Bene alienato dai comproprietari in corso di causa? L’usufruttuario rimane comunque in partita

Non costituisce nuova domanda, quindi inammissibile in appello, quella diretta al risarcimento del danno determinatosi in corso di causa, connesso alla privazione di usufrutto ad opera dei contitolari del diritto per effetto dell’alienazione dei beni, ove formulata sin dal primo grado con riferimento alla mancata disponibilità della quota di immobili in usufrutto. Sicché non è ravvisabile il mutamento del fatto costitutivo posto a fondamento della domanda stessa.

Con la sentenza n. 20139 del 24 settembre 2014 la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha affrontato una vicenda occorsa in materia di usufrutto ove, nelle more del giudizio, i comproprietari avevano alienato i beni sui quali l’istante rivendicava la percezione dei frutti, con conseguenti problematiche afferenti alla qualificazione ed ammissibilità della domanda risarcitoria nonché alle modalità di sua liquidazione in grado di appello. Il caso. Con atto notarile simulato l’attrice aveva rinunciato al 50% dell’usufrutto derivatole dalla successione del marito su quattro locali commerciali per i quali, sino al decesso di uno dei comproprietari, aveva sempre percepito con cadenza mensile, la metà del reddito promanante dagli stessi. Deceduto uno dei comproprietari essa aveva smesso di percepire i frutti del suo diritto reale. Convenuti in giudizio i comproprietari delle botteghe, l’attrice chiedeva che il Tribunale, accertata la natura simulata dalla sua rinuncia all’usufrutto e sciolta la comunione ereditaria, le attribuisse una quota corrispondente alla metà del suo diritto di usufrutto. La domanda era respinta in primo grado. In riforma della prima pronuncia la Corte di Appello dichiarava l’appellante titolare del 50% dell’usufrutto sulle botteghe, disponendo la prosecuzione del giudizio per la liquidazione delle somme che effettivamente erano quantificate a seguito di espletata CTU. Nel corso del giudizio di secondo grado gli appellati avevano eccepito la omessa integrazione del contraddittorio rispetto agli altri coeredi comproprietari dei locali tale eccezione era superata dalla Corte territoriale giacché comunque preclusa dalla sentenza non definitiva passata in giudicato. Secondo i Giudici di appello tale pronuncia non era destinata a fare stato nei confronti degli altri litisconsorti necessari, rimasti estranei al giudizio, che ben avrebbero potuto azionare lo strumento della opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. Il secondo Giudice limitava il diritto di usufrutto rivendicato dell’appellante a due delle quattro botteghe, giacché le altre due non erano più nella disponibilità delle appellate inoltre superava la domanda di scioglimento della comunione del diritto di usufrutto, stante l’avvenuta alienazione, in corso di causa, dei restanti due locali con liquidazione delle somme spettanti all’appellante, quale quota del reddito locativo determinato sulla scorta del valore di mercato. Non è nuova la domanda che deriva da un mutamento dell’originaria situazione di fatto. Per la Cassazione della pronuncia proponevano ricorso i soccombenti. Tra le doglianze proposte rivestiva particolare interesse quella afferente alla presunta violazione dell’art. 345 c.p.c. e nullità di procedimento ex art. 360, n. 4, c.p.c. per avere il giudice di appello deciso su di una domanda nuova, formulata solo in secondo grado, e relativa al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata disponibilità degli immobili alienati dai coeredi. In buona sostanza i ricorrenti chiedevano che gli ermellini confermassero il principio di diritto secondo cui costituirebbe nuova domanda, perciò inammissibile in appello, in quanto comportante l’introduzione di un nuovo tema, la richiesta di risarcimento danni determinatasi in corso di causa e collegata alla privazione del diritto di usufrutto, ove la precedente richiesta era diretta al riconoscimento dei frutti civili prodotti dall’immobile oggetto del diritto di usufrutto. Orbene a tale proposito la Cassazione puntualizzava come nel corso del giudizio fosse intervenuto il mutamento dell’originaria situazione di fatto, tale che i coeredi, avendo alienato a terzi i locali su cui l’attrice in primo grado rivendicava il proprio diritto di usufrutto, avevano inciso in senso negativo sul diritto della stessa attrice che vedeva così cessare il proprio usufrutto per i Giudici di legittimità, tale stato di fatto non comportava novità della domanda di risarcimento danni, giacché la stessa era stata già formulata dall’attrice sia in primo grado che in appello quale risarcimento per la mancata disponibilità della quota di immobili in usufrutto. Esclusa la condanna generica al risarcimento danni se richiesta quella specifica. Ulteriore censura sollevata dai ricorrenti era quella di condanna generica. La Corte di Appello, nonostante l’appellante avesse richiesto una condanna specifica al risarcimento del danno, da determinarsi quindi nel medesimo processo, aveva