Le 3 semplici, ma fondamentali, regole che salvano giornalista ed editore

Il giornalista che riferisce opinioni o dichiarazioni di terzi è esonerato da responsabilità per diffamazione, quando la dichiarazione del terzo costituisca di per se stessa un fatto rilevante nella vita pubblica. Ad ogni modo, quando il giornalista riporta tali affermazioni è sempre tenuto a specificare che sta riferendo convinzioni di terzi e non verità oggettive.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19152, depositata l’11 settembre 2014. Il caso. Silvio Berlusconi ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma che rigettava la sua domanda di condanna del Gruppo Editoriale L’espresso s.p.a. al risarcimento del danno, a seguito della pubblicazione sul quotidiano La Repubblica di un articolo, ricalcante un reportage del The Economist, dal contenuto diffamatorio, col quale venivano messe in dubbio la sua onestà e trasparenza. Le 3 regole della cd. responsabilità del diffusore mediatico. Il ricorso è incentrato sul tema dei presupposti e dei limiti della responsabilità del giornalista e dell’editore, nel caso di diffusione di notizie consistenti in fatti od opinioni riferiti da altri cd. responsabilità del diffusore mediatico . Su questo tema, dopo vari contrasti negli anni passati, la giurisprudenza di legittimità si è da tempo consolidata stabilendo al riguardo tre regole fondamentali. 1- Rispettare la verità putativa dei fatti. La prima regola è che il giornalista che riporti dichiarazioni altrui non è esonerato né dal dovere di evitare la contumelia Cass., Sez. III, n. 20137/05 , né da quello di verificare se, al momento in cui ne dà contezza ai lettori, i fatti riferiti dal terzo e ripresi dal giornalista appaiano plausibilmente veri. Non è, in altri termini, esonerato dal dovere di rispettare la cd. verità putativa dei fatti. 2- Valutare l’interesse pubblico. La seconda regola è un’eccezione alla prima quando riferisce opinioni e dichiarazioni di terzi, il giornalista è esonerato sia dal dovere di verificare la verità putativa dei fatti, sia di evitare di riferire espressioni oltraggiose, quando sussista un interesse dell’opinione pubblica a conoscere, prima ancora dei fatti narrati, la circostanza che un terzo li abbia riferiti Cass., Sez. III, n. 10686/08 . Quando ricorre tale interesse pubblico, questo deve prevalere, in quanto tutelato dall’art. 21 Cost., sull’interesse del singolo all’integrità del proprio onore e della propria reputazione. 3- Rendere chiaro che si stanno riferendo opinioni di terzi. La terza regola è una eccezione alla eccezione, è il principio generale quando il giornalista riporti dichiarazioni di terzi di rilevante interesse pubblico, egli è sempre tenuto a rendere ben chiaro al lettore che sta riferendo opinioni o dichiarazioni di terzi, e non verità oggettive. In altri termini il giornalista deve rimanere osservatore dei fatti e non divenire un diffamatore dissimulato Cass., Sez. III, n. 15112/13 Cass., Sez. III, n. 16917/10 . Nessuna responsabilità del giornalista che rispetta le 3 regole. Nel caso di specie, tutte e tre queste regole sono state rispettate. Sono state rispettate le prime due, perché la pubblicazione dell’articolo, per i contenuti che aveva, costituiva una notizia di indubbio interesse generale è stata rispettata la terza, in quanto il giornalista ha onorato il dovere di terzietà e non decettività, consistente nel non presentare le opinioni altrui come fatti oggettivi. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 maggio– 11 settembre 2014, n. 19152 Presidente Amatucci– Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Con atto notificato il 10.5.2001 B.S. convenne dinanzi al Tribunale di Roma le società The Economist Newspaper Ltd. e Gruppo Editoriale L'Espresso s.p.a., allegando che - le società convenute erano editrici, rispettivamente, dei quotidiani The Economist e La Repubblica - il omissis il quotidiano The Economist aveva pubblicato un articolo dal titolo An italian story , dal contenuto diffamatorio per esso attore, del quale si mettevano in dubbio l'onestà e la trasparenza - tale scritto era stato ripreso e divulgato dal quotidiano La Repubblica il giorno successivo omissis , in un articolo dal titolo L'Economist e il Cavaliere - Perché non può governare - la pubblicazione dei due articoli avvenne in concomitanza con lo svolgimento della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2001, nelle quali esso attore era candidato. Concluse pertanto chiedendo la condanna delle convenute al risarcimento del danno. 2. Con sentenza 21.11.2003 n. 28206 il Tribunale di Roma dichiarò la propria incompetenza per territorio in merito alla domanda formulata nei confronti della The Economist Newspaper Ltd. , e rigettò quella formulata nei confronti della Gruppo Editoriale L'Espresso s.p.a 3. La sentenza, impugnata dal soccombente limitatamente al rigetto della domanda nei confronti della Gruppo Editoriale L'Espresso, venne confermata dalla Corte d'appello di Roma con sentenza 9.10.2007 n. 3983. La Corte d'appello ha motivato la propria decisione affermando che la pubblicazione dell'articolo L'Economist e il Cavaliere - Perché non può governare sul quotidiano La Repubblica costituì legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica. 4. Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione da B.S. , sulla base di tre motivi. Ha resistito la Gruppo Editoriale L'Espresso s.p.a. con controricorso. Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c Assume violati gli artt. 51, 185, 187 e 595 c.p. gli artt. 2043, 2055 e 2059 c.c. gli artt. 11 e 12 L. 8.2.1947 n. 48 Disposizioni sulla stampa . Espone, al riguardo, come la Corte d'appello abbia ritenuto non violato dal quotidiano La Repubblica il dovere di verità, sul presupposto che esso si era limitato a riferire dell'avvenuta pubblicazione dell'articolo in contestazione sul quotidiano The Economist. Tale pubblicazione, pertanto, rappresentava il fatto , vero ed oggettivo, che il quotidiano italiano aveva diffuso. Tale inquadramento giuridico della fattispecie è contestato dal ricorrente, ad avviso del quale il giornalista ha sempre il dovere di verificare la fondatezza delle notizie che diffonde, anche quando si tratti di notizie riferite da terzi. Se così non fosse, conclude il ricorrente, si perverrebbe all'assurdo di lasciare impunita la condotta di chi, senza alcuna verifica, diffonda uno scritto diffamatorio preparato da terzi. 1.2. Il motivo è infondato. Il ricorso pone il tema dei presupposti e dei limiti della responsabilità del giornalista e dell'editore, nel caso di diffusione di notizie consistenti in fatti od opinioni riferiti da altri cd. responsabilità del diffusore mediatico . Su questo tema, dopo vari contrasti negli passati, la giurisprudenza di legittimità si è da tempo consolidata stabilendo al riguardo tre regole fondamentali. 1.2.1. La prima regola è che il giornalista il quale riporti dichiarazioni altrui come nel caso dell'intervistatore ovvero dell'articolo che dia conto di deposizioni testimoniali o rese in ambito giudiziario od ancora - come nel caso di specie - dell'articolo che riferisca di scritti altrui non è esonerato né dal dovere di evitare la contumelia Sez. 3, Sentenza n. 20137 del 18/10/2005, Rv. 585231 , né da quello di verificare se, al momento in cui ne da contezza ai lettori, i fatti riferiti dal terzo e ripresi dal giornalista appaiano plausibilmente veri. Non è, in altri termini, esonerato dal dovere di rispettare la cd. verità putativa dei fatti. Tale dovere di verifica è tanto più doveroso, quanto maggiore è la gravità dei fatti riferiti Sez. 3, Sentenza n. 6490 del 17/03/2010, Rv. 612224 . 1.2.2. La seconda regola è un'eccezione alla prima quando riferisce opinioni e dichiarazioni di terzi, il giornalista è esonerato sia dal dovere di verificare la verità putativa dei fatti riferiti, sia di evitare di riferire espressioni oltraggiose, quando sussista un interesse dell'opinione pubblica a conoscere, prima ancora dei fatti narrati, la circostanza che un terzo li abbia riferiti Sez. 3, Sentenza n. 10686 del 24/04/2008, Rv. 602949 . Quando, infatti, ricorre il suddetto interesse pubblico, questo deve prevalere, in quanto tutelato dall'art. 21 cost., sull'interesse del singolo all'integrità del proprio onore e della propria reputazione. Questo interesse deve essere valutato caso per caso dal giudice di merito, tenendo conto della qualità dei soggetti coinvolti il terzo che compie la dichiarazione e la persona diffamata , della materia in discussione e del contesto della notizia Sez. U, n. 37140 del 30/05/2001 - dep. 16/10/2001, imp. Gallerò, Rv. 219651 . Pertanto il giornalista che riferisca opinioni o dichiarazioni di terzi è esonerato da responsabilità per diffamazione, quando la dichiarazione del terzo costituisca di per se stessa un fatto così rilevante nella vita pubblica che la stampa verrebbe meno al suo compito informativo se lo tacesse così la fondamentale decisione pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 1205 del 19/01/2007, Rv. 595637 . 1.2.3. La terza regola è una eccezione alla eccezione che fa quindi risorgere il principio generale quando il giornalista riporti dichiarazioni di terzi di rilevante interesse pubblico, egli è sempre tenuto a rendere ben chiaro al lettore che sta riferendo opinioni o dichiarazioni di terzi, e non verità oggettive. Chi riferisce opinioni altrui deve quindi astenersi dal ricorrere ad accostamenti suggestivi o capziosi, tali da indurre in errore il lettore e fargli percepire come veritieri i fatti dichiarati da terzi. In quest'ultima ipotesi, infatti, il giornalista dismetterebbe la veste di terzo osservatore dei fatti, per divenire un diffamatore dissimulato Sez. 3, Sentenza n. 15112 del 17/06/2013, Rv. 626951 Sez. 3, Sentenza n. 16917 del 20/07/2010, Rv. 614230 . 1.3. Tutte e tre queste regole sono state rispettate dalla Corte d'appello. Sono state rispettate le prime due, perché la pubblicazione dell'articolo da parte di The Economist per la fonte da cui proveniva, e per i contenuti che aveva, costituiva una notizia di indubbio interesse generale. Il giornalista che ha diffuso la notizia in Italia, pertanto, era esonerato dal verificare la verità oggettiva dei fatti narrati dal quotidiano britannico. È stata, altresì, rispettata la terza, perché il giudice di merito - con valutazione non sindacabile in questa sede - ha ritenuto rispettato dal giornalista italiano il dovere di terzietà e non decettività, consistente nel non presentare le opinioni altrui come fatti oggettivi. 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c Anche in questo caso le norme violate sono ravvisate negli artt. artt. 51, 185, 187 e 595 c.p. gli artt. 2043, 2055 e 2059 c.c. gli artt. 11 e 12 L. 8.2.1947 n. 48 Disposizioni sulla stampa . Espone, al riguardo, la tesi secondo cui il giornalista che riferisce dichiarazioni altrui, anche ad ammettere che sia esonerato dal dovere di verificare la verità putativa dei fatti riferiti, ha comunque il dovere di astenersi sia dal trascrivere integralmente scritti offensivi, sia dal riferire la notizia in forma maliziosa, insinuante ed offensiva . 2.2. Il motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato. 2.2.1. Nella parte in cui sostiene che il giornalista non deve riferire all'opinione pubblica opinioni altrui, quando queste abbiano contenuto diffamatorio, il motivo è infondato. Per quanto appena detto, infatti, la regola affermata da questa Corte è esattamente opposta a quella invocata dal ricorrente quando sussista un interesse pubblico alla notizia intendendosi per notizia il fatto della dichiarazione del terzo , il giornalista ha diritto di riferirla, e ciò indipendentemente dalla veridicità dei fatti narrati o dalla intrinseca offensività delle espressioni usate sono parole di Sez. U, n. 37140 del 30/05/2001 - dep. 16/10/2001, imp. Gallerò, Rv. 219651 . 2.2.2. Nella parte, invece, in cui il motivo di ricorso prospetta una violazione, da parte del quotidiano La Repubblica, del requisito della continenza, esso è inammissibile in questa parte, infatti, sotto le vesti della censura in iure il ricorrente intende inammissibilmente sottoporre a riesame un tipico accertamento di fatto, ovvero la valutazione della forma civile e della continenza verbale d'uno scritto giornalistico. 3. Il terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. . Espone, al riguardo, che la Corte d'appello non avrebbe indicato le ragioni in base alle quali ha ritenuto che il limite della continenza formale, nel caso di specie, fosse stato rispettato. 3.2. Il motivo è infondato. La Corte d'appello, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, si è fatta carico di indicare le ragioni per le quali ha ritenuto non superato, da parte del quotidiano La Repubblica, il limite della continenza verbale così la sentenza impugnata, pag. 5, terzo capoverso . La motivazione, dunque, esiste né ovviamente è consentito a questa Corte sindacarla nel merito. 4. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c P.Q.M. la Corte di cassazione - rigetta il ricorso - condanna B.S. alla rifusione in favore di Gruppo Editoriale L'Espresso s.p.a. delle spese dei presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 10.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A. ed accessori di legge.