Gli sforbiciano la siepe, nessuna condanna per lesione della riservatezza se non è l'interessato a richiederla

Rappresenta una violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato – sancito dall'art. 112 c.p.c. - il provvedimento di condanna alla risarcimento del danno per lesione della riservatezza contenuto in una sentenza riguardante una controversia nella quale l'attore s'è limitato a domandare il risarcimento del danno patrimoniale.

Questo, in sintesi, il principio di diritto espresso e ribadito dalla Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 14008 depositata in cancelleria il 19 giugno 2014. La pronuncia testé citata, come vedremo in seguito, contiene altresì alcune utili indicazioni anche queste conformi al consolidato orientamento espresso dai giudici di piazza Cavor sulla corretta applicazione dell'art. 896 c.c. recisione di rami protesi e radici . Il caso. Tizio e Caia nomi chiaramente di fantasia proprietari di un villino in una località balneare, per tutelare la loro riservatezza, decisero di posizionare nel loro giardino una siepe di pitosforo sulla parte adiacente il muretto sormontato da inferriata, che a sua volta faceva da confine con una stradina chiusa che conduceva ad un lido. Sempronio, il proprietario del lido, procedette di sua mano alla potatura integrale della siepe. I proprietari della villetta gli fecero causa lamentando l'azione scorretta di Sempronio e chiedendo il risarcimento del danno patrimoniale subito. Il titolare dello stabilimento balneare si difendeva specificando che nessuna responsabilità poteva essergli addossata in quanto egli s'era permesso di agire in quel modo solamente perché Tizio e Caia non avevano dato seguito alle sue richieste di potatura. La domanda risarcitoria degli attori veniva rigettata in primo grado, mentre nel successivo giudizio di appello Sempronio veniva condannato al risarcimento del danno per violazione dell'art. 896 c.c. La sentenza ha scontentato entrambe le parti Sempronio ha proposto il ricorso principale e Tizio e Caia ricorso incidentale. La richiesta di risarcimento del danno patrimoniale non può portare ad una condanna per lesione del diritto alla riservatezza. Il ricorrente principale lamentava la violazione dell'art. 112 c.p.c. e quindi il mancato rispetto della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La Corte gli ha dato ragione. Secondo la Corte, che ribadisce il proprio consolidato convincimento, è dovere-poter del giudice qualificare correttamente la domanda proposta dalle parti tale potere, è notorio, viene espresso con il brocardo iura novit curia. Il fatto che il giudice, conosciuta la fattispecie, possa inquadrarla nella cornice giuridica più appropriata, non gli dà il potere di riconoscere alle parti qualcosa di diverso da quanto era stato chiesto. In tal senso, afferma la Corte regolatrice, nella pronuncia in esame, che quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, risulta integrato dal giudice di merito il vizio di ultra o extra petizione . Riconoscere l'esistenza di un danno non patrimoniale, quando invece la parte aveva inequivocabilmente domandato la condanna del convenuto al risarcimento del danno patrimoniale rappresenta una di queste ipotesi. Per queste ragioni gli Ermellini hanno ritenuto fondato il ricorso principale anche quello incidentale, tuttavia, è stato ritenuto fondato. Potare la siepe altrui rappresenta un abuso del diritto. Esiste una norma del codice civile, facciamo riferimento all'art. 896, che impone al proprietario di un fondo di tenere gli alberi in modo tale che gli stessi non sconfinino nella proprietà altrui. Se lo sconfinamento riguarda i rami, il proprietario del fondo che subisce l'invasione può ottenere, rivolgendosi ad un giudice, un provvedimento che obblighi il titolare dell'albero a tagliarlo. Se ad addentrarsi nel suo fondo sono le radici, salvo diverse disposizioni dei regolamenti locali, il proprietario di questo può tagliarle. Nel caso di specie la Corte d'appello, nella sentenza impugnata, aveva condannato Sempronio per violazione dell'art. 896 c.c. Tizio e Caia avevano presentato ricorso perché, a loro modo di vedere, il titolare del lido non doveva essere condannato a quel titolo, ma per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c. La Corte gli ha dato ragione. Secondo