emesso una pronuncia di condanna generica riconoscendo il diritto della parte all’ an debeatur ma non provvedendo alla sua quantificazione, rinviando per questo ad un separato giudizio. I ricorrenti chiedevano agli ermellini se il Giudice di merito potesse emettere una condanna generica con rimessione della quantificazione ad un separato giudizio, ovvero se dovesse attenersi al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, provvedendo quindi o alla liquidazione diretta del danno o al rigetto della domanda in base alle risultanze processuali. Tale motivo di impugnazione era ritenuto meritevole di accoglimento. Il Giudice di legittimità, confermando il proprio orientamento, affermava che nel giudizio di risarcimento del danno, solo in presenza dell'accordo delle parti o, quanto meno, della mancata opposizione del convenuto, il giudice può scindere il giudizio medesimo, che è di norma unitario, e limitare la pronuncia all' an debeatur in mancanza di una delle due condizioni, egli deve decidere anche la domanda di quantificazione del danno, per accoglierla o respingerla quando non sia determinabile l'entità del danno , restando sempre esclusa la possibilità di pronunciare una condanna generica di risarcimento con rinvio della liquidazione ad altro giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 luglio – 24 settembre 2014, numero 20139 Presidente Triola – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con atto di citazione del luglio 1995 G.M. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Messina, S.C. , L. e P. esponendo con atto per notar Bette del 7.3.1961 cui avevano partecipato O.L. nonché S.M. e O.A. , aveva rinunciato alla metà dell'usufrutto, pervenutole dalla successione al marito O.P. , su quattro botteghe ubicate in la rinuncia era simulata, come desumibile da una dichiarazione scritta a firma di O.L. e A. e di S.M. e dalla circostanza che il S. le aveva fatto pervenire mensilmente la somma di L. 500.000, costituente la metà del reddito prodotto dalle botteghe deceduto il S. , la somma dovuta non le era stata più corrisposta. Chiedeva, pertanto, che accertata la simulazione e la persistenza del suo diritto di usufrutto e sciolta la comunione ereditaria, le fosse attribuita una quota corrispondente alla metà del diritto di usufrutto sulle botteghe. I convenuti si costituivano in giudizio resistendo alla domanda che veniva respinta dal Tribunale adito con sentenza depositata il 21.2.2001. Avverso tale decisione la G. proponeva appello cui resistevano gli appellati chiedendo il rigetto dell'impugnazione ed, in via incidentale, la condanna della controparte al pagamento delle spese di primo grado compensate dal primo giudice . La Corte di Appello di Messina, con sentenza non definitiva 7.5.02, dichiarava che l'appellante G.M. era titolare del 50% dell'usufrutto sulle quattro botteghe ubicate in omissis e disponeva la prosecuzione del giudizio per la liquidazione delle somme spettanti alla G. a titolo di usufrutto. Espletata C.T.U., la Corte di Appello di Messina, decidendo definitivamente sull'appello proposto dalla G. , con sentenza depositata in data 8.1.2008, condannava i S. al pagamento, in favore della G. , quale quota dell'usufrutto a questa spettante sugli immobili oggetto di causa, relativamente al periodo da luglio 1984 al 31.3.2006, della somma di Euro 127.461,16 con interessi legali e detrazione di quanto eventualmente già ricevuto dalla G. in esecuzione del provvedimento di urgenza 24.4.03, oltre alla condanna generica del 50% del reddito locativo di mercato degli immobili oggetto di causa, relativamente al periodo dal 1.4.2006 alla estinzione dell'usufrutto e rimborso in favore della G. , dei 2/3 delle spese del primo che del secondo grado, compensato fra le parti il residuo terzo. Osservava la Corte di merito, per quanto ancora rileva in questa sede i S. , successivamente alla pronuncia della sentenza non definitiva, avevano eccepito l'omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di altri coeredi gli altri germani S.E. , S. e C. comproprietari con essi convenuti, delle botteghe oggetto di causa, ma tale eccezione era superata e comunque preclusa dalla sentenza non definitiva passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso per cassazione contro di essa proposto dagli appellati Sa.Ch. , S.L. e S.P. tale sentenza, in ogni caso, ai sensi dell'art. 2909 c.c., non faceva stato nei confronti di eventuali litisconsorti necessari rimasti estranei al processo che, ove pregiudicati, avrebbero potuto avvalersi del rimedio della opposizione ai sensi dell'art. 404 c.p.c. la portata effettiva del diritto di usufrutto spettante alla G. andava, peraltro, limitata alle due botteghe rispettivamente in via omissis distinte nella C.T.U. come lotto numero 3 e lotto numero 4 , come pure riconosciuto dalla G. nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica in grado di appello, posto che le altre due botteghe di via omissis distinta quale lotto 1 nella C.T.U. e di via omissis distinta nella C.T.U. come