Risarcimento del danno subito dal socio: solo quando è conseguenza diretta della condotta degli amministratori

L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

La Cassazione, con la sentenza n. 22573 del 23 ottobre 2014, conferma il proprio orientamento – ormai quarantennale – in forza del quale l’azione individuale ex art. 2395 c.c. è esperibile dal socio solo qualora il danno dal medesimo lamentato sia diretta ed immediata conseguenza della condotta degli amministratori, escludendosi, per contro, la possibilità di un ristoro economico nel caso in cui il danno lamentato sia il riflesso del pregiudizio subito dal patrimonio della società. Il caso. Il socio di una società promuove un’azione individuale di risarcimento del danno ex art. 2395 c.c. nei confronti degli amministratori, lamentando il danno subito da alcune operazioni realizzate in conflitto di interesse dagli amministratori stessi, che avrebbero arrecato notevole danno sia alla società che al proprio patrimonio del socio. Nei gradi di merito, tale domanda viene rigettata in quanto il danno lamentato dal socio costituiva il mero riflesso del danno arrecato dagli amministratori alla società, mentre il presupposto dell’azione ex art. 2395 c.c. è, per contro, proprio che il danno subito dal socio sia diretta conseguenza della condotta degli amministratori. Azione individuale del socio non ammissibile per il danno indiretto. L’art. 2395 c.c. esige, come si evince dalla massima, ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che il pregiudizio subìto dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma gli derivi direttamente come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori pertanto, a titolo di esempio, né l’inattività dell’assemblea, né la perdita del capitale sociale e né l’inadempimento contrattuale posto in essere dall’amministratore integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione, ed, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell’amministratore soltanto quando derivi da un illecito colposo o doloso dell’organo nell’inadempimento del mutuo Quando il danno del socio è risarcibile? Qualora una società di capitali subisca, per effetto dell’illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito. Inadempimento contrattuale e danno del socio. L’inadempimento contrattuale di una società non comporta automaticamente una responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci, essendo a tal fine necessario un nesso di causalità fra il comportamento illecito degli amministratori e il nocumento subìto dai soci tale da incidere direttamente sul patrimonio di questi. Azione individuale del socio e società di persone. Anche nell’ambito delle società personali trova applicazione il principio per il quale l’azione individuale del socio - analogamente a quanto previsto dall’art. 2395 c.c. - può essere esperita soltanto nel caso in cui lo stesso sia stato direttamente” danneggiato da atti dolosi o colposi degli amministratori. Azione ex art. 2395 c.c. è legittimato il curatore? In considerazione della regola generale dell’art. 81 c.p.c., deve ritenersi che solo ciascun creditore individualmente possa agire, ex art. 2043 c.c. ovvero art. 2395 c.c., contro l’amministratore che abbia cagionato un danno diretto alla propria ragione di credito per tale ragione, il curatore non è legittimato ad agire in giudizio per il ristoro del danno, subìto direttamente e individualmente dal singolo creditore, che residui al momento dell’esecuzione dell’ultimo riparto anche all’esito, quindi, dell’esperimento infruttuoso o insufficiente delle azioni di responsabilità . Azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. e termine di prescrizione. L’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. per fatto illecito degli amministratori e quella contro i sindaci ex art. 2407, 2º comma, c.c. responsabili in solido con gli amministratori per i fatti e le omissioni di costoro che hanno causato un danno, evitabile se avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica, è soggetta all’ordinaria prescrizione quinquennale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 settembre – 23 ottobre 2014, n. 22573 Presidente Ceccherini – Relatore Didone Svolgimento del processo 1.- S.M. , premesso di essere socio al 50% della Gi.Esse.Ti. s.r.l. in liquidazione, che in base a delibera del 26.5.2000 la società aveva sottoscritto dei contratti preliminari di vendita di vari appezzamenti di terreno obbligandosi, in qualità di promissaria acquirente, a stipulare i rogiti notarili entro il 31.12.2000, che in conseguenza di tali atti era sorto un vasto contenzioso con gli altri due soci, G.E. e T.F. , componenti con lui il consiglio d'amministrazione della società il G. essendone presidente , i quali avevano agito in conflitto d'interessi con la società, violando l'art. 2631 c.c. che, infatti, non essendosi provveduto, per fatto imputabile ai predetti G. e T. , a stipulare gli atti definitivi di vendita, il G. nella ridetta qualità di presidente del consiglio d'amministrazione della Gi.Esse.Ti. s.r.l. aveva risolto i preliminari di vendita dei terreni, i quali successivamente