Complicazioni prima del parto: grava sull’attore l’onere di provare l’esistenza di un’inadempienza astrattamente efficiente alla produzione del danno…

Nelle cause di responsabilità professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre l’esistenza di una inadempienza, per così dire, vestita, astrattamente efficiente cioè alla produzione del danno, di talché solo quando lo sforzo probatorio dell’attore consenta di ritenere dimostrato il contratto o contratto sociale e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, con l’allegazione di quantificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, scatterà l’onere del convenuto di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del danno.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 27855, depositata il 12 dicembre 2013. Tra i temi trattati in sentenza vi è quello relativo all’imputabilità della responsabilità in capo al medico operante in una struttura sanitaria. In particolare, i Giudici di legittimità analizzano l’art. 1218 c.c. a norma del quale il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Pertanto, gli Ermellini, recependo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ritengono che quando l’attore ometta di allegare, prima ancora che di provare, qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, il medico chiamato a rispondere dell’evento lesivo non può essere considerato responsabile dell’evento stesso. Il fatto. La controversia trae origine dalla domanda risarcitoria formulata in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale dai genitori di un nascituro rimasto vittima di lesioni gravissime derivanti da complicazioni sorte prima del parto. In particolare, gli attori, ottenuta in primo grado la condanna in via solidale della struttura sanitaria nella quale era avvenuto l’evento lesivo e del medico che, a loro dire, era stato il diretto responsabile dell’evento stesso, resistevano nel giudizio di appello, promosso dalle parti soccombenti per l’integrale riforma della sentenza impugnata. Il giudizio di appello si concludeva con l’accoglimento delle impugnazioni proposte dai convenuti soccombenti in primo grado sulla scorta dell’esclusione di una loro responsabilità atteso che, gli appellati non erano riusciti né ad individuare il comportamento a cui ricollegare direttamente le patologie da cui risultava essere affetto il neonato, né tantomeno il loro nesso di causalità con la condotta commissiva o omissiva del personale ospedaliero. Gli appellati, pertanto, proponevano ricorso per cassazione. La prova del nesso di causalità. In particolare, i Giudici evidenziano come nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado gli attori non avevano spiegato esattamente in cosa fosse consistito l’inadempimento della controparte o, quanto meno, il suo inesatto adempimento. La Corte, infatti, rileva che il Giudice di appello aveva, con ragione, ritenuto non meritevole di accoglimento la domanda risarcitoria in ragione del suo carattere meramente esplorativo, non mancando di evidenziare che le carenze riscontrate nelle annotazioni della cartella clinica sulla scorta delle quali, peraltro, sempre il giudice di prime cure aveva individuato a carico dell’operatore sanitario, nonché della struttura ospedaliera un comportamento idoneo ad essere qualificato in termini di imperizia professionale non valevano certamente a surrogare un onere di allegazione, prima ancora che di prova, rimasto del tutto disatteso. In altri termini, era mancata l’allegazione di una inadempienza specifica imputabile al personale sanitario ed astrattamente idonea alla produzione del danno, nella specie qualificato come deficit intellettivo che, tra l’altro, avrebbe ben potuto essere ricondotto anche a fattori meramente genetici. Inoltre, a fronte di tale carenza, i ricorrenti, invece di dedurre la lacunosità del materiale istruttorio in ordine alla ritenuta correttezza dell’operato del personale ospedaliero e alla stessa tempestività della decisione di procedere al taglio cesareo, si limitavano semplicemente a lamentare la violazione del principio per cui spetta al debitore dimostrare di avere adempiuto ovvero che l’inadempimento è dipeso da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Essi, al contrario, avrebbero dovuto allegare qualificate inadempienze idonee a porsi come causa o concausa del danno sofferto, atteso che, come già detto, le anomalie del bambino ben avrebbero potuto essere ricondotte anche a fattori genetici. Concludendo. Alla luce di quanto innanzi, si rileva come di estremo rilievo sia nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni c.d. di comportamento – quelle cioè inerenti all’esercizio di un’attività professionale - qualificare come rilevante non qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa o concausa dell’evento dannoso con le conseguenze in termini di onere probatorio in capo all’attore, di cui si è detto in precedenza.