lotto numero 2 , non erano più nella disponibilità dei convenuti appellati in quanto la bottega lotto 2 era stata venduta congiuntamente da tutti e sei i germani S. a terzi con atto per Notaio Della Cava 15.6.1984 e la bottega lotto 1, in sede di divisione per notaio Casino 26.7.85, era stata assegnata ai germani E. , S. e C. , non convenuti in giudizio. Rilevava, inoltre, il giudice di appello che la domanda sub B , di scioglimento della comunione del diritto di usufrutto, era superata dall'avvenuta vendita, nel corso del giudizio, da parte dei convenuti in favore di terzi, con atto per notaio Campagna 24.2.1999, delle botteghe lotti 3 e 4 andavano accolte le domande della G. relative alla liquidazione delle somme a lei spettanti quale quota del reddito effettivo percepito domanda C o potenzialmente percepibile con riferimento al reddito locativo di mercato domanda D da dette botteghe, secondo l'accertamento del C.T.U., contestato dalle parti solo genericamente. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso Sa.Ch. , S.L. e S.P. sulla base di quattro motivi. L'intimata Maria G. non ha svolto attività difensiva. I ricorrenti deducono l violazione dell'art. 102 c.p.c. e nullità del procedimento ex art. 360 numero 4 c.p.c., posto che la sentenza emessa in violazione del contraddittorio, era inutiliter data , indipendentemente dal suo formale passaggio in giudicato, sia nei confronti dei litisconsorti necessari che dei soggetti che avevano partecipato al giudizio. A conclusione della censura si chiede a questa Corte, ex art. 366 bis c.p.c., la conferma del seguente principio di diritto l'invalidità derivante dal difetto di integrità del contraddittorio investe l'intero processo rendendolo inidoneo a sfociare in una sentenza relativamente a tutti i soggetti litisconsorti necessari, tanto di quelli che ad esso hanno partecipato quanto degli altri che ne sono rimasti estranei perché non chiamati a parteciparvi la sentenza resa in violazione delle norme sul litisconsorzio è inutiliter data e la sua efficacia può essere rilevata in ogni sede, cosicché anche dopo il formale passaggio in giudicato della sentenza non definitiva che, in assenza di alcuni litisconsorti necessari abbia dichiarato, in via principale, la simulazione assoluta di un atto, il giudice chiamato a delibare, con sentenza definitiva, le consequenziali domande, non può porre a fondamento della decisione la sentenza inutiliter data, ed in considerazione del passaggio in giudicato di quest'ultima, non può disporre l'integrazione del contraddittorio, ma deve astenersi dal provvedere sul merito di tali domande, perché il processo non può essere proseguito 2 omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio sulla interpretazione delle domande proposte dalla G. , laddove la Corte territoriale aveva riconosciuto alla stessa il diritto al risarcimento di un danno mai lamentato in quanto la richiesta di risarcimento del danno era connessa alla mancata corresponsione di metà dei frutti civili effettivamente prodotti dagli immobili e non era stato, invece, chiesto il risarcimento per equivalente del medesimo pregiudizio peraltro, la G. non aveva provato che, nell'ipotesi di immediato scioglimento della comunione ereditaria, avrebbe ottenuto maggiori proventi dalla propria quota di usufrutto. 3 violazione dell'art. 345 c.p.c. e nullità del procedimento ai sensi dell'art. 360 numero 4 c.p.c., per avere il giudice di appello deciso su una domanda nuova formulata solo in grado di appello, relativamente al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata disponibilità degli immobili alienati da S. , pur non essendo gi stessi titolari della metà dell'usufrutto sugli immobili stessi. Sul punto si chiede a questa Corte la conferma del seguente principio di diritto costituisce domanda nuova, inammissibile in appello ai sensi dell'art. 345 c.p.c. perché fondata su diversa causa petendi, comportante il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere e l'introduzione nel processo di un nuovo thema decidendi, con alterazione dell'oggetto sostanziale dell'azione e dei termini della controversia, la richiesta di risarcimento di un danno, determinatosi in corso di causa, connesso alla privazione del diritto di usufrutto ad opera dei soggetti contitolari del diritto, laddove, precedentemente, il giudizio aveva ad oggetto la richiesta di attribuzione pro quota dei frutti civili prodotti dall'immobile oggetto del diritto reale leso 4 violazione degli artt. 112 e 278 c.p.c. e nullità del procedimento ex art. 360 numero 4 c.p.c, laddove la Corte d'Appello aveva emesso una sentenza di condanna generica, a corrispondere alla G. il 50% del canone locativo di mercato degli immobili oggetto di causa, così incorrendo nel vizio di extrapetizione e nella violazione dell'art. 278 c.p.c., per aver ritenuto che, senza l'espresso consenso dei convenuti ed in difetto di un'istanza di parte attrice, potesse limitarsi l'originaria domanda di condanna al risarcimento del danno c.d. condanna specifica , all'accertamento