gli Ermellini, infatti, l'art. 896 c.c. prescrive degli obblighi in capo al titolare di un fondo qualificabili alla stregua di obbligazioni proprter rem e indica i rimedi esperibili dal titolare del fondo confinante. Se quest'ultimo agisce al di fuori di quanto stabilito da questa norma, non viola l'art. 896 c.c. ma commette un abuso di diritto che può essere censurato, secondo l'ordinaria tutela risarcitoria, ai sensi dell'art. 2043 c.c. Tra le altre cose, hanno affermato gli Ermellini, nel caso di specie il proprietario del lido balneare non era nemmeno considerabile proprietario del fondo confinante ai fini dell'applicabilità dell'art. 896 c.c. All'esito del giudizio di Cassazione, quindi, la causa dovrà tornare alla competente Corte d'appello che, molto probabilmente, provvederà a condannare il proprietario del lido per danno patrimoniale discendente da una violazione dell'art. 2043 c.c. Prima di concludere, però, una domanda sorge spontanea perché ricorrere contro una condanna ex art. 896 c.c. per ottenerne un'altra ex art. 2043 c.c.? Non conosciamo gli obiettivi dei ricorrenti, ma possiamo ipotizzare una risposta mostrare acquiescienza verso quella pronuncia significava, sia pur solamente per il futuro legittimare il proprietario del lido ad agire per il taglio delle siepi ai sensi dell'art. 896 c.c. Evidentemente Tizio e Caia, ricorrendo in Cassazione, avranno voluto evitare questo inconveniente.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 febbraio – 19 giugno 2014, n. 14008 Presidente Goldoni – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 4 gennaio 2005 M.G. ed O.E. evocavano, dinanzi al Giudice di pace di Civitavecchia, G.A. esponendo di essere proprietari di un villino in omissis , con giardino, all'interno del quale si trovava una siepe di pitosforo da loro stessi messa a dimora al fine di tutelare la loro riservatezza, sita a ridosso del muretto e dell'inferriata confinanti con un strada chiusa a servizio di uno stabilimento balneare aggiungevano che il giorno G.A. aveva proceduto alla potatura integrale della siepe, per cui chiedevano che lo stesso venisse condannato al risarcimento del danno. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che assumeva la legittimità del suo operato, stante l'inerzia degli attori, ai quali non aveva arrecato alcun danno, il giudice adito, rigettava la domanda attorea ai sensi dell'art. 896 c.c In virtù di rituale appello interposto dai M. -O. , con il quale denunciavano la erronea individuazione della norma applicata alla fattispecie, il Tribunale di Civitavecchia, nella resistenza del G. , in accoglimento del gravame e in riforma della decisione impugnata, accoglieva la domanda attorea e per l'effetto condannava l'appellato al risarcimento dei danni liquidati in Euro 600,00, oltre interessi legali. A sostegno della decisione adottata il tribunale adito evidenziava che l'art. 896 c.c. pur consentendo al vicino di costringere il proprietario dell'albero, i cui rami si protendevano sul proprio fondo, a tagliare i rami in qualunque tempo, escludeva che tale taglio potesse essere posto in essere direttamente dal proprietario del fondo confinante o per suo conto . Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Civitavecchia agisce il G. , sulla base di un unico motivo, cui replicano con controricorso i M. -O. , proponendo anche ricorso incidentale affidato ad un solo motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Motivi della decisione Con il ricorso principale il G. lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione ed extrapetizione avendo il giudice del merito condannato il ricorrente al risarcimento del danno per violazione della riservatezza dei controricorrenti, quantificandone l'entità in via equitativa, senza che detta voce di danno fosse mai stata dedotta dalle parti, le quali si erano limitate a richiedere il risarcimento per il danno patrimoniale subito per il ripristino e/o la sostituzione della siepe di pitosforo. L'illustrazione del mezzo è conclusa dalla formulazione del seguente quesito di diritto È corretto affermare che il danno lamentato dagli appellanti consiste nella distruzione della siepe e non nella lesione del diritto personale alla riservatezza è corretto affermare che il danno del quale gli appellanti hanno chiesto il risarcimento è il