Notizia non vera riportata sul giornale: la “macchia” va risarcita

La perquisizione domiciliare può costituire, al pari delle misure cautelari personali e reali, una macchia” per la reputazione, non scriminata dall’interesse pubblico alla conoscenza della notizia quando la stessa non sia vera, anche se riferita a soggetto sottoposto ad indagini.

E’ quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 17082/14, depositata oggi. Il caso. La società editrice e il direttore responsabile di un quotidiano venivano condannati – in entrambi i giudizi di merito - al risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa - pari a 30mila euro più accessori - in favore di un uomo che era stato indicato come direttamente coinvolto nello scandalo del c.d. lotto truccato. I soccombenti, però, hanno proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione di merito nella parte in cui ha ritenuto mancante il requisito della verità” dei fatti narrati, quale uno dei requisiti della scriminante del diritto di cronaca . Non sussistenza del requisito della verità”. Tuttavia, la S.C. ha confermato la decisione dei colleghi di merito, i quali avevano ritenuto non provata l’effettuazione di perquisizioni domiciliari, riportate nell’articolo come avvenute in danno dell’attore, pure certamente indagato . Secondo i giudici, infatti, l’affermazione non veritiera, anche quanto – come nella fattispecie - alle modalità di svolgimento e alla presenza di persona, ha valenza diffamatoria, atteso che nella pubblica opinione di piccoli centri la reputazione di un indagato, che abbia subito misure cautelari restrittive personali ovvero reali, subisce un pregiudizio, trattandosi di una macchia”, che trova giustificazione nell’interesse pubblico solo se effettivamente subita . Reputazione lesa. I giudici di legittimità, in conclusione, rigettando il ricorso, hanno affermato che non si può dubitare che la perquisizione domiciliare, quale mezzo di ricerca della prova del corpo del reato o di cose pertinenti al reato e come luogo dove possa eseguirsi l’arresto art. 247 c.p.p. , possa costituire, al pari delle misure cautelari personali e reali, una macchia”, usando la terminologia del giudice di merito, per la reputazione, non scriminata dall’interesse pubblico alla conoscenza della notizia quando la stessa non sia vera, anche se riferita a soggetto sottoposto ad indagini .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 maggio – 28 luglio 2014, n. 17082 Presidente Amatucci – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. A.P. convenne in giudizio la società editrice Il Mattino spa e il direttore responsabile P.G. e chiese il risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa. Espose che in un articolo pubblicato sul quotidiano il 2 giugno 1999 era stato indicato come direttamente coinvolto nello scandalo del c.d. lotto truccato. Il Tribunale di Roma accolse la domanda e condannò i convenuti, in solido, al pagamento di 30.000,00 euro, oltre accessori. La Corte di appello di Roma respinse l'impugnazione proposta dai soccombenti sentenza del 24 settembre 2007 . Avverso la suddetta sentenza, la società editrice e il direttore responsabile del quotidiano propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso il P. Entrambe le parti depositano memoria. Motivi della decisione 1. I primi tre motivi, da angolazioni diverse, censurano la decisione di merito nella parte in cui ha ritenuto mancante il requisito della verità dei fatti narrati, quale uno dei requisiti per la configurabilità della scriminante dei diritto di cronaca. 1.1. La Corte di merito, dopo aver precisato che i requisiti - di verità , pertinenza e continenza - richiesti dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso di fatti di cronaca giudiziaria devono riferirsi al momento in cui il fatto è avvenuto, ha ritenuto non sussistente quello della verità . Infatti, secondo il giudice di merito, è rimasta non provata la effettuazione di perquisizioni domiciliari, riportate nell'articolo come avvenute in danno del P., pure certamente indagato. L'affermazione non veritiera, anche quanto alle modalità di svolgimento e alla presenza di persona, ha valenza diffamatoria, secondo il giudice, atteso che nella pubblica opinione di piccoli centri la reputazione di un indagato, che abbia subito misure cautelaci restrittive personali ovvero reali subisce un pregiudizio, trattandosi di una macchia , che trova giustificazione nell'interesse pubblico solo se effettivamente subita. In definitiva, secondo la Corte, l'essere sottoposto ad indagini non giustifica il riferire circostanze processuali non vere. 2. Il primo e terzo motivo sono strettamente connessi. 2.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 21 Cost., 595 e 51 cod. pen., per aver la Corte di merito ritenuto non vera la notizia riferita in ordine alla perquisizione domiciliare e aver rinvenuto il carattere diffamatorio per essere la perquisizione una misura restrittiva reale o personale , stante la diversità tra le previsioni normative. Con il terzo motivo, si deduce contraddittorietà della motivazione per avere la Corte di merito ritenuto il carattere diffamatorio dell'articolo sul falso presupposto che le perquisizioni domiciliari siano misure restrittive reali o personali. 