del solo an debeatur , rinviando ad un successivo giudizio l'individuazione del quantum . Sul punto viene formulato in sintesi il quesito di diritto se il giudice di merito possa emanare una condanna generica e rimetterne la liquidazione ad un separato giudizio, ove l'attore abbia chiesto la condanna del convenuto al risarcimento del danno ed alla relativa liquidazione nello stesso processo ovvero se, in ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, debba liquidare il danno in base agli elementi acquisiti al processo, oppure rigettare la domanda per difetto di prova. La censura si conclude con il quesito di diritto qualora l'attore abbia chiesto la condanna del convenuto al risarcimento del danno ed alla relativa liquidazione nello stesso processo c.d. condanna specifica e non abbia poi, con il consenso del convenuto, limitato la domanda all'an debeatur, il giudice del merito non può emanare una condanna generica e rimetterne la liquidazione ad un separato giudizio, ma in ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, deve liquidare il danno in base agli elementi acquisiti al processo, oppure rigettare la domanda per difetto di prova . Il primo motivo di ricorso è infondato. Il giudice di appello si è conformato al principio secondo il quale l'eccezione di non integrità del contraddittorio, nel caso di litisconsorzio necessario, può essere proposta in ogni stato e grado del processo e rilevata anche d'ufficio dal giudice, ma trova un limite preclusivo, nel giudicato che, esplicitamente implicitamente, si sia formato nel processo medesimo su tale questione Cass. numero 360/86 numero 20260/2006 numero 11916/2000 . Nella specie la Corte di merito, dato atto che i S. , successivamente alla pronuncia della sentenza non definitiva, avevano eccepito l'omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di altri coeredi, comproprietari delle botteghe oggetto di causa, ha ritenuto superata e, comunque preclusa, tale eccezione dalla sentenza non definitiva emessa dalla Corte di appello e passato in giudicato a seguito del ricorso per cassazione contro di essa proposto dagli attuali appellati ha, comunque, rilevato che tale sentenza, ai sensi dell'art. 2909 c.c., non faceva stato nei confronti di eventuali litisconsorti necessari rimasti estranei al processo. cfr. pag. 4 sent.imp. . Del pari infondata è la seconda doglianza, spettando al giudice di merito di interpretare la domanda,non risulta, peraltro, che quella adottata dalla sentenza impugnata sia inficiata da vizi logici e giuridici, laddove è stato evidenziato che, con la sentenza non definitiva 7.5.02, la Corte aveva accolto la domanda relativa al riconoscimento del diritto di usufrutto della G. , limitatamente alle due botteghe distinte nella C.T.U. come lotto numero 3 e lotto numero 4 correttamente la sentenza impugnata ha, quindi, liquidato le somme spettanti, a titolo di usufrutto, alla G. sulla base del reddito ricavato dagli immobili oggetto di usufrutto, secondo l'accertamento del C.T.U. non specificatamente contestato delle parti. Priva di fondamento è la terza censura, dovendosi escludere la novità ex art. 345 c.p.c., della domanda di risarcimento danni conseguenti alla mancata disponibilità degli immobili alienati dai S. al riguardo il giudice di appello ha affermato che la vendita a terzi effettuata, in corso di causa, dai S. , della piena proprietà delle botteghe in questione con atto per notaio Campagna del 24.2.1999 , violava il diritto di usufrutto della G. , ai sensi degli artt. 1103 e 1108 c.c., e comportava il diritto della G. stessa al pagamento del valore di tale diritto, materialmente cessato per fatto dei medesimi S. . Tale fatto non comporta la dedotta novità della domanda di risarcimento danni in quanto avanzata dalla G. , sin dal giudizio di primo grado e riproposta in appello con riferimento alla mancata disponibilità della quota di immobili in usufrutto domanda sub D , sicché non è ravvisabile alcun mutamento del fatto costitutivo posto a fondamento della domanda stessa. Merita, invece, accoglimento la quarta censura, posto che la pronuncia di condanna generica è stata emessa senza che vi sia stata sul punto, l'accordo delle parti, in violazione del disposto dell'art. 278 c.p.c. nel giudizio di risarcimento danni, infatti, solo in presenza di tale accordo o, quanto meno, della mancata opposizione di parte convenuta, il giudice può scindere il giudizio medesimo e limitare la pronuncia all' an debeatur in difetto di una delle due condizioni, resta esclusa la possibilità di pronunciare una condanna generica di risarcimento con rinvio della liquidazione ad altro giudizio Cass. numero 23707/2009 S.U. numero 1324/1997 . In conclusione, rigettati i primi tre motivi di ricorso, va accolto il quarto motivo con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Messina che dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso rigetta gli altri motivi cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Missina anche per le spese del giudizio di legittimità.