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 novembre – 12 dicembre 2013, n. 27855 Presidente Finocchiaro – Relatore Amendola Svolgimento del processo Con citazione notificata il 2 febbraio 1990 B.M. e L.S. , in proprio e quali esercenti la potestà parentale sul figlio R. , convennero innanzi al Tribunale di Caltagirone M.A. e la USL n. XX della stessa città, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al gravissimo deficit intellettivo dal quale era affetto L.R Esposero che la B., arrivata al termine della gravidanza, era stata ricoverata, in data omissis , presso l'Ospedale di omissis , in presenza di segni premonitori del parto che i sanitari del nosocomio non avevano effettuato alcun intervento fino a quando ella stessa non aveva sentito come un botto che solo allora avevano deciso di praticare il taglio cesareo che il bambino aveva subito presentato sofferenza asfittica che lo stesso era invalido al 100%. Costituitisi in giudizio, i convenuti contestarono le avverse pretese. Con sentenza del 9 novembre 2001 il giudice adito, in accoglimento della domanda, condannò M.A. e la USL n. di Caltagirone, in solido tra loro, al risarcimento dei danni. I gravami proposti avverso tale pronuncia dal Monaco e dalla Gestione Liquidatoria della ex USL nonché, in via incidentale, da B.M. e da L.S., in proprio e nella qualità, sono stati decisi dalla Corte d'appello di Catania in data 30 marzo 2007 con sentenza che, in accoglimento delle impugnazioni proposte dai convenuti soccombenti, ha rigettato le domanda attrici. Avverso detta pronuncia ricorrono per cassazione B.M. e L.S. , in proprio e quali esercenti la potestà parentale sul figlio L.R. , formulando quattro motivi e notificando l'atto ad M.A. , alla Gestione Liquidatoria ex USL e alla ASL n. . Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1 Nel motivare il suo convincimento, per quanto qui interessa, il decidente ha evidenziato che il giudice di prime cure, dato atto che né gli accertamenti svolti in sede penale, né quelli espletati in sede civile, con una nuova consulenza tecnica, avevano fatto emergere condotte colpose dei medici che avevano assistito la partoriente e il neonato, prima e dopo il parto, aveva tuttavia ritenuto che dalle carenze riscontrate nelle annotazioni della cartella clinica dovesse desumersi che non erano stati attuati tutti i presidi normalmente prescritti e idonei a dimostrare che il personale sanitario responsabile aveva affrontato il caso con diligenza e perizia . Ora, tale argomentazione, specificamente oggetto di impugnazione, è stata ritenuta non condivisibile dalla Corte territoriale, sulla base delle seguenti considerazioni a per giurisprudenza praticamente costante, la responsabilità del gestore di una struttura sanitaria nei confronti del paziente ha carattere contrattuale b lo stesso, in forza dell'art. 1228 cod. civ., risponde pertanto anche del comportamento dei propri dipendenti c le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono obbligazioni di mezzi e non di risultato d conseguentemente l'inadempimento del professionista non può tout court desumersi dal mancato raggiungimento del risultato e il danno derivante da eventuali azioni o omissioni del sanitario in tanto è ravvisabile, in quanto si accerti, sulla base di criteri probabilistici, che, senza quelle azioni o omissioni, il risultato sarebbe stato conseguito f in particolare, il nesso di causalità tra condotta commissiva o omissiva del sanitario ed evento dannoso deve essere accertato alla luce di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica. Nello specifico - ha rilevato la Corte - non vi era alcun elemento dal quale potesse dedursi l'esistenza di un nesso di causalità tra le patologie da cui era affetto L.R. e la condotta commissiva o omissiva del personale ospedaliero né peraltro, era stato in concreto individuato