erano stati acquistati dalla S.P.I. s.r.l., società di cui erano soci gli stessi G. e T. che dall'operazione originaria la Gi.Esse.Ti. s.r.l. aveva preventivato un utile di otto miliardi di lire, mentre a causa della condotta dei due predetti soci l'affare era stato concluso dalla soc. S.P.I. che il processo penale originato da tali fatti a carico dei G. e T. si era concluso con l'assoluzione, non essendo più il fatto previsto come reato tanto premesso, convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Alba, G.E. e T.F. per sentirli condannare al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 2.065.827,60, che il S. aveva sofferto nella sua qualità di socio della Gi.Esse.Ti. s.r.l., invocando al riguardo gli artt. 2361 e 2395 c.c Il Tribunale - per quanto ancora interessa - con sentenza del 31.7.2004 dichiarò inammissibile la domanda, qualificata ai sensi dell'art. 2395 c.c., rilevando che nella specie il danno si era prodotto nella sfera patrimoniale dell'attore soltanto di riflesso, atteso che pregiudicata in via immediata dalla condotta dei convenuti era la stessa società mentre il richiamo all'art. 2043 c.c., formulato in alternativa nella comparsa conclusionale dell'attore, non poteva essere preso in considerazione perché del tutto nuovo e intempestivo. Con la sentenza impugnata depositata l'11.4.2008 la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado, pur rilevando l'ammissibilità del richiamo all'art. 2043 c.c., peraltro irrilevante. Infatti, secondo la Corte di merito in tema di responsabilità degli amministratori per danni a soci o a terzi è sempre e comunque all'art. 2395 c.c. e ai suoi limiti applicativi che occorre far riferimento, ma la fattispecie non presentava alcuna peculiarità tale da porre in discussione l'operatività di tale norma. L'attore, infatti, ha dedotto quale condotta colposa o dolosa dei convenuti l'aver risolto contratti preliminari di vendita vantaggiosi per la società Gi.Esse.Ti s.r.l., in nome della quale aveva agito, in particolare, G.E. , operando in aperto conflitto d'interessi con essa. Il danno, pertanto, era stato direttamente arrecato alla società, indipendentemente dal fatto che la stessa fosse stata costituita solo per detto affare e a prescindere dalla misura della partecipazione del S. al capitale sociale. Avverso detta sentenza S.M. ha proposto ricorso per cassazione. Resistono con controricorso gli intimati, i quali hanno preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per inidoneità dei quesiti ex art. 366 bis c.p.c Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Con unico motivo di ricorso articolato su due punti il ricorrente lamenta che la corte di merito abbia ritenuto insussistente un proprio danno diretto e abbia, inoltre, trascurato le risultanze del processo penale per il reato di cui all'art. 2631 c.c. ascritto ai convenuti, il cui comportamento integrava un illecito produttivo di danno all'attore. Formula - ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis - i seguenti quesiti cumulativi 1 se sia lecita l'applicazione della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., in alternativa e/o unitamente a quella prevista dall'art. 2395 c.c. nel caso di totale rimozione del contenuto del patrimonio societario 2 se il combinato disposto di cui agli articoli 2043 e 2395 c.c. limiti al Giudicante la indagine sul reale danno sofferto dal socio, anche in considerazione del valore della sua quota 3 se la abolitio criminis non possa consentire al giudicante civile di procedere comunque all'esame dei fatti posti a fondamento della azione stessa, e di conseguenza giungere alla condanna per il risarcimento del danno a favore della parte”. 3.- Osserva la Corte che l'unico motivo di ricorso è infondato, oltre che inammissibile nel profilo relativo al contenuto della sentenza penale di cui è stata riprodotta copia nel ricorso quesito sub 3 e di cui si chiede una valutazione non consentita in sede di legittimità. Invero, la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione del principio per il quale l'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 cod. civ. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all'eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell'amministratore Sez. 3, Sentenza n. 4548 del 22/03/2012 . Lo stesso ricorrente, invero, v. memoria pag. 3 si è limitato ad auspicare la verifica della sostenibilità, in termini di giustizia, dello stesso principio già enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo il quale qualora una società di capitali subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l'incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito” Sez. U, Sentenza n. 27346 del 24/12/2009 , a prescindere dall'entità della quota del socio che assume di essere stato danneggiato quesito sub 2 e dalla natura certamente aquiliana cfr. Sez. 1, n. 6870/2010 dell'azione esperita quesito sub 1 . Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità - nella misura determinata in dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi euro 20.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e spese forfettarie.