Non è responsabile il Comune per il mancato rilascio del certificato di agibilità, se il privato non assolve agli obblighi gravanti sullo stesso

In tema di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, l'accertata illegittimità della condotta della P.A. o di suoi organi, derivante dal ritardo, dall'inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento, che si traducono nella violazione dell'obbligo di portarlo comunque a compimento in modo favorevole o sfavorevole per l'istante , non è sufficiente ai fini della responsabilità aquiliana, occorrendo altresì che risulti danneggiato l'interesse al bene della vita al quale è correlato l'interesse legittimo dell'istante, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo.

Lo ribadisce si tratta infatti di un principio consolidato la Terza sezione Civile della Cassazione nella sentenza n. 3431 del 14 febbraio 2014. Il caso. Un privato aveva promesso a terzi, stipulando due preliminari poi rimasti senza seguito, un immobile destinato a sala cinematografica con bar e pasticceria. Il motivo della mancata conclusione, secondo la prospettazione del promittente venditore, del trasferimento era stato il mancato rilascio, da parte del comune, del certificato di agibilità, che avrebbe anche dovuto essere preceduto dal cambio di destinazione d'uso. Su queste basi aveva avanzato richiesta risarcitoria nei confronti del comune, domanda che non veniva accolta né in primo grado né nel successivo giudizio d'appello. In particolare, per quel che risulta dalla lettura della sentenza del giudizio di cassazione, la corte d'appello aveva ritenuto che nel caso di specie il privato non aveva adempiuto alla condizione richiesta affinché sia anche astrattamente configurabile una responsabilità della pubblica amministrazione, ovvero non aveva posto in essere gli adempimenti impostigli dalla legge. Inoltre, secondo i giudici di secondo grado, il privato non aveva fornito prova del danno concretamente subito. Veniva quindi proposto il ricorso per cassazione, assegnato alla Terza Sezione. Non sussiste responsabilità in re ipsa da ritardo della P.A. Gli ermellini confermano la sentenza della corte d'appello. Viene ribadito, cioè, che quand'anche fosse stata accertata l'illegittimità compiuta dal comune, nel senso di aver ritardato o del tutto non compiuto il procedimento amministrativo e a prescindere dall'esito dello stesso , è necessario altresì l'accertamento, con giudizio prognostico, del danno cagionato al soggetto. Sarebbe spettato al ricorrente allegare e provare di essere stato titolare di una situazione soggettiva tale che gli sarebbe spettato il provvedimento amministrativo richiesto e che il mancato rilascio sia imputabile esclusivamente al comportamento colpevolmente dilatorio od omissivo dell'ente pubblico . Non solo. Avrebbe dovuto anche fornire gli argomenti per accertare che, sempre secondo un giudizio inevitabilmente prognostico, se il comune avesse agito con diligenza e secondo i canoni della migliore amministrazione pubblica egli, promittente venditore, avrebbe ottenuto quanto asseritamente richiesto. Richiamare i documenti prodotti nei giudizi di merito non è sufficiente. Da segnalare anche il richiamo relativo al mero riporto dell'indice del fascicolo di appello e dei documenti prodotti. Se tale richiamo serve per dare conto della produzione di tali documenti, non è però sufficiente, dice la Corte, per portarli all'attenzione della corte secondo il noto principio dell'autosufficienza del ricorso, si veda per tutte Cass. n. 1593/2013 .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 dicembre 2013 14 febbraio 2014, numero 3431 Presidente Russo – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1. Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 2 ottobre 2007, la Corte d'Appello di Catania ha rigettato l'appello proposto da M.G. nei confronti del Comune di Tremestieri Etneo avverso la sentenza del Tribunale di Catania del 29 giugno 2002. Con questa sentenza era stata rigettata la domanda del M. diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per il mancato rilascio del certificato di agibilità, previa autorizzazione al cambio di destinazione d'uso, di un immobile destinato a sala cinematografica con bar e pasticceria , che egli aveva promesso in vendita a terzi con due preliminari, rimasti inadempiuti, secondo l'attore, a causa del comportamento del Comune. 