danno patrimoniale consistente specificamente nella spesa necessaria per il ripristino della siepe e non il danno da liquidarsi in via equitativa per la lesione del loro diritto alla riservatezza è corretto affermare che la condanna dell'appellato al risarcimento del danno procurato alla riservatezza operata dal giudice di appello costituisce una mutatio sia della causa petendi sia del petitum, risolvendosi nell'attribuzione agli appellanti di un bene petitum diverso da quello reclamato e fondato su un titolo giuridico causa petendi diverso da quello dedotto in giudizio . Il ricorso principale è fondato. Occorre premettere che la violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato si configura quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione petitum e causa petendi , attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito della domanda o delle richieste delle parti. Pertanto, ai fini di stabilire se la sentenza sia incorsa o meno nel denunciato vizio di ultrapetizione, il petitum va determinato alla stregua del complessivo tenore della domanda in modo da accertare la volontà della parte in relazione allo scopo perseguito con l'azione. Risponde a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il giudice di merito ha il potere-dovere di inquadrare nella esatta discipline giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione, potere che peraltro incontra il limite del rispetto dell'ambito delle questioni proposte. Quando pronunzia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, risulta dal giudice del merito integrato il vizio di ultra o extrapetizione v. Cass. 11 gennaio 2011 n. 455 Cass. 20 giugno 2008 n. 16809 Cass. 7 dicembre 2005 n. 26999 . Orbene, dall'esame dall'atto di citazione in primo grado emerge che nel caso i M. - O. hanno chiesto il risarcimento dei danni tutti causati agli attori e quantificati in Euro 1.960,00 così come portati dal preventivo di ripristino della siepe versato in atti , domanda successivamente in tali termini ribadita nell'instare per la condanna di controparte al risarcimento dei danni subiti dagli attori, per le causali esposte in narrativa, nella misura complessiva indicata ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia . . Il tenore di detta domanda e la corrispondenza, in particolare, dell'ammontare del risarcimento richiesto con l'importo indicato nel preventivo prodotto dagli stessi attori depongono senz'altro nel senso della relativa limitazione al ristoro del mero danno patrimoniale sofferto in conseguenza della necessità del ripristino della siepe de qua e non già, come viceversa affermato nell'impugnata sentenza, per il risarcimento del danno che attiene alla violazione della propria riservatezza . effettivamente sussistente stante l'ampiezza dell'opera di potatura , laddove ha agli originari attori ed appellanti riconosciuto il risarcimento dei danni liquidati in via equitativa per sola detta voce di danno. Il giudice del gravame ha allora effettivamente ai medesimi attribuito un bene non richiesto, o emesso una statuizione comunque non trovante corrispondenza nella domanda dagli stessi originariamente formulata, non potendo, in presenza della sopra riportata espressa richiesta di ristoro del danno patrimoniale, consistente nel ripristino della siepe , ritenersi ricompresi tutti i danni, di natura patrimoniale e non. Né può, invero, in contrario valorizzarsi l'espressione ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia , giacché la medesima non può altrimenti intendersi che riferita al tipo di danno - appunto ripristino della siepe - oggetto della domanda di ristoro in argomento. Emerge evidente, a tale stregua, come il giudice dell'appello abbia allora nell'impugnata sentenza in effetti disatteso, come lamentato dal ricorrente G. , il suindicato principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato posto all'art. 112 c.p.c. Passando all'esame del ricorso incidentale condizionato, il quale denuncia erronea applicazione alla fattispecie dell'art. 896 c.p.c., anziché dell'arit. 2043 c.c. ai fini della tutela risarcitoria conseguente alla recisione di rami di alberi altrui, non rivestendo il ricorrente principale alcuna qualifica specifica, né di locatario né di proprietario della stradina interposta come distacco tra la proprietà dei controricorrenti