2.2. Le censure sono prive di pregio e vanno rigettate. Nessuno dubita della differenza tra gli istituti processuali penali della perquisizione domiciliare, da un lato, e le misure cautelari, personali e reali, dall'altro. Ma il ricorrente sfrutta l'ambiguità nella argomentazione della Corte di merito, che appare originata da una lacuna sintattica piuttosto che dalla confusione concettuale tra gli istituti diversi, per censurare la sentenza. Al centro della argomentazione del giudice dei merito, infatti, vi è in primo luogo la mancanza di verità in ordine alle perquisizioni domiciliari, essendo pacifico che le stesse non vi sono state e sono state invece riferite nell'articolo giornalistico. Vi è, inoltre, l'assenza della scriminante dei diritto di cronaca quando si riferiscono circostanze processuali non vere, pregiudizievoli per la dignità e l'onore, le quali non possono trovare giustificazione nell'essere il soggetto sottoposto ad indagini. Nel contesto motivazionale in diritto della Corte di merito, è evidente che il riferimento alle misure cautelari, personali e reali, costituisce un termine di equiparazione con la perquisizione domiciliare, per la idoneità delle prime, come della seconda, a ledere la reputazione di qualcuno in piccoli centri abitati. E non si può dubitare che la perquisizione domiciliare, quale mezzo di ricerca della prova del corpo di reato o di cose pertinenti al reato e come luogo dove possa eseguirsi l'arresto art. 247 cod. proc. pen. , possa costituire, al pari delle misure cautelari personali e reali, una macchia , usando la terminologia del giudice di merito, per la reputazione, non scriminata dall'interesse pubblico alla conoscenza della notizia quando la stessa non sia vera, anche se riferita a soggetto sottoposto ad indagini. 3. Con il secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 21 Cost., 595 e 51 cod. pen., e dell'art. 2 della legge n. 69 del 1963. Nel quesito di diritto che conclude il motivo si sostiene la violazione di legge artt. 21 Cost., 595 e 51 cod. pen. per avere il giudice di merito, ai fini del riconoscimento della diffamazione, attribuito valenza determinante alla circostanza che il giornalista aveva riferito una notizia non vera, quale la perquisizione domiciliare, nonostante la stessa non costituisse un dato essenziale, in rapporto alla notizia, vera, dei sequestri subiti e delle indagini della Procura della Repubblica per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. 3.1. Il motivo è inammissibile. I ricorrenti articolano una censura sul carattere non essenziale della mancanza di verità in ordine alla perquisizione domiciliare rispetto alla necessità che, affinché il diritto di cronaca sia scriminato, è sufficiente il rispetto del nucleo essenziale della notizia. Argomentano nel senso che tale nucleo essenziale sarebbe stato rispettato, avendo il giornalista riferito la notizia vera dei sequestri subiti, oltre che delle indagini in corso. Nella parte esplicativa del motivo assumono come pacifica, incontestata, provata e documentata la notizia del provvedimento di sequestro pag. 6 del ricorso , nonché come vera la notizia di indagini bancarie e dei sequestri subiti. La censura resta, nonostante l'apparenza, dei tutto generica. Infatti, è assente ogni preciso richiamo alle risultanze processuali. E gli atti, oltre che genericamente richiamati, non sono riprodotti in ricorso per la parte di interesse. Tanto meno è indicata la loro collocazione negli atti processuali, in totale violazione dell'art. 366, n. 6 cod. proc. civ., con conseguente impossibilità per la Corte di verificare la decisività della censura. 4. Con il quarto motivo si censura la sentenza per omessa motivazione in riferimento ad un punto determinante, costituito dal fatto che nell'articolo si parla in più riprese di indagati , al fine di ritenere sussistente la continenza espositiva dell'articolo, esclusa, invece, dalla Corte di merito. 4.1. Il motivo va rigettato. Se è vero che la Corte di merito non prende in considerazione esplicitamente la circostanza che nell'articolo si faceva riferimento ad indagati, tanto non basta a ritenere la decisività della censura. Il giudice di merito ha escluso la continenza formale e sostanziale. Quanto alla prima, ha messo in evidenza i toni usati, consoni più ai giornali scandalistici che a quelli di cronaca giudiziaria. Quanto alla seconda, ha messo in risalto la perentorietà delle affermazioni e la mancanza delle formule ipotetiche e dubitative, che in un lettore di media diligenza lasciano presumere, non indagini in corso, ma l'accertamento della responsabilità penale. Nel contenuto dell'articolo, secondo il giudice del merito, dai toni sopra le righe e dalle espressioni roboanti e scandalistiche emerge l'affermazione della colpevolezza, più che la sottoposizione alte indagini. In definitiva, implicitamente, il giudice ha ritenuto che il nominalistico riferimento ad t'indagati non bastasse a mettere in evidenza tale stato dei soggetti nominati in presenza del tono di affermazioni che presupponevano, almeno nel lettore medio, la convinzione dell'accertamento della colpevolezza. Trattasi, di valutazione di merito, logicamente e congruamente motivata. 5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.