2. Proposto appello da parte del M. , la Corte d'Appello ha, come detto, rigettato il gravame, ritenendo, in primo luogo, che nei confronti della pubblica amministrazione sia configurabile il danno da ritardo nell'adozione di un provvedimento favorevole per il privato a condizione che quest'ultimo abbia assolto agli obblighi allo stesso imposti dalla legge e che, nel caso di specie, il provvedimento richiesto dal M. non avrebbe potuto essere emanato non avendo l'attore posto in essere i vari adempimenti prescritti dalla legge ”, sicché, in mancanza di questi, nessun colpevole ritardo può essere addebitato al Comune ”. In secondo luogo, ha ritenuto che l'appellante non avesse dato prova del danno concretamente subito, non essendo all'uopo sufficienti i contratti preliminari prodotti in giudizio trattandosi di scritture formate da una delle parti e da un terzo e quindi liberamente apprezzabili dal giudice solo in concorso con altre circostanze e non essendo ammissibile a parere della Corte la prova testimoniale richiesta dall'appellante. La Corte d'Appello ha perciò confermato la sentenza di rigetto del Tribunale, condannando l'appellante al pagamento delle spese del grado. 3. Avverso la sentenza M.G. propone ricorso affidato a due motivi. Il Comune di Tremestieri Etneo si difende con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. Col primo motivo di ricorso si prospettano due vizi distinti, denunciati rispettivamente ai sensi del numero 3 e del numero 5 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ Col primo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043 segg., 2697 segg. cod. civ. in relazione all'art. 346 e all'art. 112 c.p.c. ”. Il ricorrente censura la decisione della Corte d'Appello per aver mandato esente da responsabilità l'amministrazione comunale ritenendo non addebitabile alla medesima il ritardo nel rilascio dell'autorizzazione al mutamento di destinazione d'uso dell'immobile a causa del comportamento dell'istante, che, secondo la Corte, non avrebbe adempiuto agli obblighi su di lui gravanti. Il ricorrente deduce che l'”eccezione” di non addebitabilità al Comune del ritardo nel rilascio del provvedimento amministrativo, che pure era stata proposta dal Comune di Tremestieri Etneo in primo grado, non sarebbe stata riproposta in appello ai sensi dell'art. 346 cod. proc. civ. e quindi la Corte territoriale non avrebbe potuto esaminarla d'ufficio, se non violando appunto quest'ultima norma e l'art. 112 cod. proc. civ 1.1. Il motivo è infondato. Va ribadito il principio per il quale, in tema di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, l'accertata illegittimità della condotta della P.A. o di suo organi, derivante dal ritardo, dall'inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento, che si traducono nella violazione dell'obbligo di portarlo comunque a compimento in modo favorevole o sfavorevole per l'istante , non è sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità aquiliana, occorrendo altresì che risulti danneggiato l'interesse al bene della vita al quale è correlato l'interesse legittimo dell'istante, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo. In riferimento al rilascio di una concessione edilizia, l'accertamento di tale interesse implica un giudizio prognostico sulla fondatezza dell'istanza, da condursi in riferimento alla normativa di settore ed agli elementi offerti dall'istante, onde stabilire se costui fosse titolare di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento così Cass. numero 12455/08 cfr. anche Cass. numero 21170/11 . Pertanto, spetta all'istante, che si assume danneggiato dalla p.a., dimostrare di essere stato titolare di una situazione soggettiva tale che gli sarebbe spettato il provvedimento amministrativo richiesto e che il mancato rilascio, dal quale sostiene gli siano derivati i danni di cui chiede il risarcimento, sia imputabile esclusivamente al comportamento colpevolmente dilatorio od omissivo dell'ente pubblico, tale che, se invece quest'ultimo avesse agito con diligenza e nell'osservanza delle norme che regolano l'azione amministrativa, avrebbe conseguito quanto richiesto. A fronte dell'onere della prova così gravante sull'attore, rientra nell'attività difensiva della p.a. convenuta la deduzione della mancanza in capo a quest'ultimo di un interesse legittimo a carattere pretensivo tutelabile, per non avere lo stesso fatto tutto quanto a lui richiesto per ottenere il provvedimento amministrativo preteso. Trattandosi di una mera difesa, trova applicazione il principio per il quale le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell'art. 345, comma secondo, cod. proc. civ. o quelle da riproporre ai sensi dell'art. 346 cod. proc. civ. per evitare la presunzione di rinuncia prevista da questa norma , sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero non rilevabili d'ufficio , e non, indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d'ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni in senso lato o improprie Cass. numero 11774/07, numero 11015/11 ed altre . 1.2. Alla medesima conclusione si dovrebbe peraltro pervenire ove si ritenesse soltanto il concorso del fatto colposo del danneggiato ai sensi dell'art. 1227, comma primo, cod. civ., poiché tale ipotesi configura non un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, che deve essere esaminata, anche, d'ufficio, dal giudice, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile sul piano causale -la colpa concorrente dello stesso danneggiato Cass. numero 15382/06, numero 12714/10 . La conseguenza è che anche il giudice d'appello può valutare d'ufficio detto concorso di colpa, pure nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare in toto la propria responsabilità Cass. numero 6529/11, nonché Cass. S.U. numero 13902/13 . 1.3. Ne segue che, nel caso di specie, il giudice d'appello doveva delibare il comportamento della parte privata, tenendo conto di tutti gli elementi offerti sia da quest'ultima che dalla controparte. In particolare, rientrava nel thema decidendi del giudizio di gravame la verifica d'ufficio della situazione soggettiva che si assumeva lesa, dovendosi allo scopo considerare non solo le allegazioni dell'attore appellante ma anche le difese del Comune di Tremestieri Etneo vale a dire, le difese già svolte in primo grado ma da reputarsi richiamate in appello con la ricostruzione dell'iter amministrativo che era seguito all'istanza di rilascio dell'autorizzazione al cambio di destinazione d'uso e con l'indicazione degli adempimenti richiesti all'istante in particolare, versamento dell'oblazione dovuta ai sensi dell'art. 13 della legge regionale 37/85 e presentazione della scheda relativa alla determinazione del contributo per oneri e costo di costruzione , la cui mancata esecuzione, secondo lo stesso Comune, aveva comportato l'esito sfavorevole del procedimento. Il Comune non aveva alcun onere processuale di riproposizione della questione ai sensi dell'art. 346 cod. proc. civ., poiché non si trattava di un'eccezione, tale che, in mancanza di esplicita riproposizione, si potesse ritenere rinunciata e perciò non esaminabile d'ufficio da parte del giudice di secondo grado. La Corte d'Appello non ha violato tale ultima norma, né quella dell'art. 112 cod. proc. civ., nel valutare, in sede di gravame, la condotta tenuta dal danneggiato nel contesto dell'iter amministrativo volto ad ottenere l'autorizzazione al cambio di destinazione d'uso. Non sussiste nemmeno la violazione degli altri articoli di legge indicati in rubrica con riferimento alle conclusioni raggiunte all'esito di detta valutazione. Ed, invero, una volta accertato, in punto di fatto, il mancato adempimento da parte del M. di obblighi su di lui incombenti e propedeutici al rilascio dell'autorizzazione al cambio di destinazione d'uso, la Corte d'Appello non avrebbe potuto concludere se non nel senso della mancanza di ogni responsabilità in capo al Comune per essere stato il comportamento del danneggiato ostativo al rilascio dell'autorizzazione. 2. In effetti, anche l'accertamento in fatto di cui si è appena detto è stato censurato dal ricorrente. Col primo motivo di ricorso il M. ha dedotto, oltre al vizio di violazione di legge, il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 numero 5 cod. proc. civ La censura ai sensi di quest'ultima norma è tuttavia inammissibile. Il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell'art. 366 bis cod. proc. civ. inserito dall'art. 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2006 numero 40, ed abrogato dall'art. 47, comma 1, lett. d, della legge 18 giugno 2009 numero 69 , applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata 2 ottobre 2007 . Quando venga denunciato il vizio di omessa contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, è necessario che il ricorso contenga il c.d. quesito di fatto, o momento di sintesi, richiesto dalla norma dell'art. 366 bis, seconda parte, cod. proc. civ., così come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, che qui si ribadisce cfr. Cass. S.U. numero 20603/07, secondo cui, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l'art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall'art. 360 numero 5 cod. proc. civ., l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità nello stesso senso, tra le altre, Cass. numero 24255/11 . Nel caso di specie, il quesito formulato dal ricorrente alle pagine 13-14 del ricorso, con riguardo al primo motivo, sembra comprendere, in un'unica proposizione, il quesito di diritto riferito al vizio di violazione di legge ed il c.d. quesito di fatto riferito al vizio di motivazione. Quest'ultimo è espresso nei seguenti termini . la eccezione di non imputabilità del comportamento illecito sollevata dalla P.A non può essere esaminata d'ufficio dal giudice, il quale peraltro è tenuto a motivare indicando specificamente quali adempimenti il privato avrebbe dovuto porre in essere per consentire alla amministrazione di procedere regolarmente ad esaminare i provvedimenti richiesti, per poi accertare se la correlativa prova sia stata fornita e ciò nel caso che tale omissione venga ricondotta all'ambito della responsabilità sia contrattuale sia extracontrattuale”. Il collegio ritiene che, anche a voler prescindere dal profilo di inammissibilità dovuto alla confusione, in un unico quesito, dei profili attinenti ai due distinti vizi di violazione di legge e di insufficiente motivazione, la seconda parte del quesito sopra riportata non integri il momento di sintesi idoneo, ai sensi dell'art. 366 bis, seconda parte, cod. proc. civ. come sopra interpretato, a circoscrivere i limiti della censura, vale a dire ad individuare con precisione il fatto controverso e decisivo per il giudizio sul quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria o le ragioni per le quali risulta insufficiente, avuto riguardo al tenore della sentenza impugnata ed ai profili di critica del ricorrente. Ed invero, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, richiamata anche nella memoria del ricorrente, per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base Cass. numero 5473/06, tra le altre nonché, da ultimo, Cass. numero 18368/13 . Nel caso di specie, la circostanza trascurata” dalla Corte d'Appello, quindi il punto controverso e decisivo per il giudizio su cui potrebbe rilevare il vizio di motivazione, non è secondo quanto si sostiene nella memoria di parte ricorrente l'omessa indicazione da parte del giudice senza alcuna ulteriore specificazione degli adempimenti prescritti dalla legge che l'attore non avrebbe posto in essere, ma piuttosto l'individuazione degli adempimenti che questi afferma di avere compiuto e che, nella sua prospettazione, sarebbero stati sufficienti al rilascio della richiesta autorizzazione, ma che il giudice avrebbe, appunto, trascurato. Ed invero, sebbene la motivazione della sentenza impugnata sia piuttosto sintetica, essa va letta in riferimento agli argomenti spesi dalle parti nel corso del giudizio, dovendo qui essere ribadito che ai fini dell'adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dagli artt. 132, secondo comma, numero 4, 115 e 116 cod. proc. civ., è necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve dar conto dell'esito dell'esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite Cass. numero 5241/11 . Pertanto, avendo il Comune dedotto, in particolare, che il M. non aveva versato l'importo dell'oblazione dovuta ai sensi dell'art. 13 della legge regionale numero 37/85 e non aveva presentato la scheda relativa alla determinazione del contributo per oneri e costo di costruzione, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre, al fine di censurare la motivazione implicitamente riferita al mancato adempimento di questi obblighi, che la Corte di merito aveva trascurato di considerare documenti o atti o elementi di fatto tali da far ritenere, al contrario, che vi fosse stato l'adempimento ovvero che esso non fosse necessario ai fini del rilascio della prescritta autorizzazione. Nemmeno un cenno a siffatti elementi vi è nel quesito c.d. di fatto. 2.1. D'altronde, l'inadeguata formulazione del quesito c.d. di fatto è riflesso di altro profilo di inammissibilità della stessa censura. Il ricorrente si è limitato, nell'illustrazione del motivo, a richiamare i documenti prodotti nel corso del giudizio, che, a suo dire, smentirebbero totalmente” l'affermazione della sentenza impugnata circa la sua colpevole inerzia ed, allo scopo, ha riportato l'indice del fascicolo d'appello. Orbene, sia le deduzioni che tale ultima elencazione sono atte a dar conto dell'avvenuta produzione dei documenti, ma non consentono di riscontrarne la decisività, ai sensi e per gli effetti dell'art. 360 numero 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis . In particolare, non emerge dal motivo del ricorso che i documenti indicati dal ricorrente fossero esattamente quelli sulla cui mancanza il Comune aveva fondato le proprie difese e la Corte d'Appello ha ritenuto infondata la pretesa del M. vale a dire che è rimasta mera asserzione del ricorrente quella per la quale se i detti documenti fossero stati considerati dalla Corte questa sarebbe dovuta pervenire a diversa conclusione. Pertanto, il primo motivo di ricorso, infondato quanto al primo profilo di censura ed inammissibile quanto al secondo, va rigettato. 3. Il rigetto del primo motivo, concernente la sussistenza della condotta colposa imputabile alla pubblica amministrazione, quale causa dei danni lamentati dal ricorrente, comporta l'assorbimento del secondo, concernente la sussistenza di questi danni. La peculiarità della vicenda oggetto di causa induce a ritenere che vi siano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione ai sensi dell'art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., nel testo vigente prima delle modifiche apportate con le leggi numero 263 del 2005 e numero 69 del 2009. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo compensa le spese del giudizio di cassazione.