e lo stabilimento balneare finitimo, a conclusione pone il seguente quesito di diritto Se è vero che l'art. 896 cc legittima unicamente colui che ha un rapporto diretto di godimento del fondo, o comunque di disponibilità dello stesso e pretendere dal proprietario dell'albero posto sul fondo vicino ed i cui rami si protendono sulla sua proprietà, la recisione degli stessi. Se è vero che l'art. 896 c.c. autorizza il proprietario del fondo nel quale si protendono i rami della pianta del vicino unicamente a chiedere la recisione ma non a tagliarli direttamente . Parimenti è da accogliere il ricorso incidentale. Ed invero, è stato più volte chiarito da questa Corte che l'obbligo di consentire l'accesso o il passaggio sul proprio fondo, per le ragioni normativamente specificate dall'art. 843 c.c., si raffigura come una obbligazione ob rem o propter rem, e, quindi, nel caso di diniego di quel consenso, non può aver luogo alcuna tutela possessoria, che postula una relazione materiale con la cosa, corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale v. Cass. n. 10474 del 1998 Cass. n. 7694 del 1997 Cass. n. 2274 del 1995 Cass. n. 1578 del 1987 . In ordine, poi, agli argomenti desumibili dall'interpretazione dell'art. 896 c.c., si osserva che, così come più volte ritenuto da questa Corte Cass. n. 2555 del 18 aprile 1980 Cass. n. 3062 del 10 ottobre 1958 Cass. n. 617 del 24 aprile 1947 , la possibilità, per il proprietario del fondo vicino, di costringere in qualunque tempo il proprietario del fondo in cui l'albero è impiantato a recidere i rami pendenti, costituisce tutela della proprietà individuale, per cui il proprietario del fondo ha diritto di ottenere dal giudice ordinario la recisione dei rami del vicino che si protendono nella sua proprietà, restando comunque assicurati a protezione del paesaggio i rimedi, da chiunque azionabili, previsti dalla legislazione di settore per la tutela del paesaggio. Se,dunque, tale limite non venga rispettato, il comportamento del dominus non può che rilevare sotto il profilo dell'abuso del diritto, in conseguenza del quale nasce immediatamente a suo carico un obbligo di rimozione, che incombe sul dominus non in quanto tale, ma quale autore di un illecito extracontrattuale art. 2043 c.c. . Assume pertanto funzione specificamente risarcitoria reintegrazione in forma specifica, ex art. 2058 c.c., salvo il maggior danno, risarcibile a norma dell'art. 1556 c.c., in relazione all'art. 1223 c.c. . Secondo questa Corte Cass. 9 giugno 2008, n. 15236 , inoltre, in base all'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 892, 893 e 894 c.c., il proprietario del fondo può chiedere l'estirpazione degli alberi posti nel fondo del vicino a distanza minore di quella di legge, a prescindere dalla valutazione dell'esistenza di un'effettiva turbativa la finalità delle citate norme, infatti, è quella di salvaguardare il fondo in sé, indipendentemente dalle sue particolari caratteristiche o esigenze, sicché il compito del giudice di merito è limitato alla verifica del rispetto della distanza prescritta, senza doversi estendere a indagare la concreta esistenza del danno derivante dall'invasione delle radici e dei rami altrui Corte Cost. n. 54 del 1994 e Cass. n. 14445 del 1999 . Orbene, la sentenza impugnata non è in linea con i suddetti principi, avendo riconosciuto il diritto al risarcimento del danno dei ricorrenti incidentali sulla base di un'interpretazione dell'art. 896 c.c. che oltre a prescindere dall'accertamento dei presupposti per la sua applicazione dovendo riguardare le sole controversie insorte fra proprietari di fondi finitimi , non tiene conto della natura extracontrattuale della responsabilità conseguente all'abuso del diritto. Conclusivamente, quindi, per le ragioni esposte, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno accolti, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata. Il giudice del rinvio, designato nel Tribunale di Civitavecchia, in persona di diverso magistrato, provvederà ad un nuovo esame del merito, facendo applicazione dei principi innanzi enunciati e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso principale e quello incidentale cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Civitavecchia, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di Cassazione.