Pericolo caduta massi: l’ANAS risponde dei danni

In relazione alla caduta dei massi sulla sede stradale è responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., l’Azienda Nazionale Autonoma delle Strade, sulla quale grava l’obbligo di custodia delle strade e che è tenuta ad adottare i presidi necessari ad eliminare ogni fattore di rischio.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17095, depositata il 28 luglio 2014. Il caso. L’attore citava in giudizio l’ANAS per chiederne la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla vettura di sua proprietà, rimasta schiacciata da un masso rotolato sulla sede stradale mentre si trovava in sosta ai margini di una strada statale. Se in primo grado tale domanda veniva rigettata, in appello la Corte territoriale dichiarava l’ANAS responsabile dell’evento dannoso, condannandola al risarcimento dei danni. Contro la sentenza della Corte d’appello proponeva ricorso per cassazione l’ANAS. Obbligo di manutenzione delle ripe sovrastanti le strade. La società ricorrente, sostiene che l’obbligo di manutenzione delle ripe sovrastanti o sottostanti rispetto alla sede stradale spetti ai proprietari delle medesime, con conseguente venir meno della responsabilità della stessa. Tuttavia, in giurisprudenza si è affermato che essendo funzione primaria dell’ente proprietario della strada quella di garantire la sicurezza della circolazione e spettando all’ANAS, tra l’altro, il compito di adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade e sulle autostrade che le sono affidate e in relazione alle quali essa esercita i diritti e i poteri attribuiti all’ente proprietario, poco importa stabilire su chi dovesse in definitiva gravare il costo economico del risanamento delle sponde laterali Cass., n. 23562/11 . Obbligo di custodia gravante sull’ANAS. L’ente ricorrente, a giudizio della Corte di Cassazione, non avrebbe dovuto consentire la circolazione su un tratto di strada di cui aveva la custodia, senza prima aver adottato i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti e conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio. La Corte d’appello ha correttamente posto in evidenza come la presenza della segnalazione di pericolo, unitamente all’esistenza di un muro di contenimento, dimostrasse che la caduta dei massi era evento assolutamente prevedibile, e che l’ente oggi ricorrente aveva il dovere di fare tutto il possibile per impedirlo Cass., n. 16542/12 . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 giugno – 28 luglio 2014, n. 17095 Presidente Segreto– Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. C.V. citò in giudizio l'ANAS davanti al Tribunale di Verbania, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni subiti dalla vettura di sua proprietà, la quale era rimasta schiacciata da un masso rotolato sulla sede stradale mentre si trovava in sosta ai margini della strada statale n. , in località . Si costituì in giudizio l'ANAS, chiedendo il rigetto della domanda. Istruita la causa con prova per documenti, il Tribunale rigettò la domanda. 2. La pronuncia è stata appellata dal C. e la Corte d'appello di Torino, con sentenza del 25 settembre 2008, ha riformato la decisione di primo grado, ha dichiarato l'ANAS responsabile dell'evento dannoso e l'ha condannata al risarcimento nella misura di Euro 5.954,23, nonché al pagamento delle spese del doppio grado. Ha osservato la Corte territoriale che nella specie doveva trovare applicazione l'art. 2051 cod. civ., trattandosi di evento verificatosi su una strada pubblica e non avendo rilievo il fatto che la vettura del C. fosse in sosta. Poiché la strada è costituita, secondo la Corte d'appello, non solo dal suo sedime, e da tutte le sue pertinenze, ma dallo stesso tracciato”, l'area del sinistro, costituita da uno slargo davanti ad un'abitazione, non poteva che rientrare nel concetto di strada. L'ente convenuto, quindi, avrebbe dovuto dimostrare, per essere esentato da responsabilità, l'esistenza del caso fortuito impresa definita improba , perché il C. aveva parcheggiato in uno spazio nel quale era possibile la caduta massi, tanto che il pericolo era segnalato. Trattandosi, perciò, di un evento non certo imprevedibile, l'ANAS avrebbe dovuto realizzare le necessarie opere di contenimento, dovendo, in difetto, essere ritenuto responsabile. La Corte d'appello, poi, ha riconosciuto che l'ente sarebbe stato da ritenere responsabile del fatto dannoso anche in caso di applicazione dell'art. 2043 cod. civ., perché la colpa del custode è positivamente comprovata dall'inidoneità dei mezzi predisposti il muro di contenimento ad evitare fatti del genere di quello verificatosi”. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Torino propone ricorso l'ANAS, con atto affidato a quattro motivi. Il C. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 cod. civ., nonché del principio degli artt. 14, 24, 30 e 31 del codice della strada. Rileva la società ricorrente che la sentenza non avrebbe considerato che, secondo i citati articoli del codice della strada, l'onere di realizzazione delle opere necessarie a proteggere la sede stradale - e in particolare le ripe - va posto a carico dei proprietari delle aree limitrofe. Nel caso specifico, il masso è caduto da una roccia sovrastante la parete rocciosa da un'altezza di circa 300 metri, il che esclude la sussistenza di quel potere fisico sulla cosa che costituisce il fondamento del potere di custodia di cui all'art. 2051 del codice. 