Il locatore non occupa l'immobile entro 6 mesi dal rilascio? Il conduttore ha diritto al risarcimento

Le sanzioni ex art. 31, l. 392/1978 previste a carico del locatore che, dopo aver ottenuto il rilascio non adibisce l’immobile all’uso in vista del quale ha riottenuto la disponibilità, si basano su presunzione iuris tantum, come tale suscettibile di prova contraria e configurano una forma di responsabilità per inadempimento.

Ne consegue che esse non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell'immobile sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso. L'onere del superamento di tal presunzione grava sul locatore, cui spetta dimostrare l' esistenza a suo favore di una giusta causa, meritevole di tutela, che abbia impedito o ritardato l' utilizzo della res locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio dal titolo giudiziale, cui è stata data esecuzione. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 28469 del 19 dicembre 2013. Il fatto. Dopo aver effettuato rilascio dell'immobile locato per presunte esigenze abitative del figlio del locatore, un ex conduttore, cita in giudizio quest’ultimo, per vedersi riconosciuto il risarcimento del danno, stante il mancato rispetto della suddetta destinazione nei sei mesi dal rilascio. Il Tribunale accoglie la domanda sulla base delle risultanze emerse in fase istruttoria dal certificato di residenza e dalle intestazioni delle utenze emerge, infatti, che il figlio del locatore non aveva ancora provveduto ad occupare l'immobile al momento dell'introduzione del giudizio, essendosi limitato il convenuto a dedurre che la mancata utilizzazione dell’immobile sarebbe stata attribuibile alla realizzazione delle necessarie opere di ristrutturazione, protrattesi fino a circa due o tre anni prima dell’inizio del processo. La sentenza di primo grado è confermata dal giudice di appello, che ribadisce che non può considerarsi giusta causa” la mancata utilizzazione dell'immobile, da parte del locatore, dovuta al protrarsi dei lavori di ristrutturazione. Avverso la decisione il locatore propone ricorso per Cassazione lamentando l’erronea applicazione dell'art. 31, l. 392/78. In particolare, avendo richiesto, nel termine di sei mesi dal rilascio dell’immobile, le autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione, ritiene di aver superato, rispettando il dettato legislativo, la presunzione iuris tantum, su cui si fonda la suddetta disposizione. Gli ermellini osservano come la richiesta di rilascio sia stata ab origine formulata dal locatore affinchè lo stesso fosse occupato dal proprio figlio art. 29, comma 1, lett. a , l. 392/78 , e non, come in corso di giudizio è stato sostenuto, per la diversa ipotesi di ristrutturazione art. 29, comma 1, lett. d , l. 392/78 . Le sanzioni si basano su presunzione iuris tantum e configurano una forma di responsabilità per inadempimento . La Corte ribadisce che, secondo costante orientamento, le sanzioni ex art. 31, l. 392/78 non sono connesse ad un criterio di responsabilità oggettiva, o secondo una presunzione assoluta di colpa, bensì sulla base di una presunzione iuris tantum' come tale suscettibile di prova contraria sentenze l6 gennaio 1997 n. 318, 18 maggio 2000 n. 6462, 14 dicembre 2004 n. 23296 e 19 maggio 2011 n. 11014 . Tali sanzioni, secondo la citata giurisprudenza, configurano una forma di responsabilità per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli artt. 1175 e 1218 c.c. con la conseguenza che esse non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell'immobile medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso. È altrettanto pacifico, però, che l'onere del superamento di tal presunzione grava sul locatore, cui spetta dimostrare l' esistenza a suo favore di una giusta causa meritevole di tutela, che abbia impedito o ritardato l' utilizzo della res locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio dal titolo giudiziale, cui è stata data esecuzione così sentenza n. 6462/2000 cit. . Il locatore ha fornito la prova della giusta causa? La Suprema Corte afferma che il ricorrente non ha fornito alcuna prova circa la sussistenza di una giusta causa”, limitandosi a sostenere un’interpretazione fantasiosa della normativa, secondo la quale la previsione dell'art 31 non sarebbe applicabile ove il locatore dimostri di avere, entro il termine di sei mesi dal rilascio, richiesto alle competenti autorità le autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei lavori finalizzati a rendere l' immobile adatto alle esigenze abitative del figlio. Gli ermellini evidenziano che l'accertamento compiuto dalla Corte territoriale esclude in modo pacifico che il locatore abbia fornito una qualche prova tale da giustificare la mancata applicazione dell'art. 31 egli da un lato, infatti, ha affermato che le opere di ristrutturazione si sarebbero protratte fino a due o tre anni prima della proposizione dell'azione giudiziaria dall'altro lato chiarisce che il rilascio dell'immobile da parte del conduttore era avvenuto nel 1994 mentre il giudizio era stato introdotto nel 2000, ovvero oltre 6 anni dopo. La Corte conclude che ove pure i lavori si fossero protratti fino a due o tre anni prima, il locatore non avrebbe ugualmente dimostrato di aver rispettato il termine semestrale de quo .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 novembre - 19 dicembre 2013, n. 28469 Presidente Massera – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. M.C.M. , proprietario di un appartamento da lui locato a B.P. e dal medesimo utilizzato come studio legale, otteneva dal Pretore di Parma, con sentenza poi confermata dal Tribunale della medesima città, il rilascio dell'immobile siccome destinato ad abitazione del figlio del M. . Alcuni anni dopo il B. , sul rilievo che l'unità immobiliare non era stata destinata in conformità al titolo per il quale ne era stata ottenuta la disponibilità, ricorreva al Tribunale di Parma, ai sensi dell'art. 31 della legge 27 luglio 1978, n. 392, chiedendo il risarcimento del relativo danno. Il Tribunale accoglieva la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 21 marzo 2007. Osservava la Corte territoriale che le prove raccolte dimostravano, alla luce delle norme in tema di prova per presunzioni, che al momento della proposizione del ricorso del B. il figlio del locatore M. non abitava ancora nell'immobile, il che si poteva desumere dal certificato anagrafico, dalla intestazione delle utenze e dalla mancanza di ogni prova contraria. E, d'altra parte, non aveva alcun rilievo il fatto che - come asseriva il M. - i lavori si fossero protratti fino a circa due o tre anni prima dell'introduzione del giudizio, perché ciò, al contrario, costituiva dimostrazione del fatto che l'esecuzione dei lavori non poteva considerarsi giusta causa della mancata utilizzazione. 2. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna propone ricorso M.C.M. , con atto affidato ad un unico motivo. Resiste P B. con controricorso. Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione 1. Con l'unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 31, primo comma, della legge n. 392 del 1978. Rileva il ricorrente che l'immobile in questione non era idoneo, nell'immediato, all'uso di abitazione, essendo necessari importanti lavori di ristrutturazione. L'intero edificio, inoltre, è soggetto al vincolo di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, sicché nessuna modificazione poteva avere luogo senza l'autorizzazione della competente Autorità. Ne consegue che non sarebbe invocabile l'art. 31 della legge n. 392 del 1978, perché entro il termine di sei mesi fissato da detta norma era stato presentato il relativo progetto alla Sovrintendenza dei beni ambientali della Regione e, una volta terminati i lavori, l'appartamento è stato immediatamente occupato dal figlio del M. . Pertanto, fermo restando che la sanzione di cui all'art. 31 si fonda su di una presunzione iuris tantum e non regola un'ipotesi di responsabilità oggettiva, la Corte di merito avrebbe errato nell'applicare tale norma, poiché nel caso in esame il locatore ha rispettato il dettato legislativo, avendo richiesto nel termine di sei mesi il rilascio delle autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione dell'immobile. 2. Il motivo non è fondato. Occorre innanzitutto rilevare che la Corte d'appello ha precisato che nel caso di specie il M. aveva ottenuto la restituzione dell'immobile in base alla previsione di cui all'art. 29, primo comma, lettera a , della legge n. 392 del 1978, siccome destinato ad abitazione del proprio figlio, e non in previsione dell'ipotesi di ristrutturazione di cui alla lettera d del medesimo art. 29. Tale particolare assume uno speciale rilievo in considerazione delle censure contenute nell'odierno ricorso e formalizzate nei due quesiti formulati alle pagine 9 e 10 dello stesso. Ora, è esatto - secondo quanto il ricorrente afferma - che la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che le sanzioni previste dall'art. 31 della legge n. 392 del 1978 non sono connesse ad un criterio di responsabilità oggettiva, o secondo una presunzione assoluta di colpa, bensì sulla base di una presunzione iuris tantum , come tale suscettibile di prova contraria sentenze 16 gennaio 1997, n. 391, 18 maggio 2000, n. 6462, 14 dicembre 2004, n. 23296, e 19 maggio 2011, n. 11014 . Tali sanzioni, secondo la citata giurisprudenza, configurano una forma di responsabilità per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli artt. 1176 e 1218 cod. civ. con la conseguenza che esse non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell'immobile medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso. È altrettanto pacifico, però, che l'onere del superamento di tale presunzione grava sul locatore, cui spetta dimostrare l'esistenza a suo favore di una giusta causa, meritevole di tutela, che abbia impedito o ritardato l'utilizzo della res locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio dal titolo giudiziale, cui è stata data esecuzione così la sentenza n. 6462 del 2000 cit. . 3. Nella specie, nulla di ciò è stato dimostrato dal M. . Egli tenta, nel ricorso, di sostenere la tesi - sulla quale formula il primo dei due quesiti di diritto - secondo cui la previsione dell'art. 31 non dovrebbe trovare applicazione ove il locatore dimostri di avere, entro il termine di sei mesi ivi indicato, richiesto alle competenti autorità le autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei lavori finalizzati a rendere 1'immobile adatto alle esigenze abitative del proprio figlio. Ora, a prescindere dal carattere evidentemente fantasioso di tale ricostruzione del sistema, la pretesa del ricorrente è smentita, in punto di fatto, dalle argomentazioni corrette e convincenti della sentenza impugnata. La Corte bolognese, infatti, ha accertato che al momento di proposizione del ricorso il figlio del locatore non risultava ancora abitare nell'immobile, come univocamente desumibile dal certificato anagrafico e dall'intestazione delle utenze, oltreché dalla mancanza di qualsiasi emergenza probatoria” di segno contrario ed ha giustamente ritenuto del tutto irrilevante la circostanza, addotta dal M. , per cui i lavori di restauro dell'immobile si erano protratti fino a due o tre anni prima”. Poiché, infatti, lo stesso ricorrente chiarisce p. 6 del ricorso che il rilascio dell'immobile da parte del B. era avvenuto in data 12 febbraio 1994, mentre l'odierno giudizio è stato introdotto il 31 maggio 2000, ossia oltre sei anni dopo, è evidente che, ove pure i lavori si fossero protratti fino a due o tre anni prima, il locatore non avrebbe ugualmente dimostrato di aver rispettato il termine semestrale di cui all'art. 31 della legge n. 392 del 1978. Ne consegue che l'accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale esclude in modo pacifico - senza sostanziali contestazioni sul punto - che il M. abbia fornito una qualche prova tale da giustificare la mancata applicazione dell'art. 31 della legge n. 392 del 1978. 4. Il ricorso, quindi, è rigettato. A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge.