass. n. 5100/1999 , ipotesi non ricorrente nel caso di specie, in cui, con motivazione coerente ed esente da vizi logici o giuridici, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione che le parti vollero concludere un contratto di assicurazione per conto chi spetta. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all'Ina Assitalia s.p.a. le spese di lite, liquidate in Euro 2.900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi , oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.