1.1. Il motivo non è fondato. Alla base delle censure ivi contenute, infatti, sta l'affermazione secondo cui, poiché l'obbligo di manutenzione delle ripe sovrastanti o sottostanti rispetto alla sede stradale spetta ai proprietari delle medesime ai sensi degli invocati articoli del codice della strada, ciò determinerebbe, eo ipso , il venir meno della responsabilità dell'ANAS odierno ricorrente. Le argomentazioni del ricorso, apparentemente suggestive, sono in realtà prive di fondamento, alla luce di quanto già affermato da questa Corte nella sentenza 11 novembre 2011, n. 23562, che l'odierno Collegio integralmente condivide. In quella pronuncia, dopo aver richiamato gli orientamenti di fondo sull'applicazione dell'art. 2051 cod. civ. relativamente alla custodia delle strade, si è detto che, essendo funzione primaria dell'ente proprietario della strada quella di garantire la sicurezza della circolazione D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 14 e spettando all'ANAS, tra l'altro, il compito di adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade e sulle autostrade che le sono affidate e in relazione alle quali essa esercita i diritti e i poteri attribuiti all'ente proprietario D.Lgs. 26 febbraio 1994, n. 143, art. 2 , poco importa, in questa sede, stabilire su chi dovesse, in definitiva, gravare il costo economico del risanamento delle sponde laterali, costo del quale segnatamente si occupano il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 30 e 31”. Ciò in quanto l'Ente non poteva consentire la circolazione su un tratto di strada di cui aveva la custodia, senza adottare - o assicurarsi che venissero da altri adottati - i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti e conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio. Tale prospettiva disvela l'assoluta inconsistenza dell'assunto secondo cui, una volta riconosciuta la concorrente responsabilità del titolare del diritto dominicale sul fondo interessato dal fenomeno franoso, l'ANAS doveva essere mandata assolta dalle istanze attrici”. Ed infatti l'inerzia del proprietario nella realizzazione degli interventi idonei a bonificare il terreno adiacente alla strada non elimina di certo quella del proprietario o del concessionario dell'area su cui i massi rocciosi erano, ineluttabilmente, destinati a cadere - e caddero infatti - mettendo a repentaglio quella sicurezza della circolazione che, come testé specificato, costituisce uno dei compiti primari dell'ANAS”. Si tratta, com'è evidente, di una pronuncia che si attaglia perfettamente all'odierna fattispecie e che dimostra l'infondatezza del motivo in esame né può in alcun modo sostenersi l'ipotesi del caso fortuito, poiché - come la Corte d'appello ha correttamente posto in evidenza, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede - la presenza della segnalazione di pericolo, unitamente all'esistenza di un muro di contenimento, dimostra che la caduta dei massi era evento assolutamente prevedibile, che l'ente oggi ricorrente aveva il dovere di fare tutto il possibile per impedire v., in argomento, anche la sentenza 28 settembre 2012, n. 16542 . 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 cod. civ., nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione. Secondo la ricorrente non sarebbe ravvisabile, nella specie, alcuna colpa in capo all'ANAS. In base all'art. 2043 cod. civ., infatti, non è sufficiente affermare che l'evento, cioè la caduta del masso, fosse prevedibile ed evitabile, ma occorre anche provare l'esistenza dell'insidia non visibile e non prevedibile e su questo punto la sentenza sarebbe del tutto carente, per non dire affatto mancante. 2.1. L'esame di questo motivo è assorbito dalla decisione di rigetto di quello precedente. La Corte d'appello, infatti, ha correttamente richiamato, in relazione alla caduta dei massi sulla strada, l'obbligo di custodia gravante sull'ANAS, sicché è evidente che non avrebbe alcun senso occuparsi dei profili della possibile colpa ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., poiché la responsabilità è regolata dall'art. 2051 cod. civ., i cui presupposti, anche in termini di onere della prova, sono completamente diversi sul punto v., tra le altre, la sentenza 20 gennaio 2014, n. 999 . 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione del principio che vieta al giudice di fare ricorso alla propria scienza privata. La costante giurisprudenza riconosce che il ricorso alle nozioni di comune esperienza è un fatto eccezionale, che implica una deroga al principio dispositivo. La Corte d'appello - rilevando che la caduta di un masso di grandi proporzioni è, in montagna, un fatto tutt'altro che eccezionale ed imprevedibile - avrebbe invocato il concetto al di fuori delle ipotesi consentite, poiché calcolare la possibile traiettoria di un masso non costituisce una circostanza rientrante nelle nozioni di comune esperienza. 4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. Nel corso dell'istruttoria era stata svolta anche una c.t.u., le cui conclusioni non sono state tenute in considerazione dalla Corte d'appello. In particolare, accertata l'esistenza di un muro paramassi in quel tratto di strada, il c.t.u. aveva concluso che il masso caduto sulla strada faceva parte di un blocco ben più grande interessato dal crollo e, nella specie, aveva seguito un percorso di caduta particolare, diverso rispetto agli altri. In tale circostanza l'ANAS aveva sottolineato la configurabilità del caso fortuito, con conseguente sussistenza della prova liberatoria ai sensi dell'art. 2051 del codice. 5. Il terzo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente in considerazione della affinità dei problemi in essi posti, sono entrambi privi di fondamento. Essi, infatti, contengono considerazioni attinenti la valutazione delle prove e si risolvono, al di là dalle formali contestazioni, in un evidente tentativo di ottenere da questa Corte un nuovo e non consentito esame del merito. D'altra parte, la Corte d'appello ha dato conto delle ragioni del proprio convincimento con motivazione adeguata e priva di vizi logici, sicché non è prospettabile alcuna censura di vizio di motivazione. 6. Il ricorso, pertanto, è rigettato. Non occorre provvedere sulle spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.