il comportamento, riferibile agli appellanti, che aveva determinato l'evento. La laconicità della cartella clinica - ha aggiunto - non poteva ingenerare alcuna presunzione in ordine alla sussistenza di fatti rimasti indeterminati e privi di supporto probatorio, tanto più che, secondo quanto emerso dalla compiuta istruttoria, la partoriente era stata assistita durante tutto il travaglio e il ricorso al taglio cesareo era stato deciso non per il rilevamento di sintomi di sofferenza fetale, ma perché, a dilatazione completata, era stato constatato il mancato impegno della parte presentata . In tale contesto - ha concluso - non potevano formularsi rilievi di sorta né in ordine allo svolgimento dell'intervento, né in ordine all'assistenza prestata al neonato dopo il parto. 2.1 Di tale valutazione si dolgono dunque gli impugnanti che, con il primo motivo di ricorso, denunciano violazione dell'art. 1218 cod. civ., ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Oggetto delle critiche è l'affermazione del giudice di merito secondo cui era rimasta indimostrata la pretesa degli attori di addebitare le gravi anomalie dalle quali era affetto L.R. a fatto e colpa del personale ospedaliero, laddove nell'illecito contrattuale spetta al debitore dimostrare che l'inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. 2.2 Con il secondo mezzo gli esponenti lamentano vizi motivazionali, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., sulla pretesa mancanza di prova di ogni responsabilità dei sanitari, in conformità al disposto dell'art. 1218 cod. civ 2.3 Con il terzo mezzo denunciano mancanza o insufficienza della motivazione con riferimento all'affermazione del giudice di merito secondo cui era pur sempre necessario valutare i fatti avendo riguardo alle attrezzature esistenti e ai protocolli adottati all'epoca in cui si erano svolti. L'affermazione sarebbe inappagante, posto che ignorerebbe del tutto l'esistenza e la diffusione di uno strumento - il cardiotocografo - che il consulente tecnico d'ufficio aveva ritenuto importante per la gestione del travagli. 2.4 Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., vizi motivazionali in relazione alle cause che avevano provocato il danno, non avendo il giudice di merito dato conto della insussistenza di cause delle patologie da cui era affetto L.R. , riconducibili a una malattia congenita, nonché delle conseguenze da trarre dalla lacunosità della cartella clinica, secondo il diritto vivente. 3 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate per le ragioni che seguono. È ben vero che questa Corte, qualificata come contrattuale la responsabilità del medico nei confronti del paziente per danni derivati dall'esercizio di attività di carattere sanitario, ha, in via di principio, risolto i problemi connessi all'individuazione dei reciproci oneri probatori lungo le direttrici segnate nella sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533. In tale arresto le sezioni unite ebbero a precisare che, rimasta inadempiuta una obbligazione, il creditore il quale agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, puntualizzando altresì, in tale prospettiva, che eguale criterio di riparto deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, posto che allora al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento per violazione, ad esempio, di doveri accessori, come quello di informazione , mentre graverà, ancora una volta, sul debitore l'onere di dimostrare il contrario Cass. civ., sez. unite, 30 ottobre 2001, n. 13533 . 4 Trasponendo tali criteri nelle cause di responsabilità professionale del medico - sul postulato, si ripete, del carattere contrattuale della stessa - la giurisprudenza di legittimità ha dunque ripetutamente affermato che sull'attore grava la prova del contratto, dell'aggravamento della situazione patologica o dell'insorgenza di nuove patologie nonché del nesso di causalità tra l'azione o l'omissione del debitore e l'evento dannoso, allegando il solo inadempimento del sanitario, mentre resta a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento, e cioè di avere tenuto un comportamento diligente Cass. n. 12362 del 2006 Cass. 11.11.2005, n. 22894 Cass. 28.5.2004, n. 10297 Cass. 3.8.2004, n. 14812 . 5 Considerando peraltro inappaganti, sotto vari profili, siffatti approdi ermeneutici, le sezioni unite di questa Corte, nella sentenza n. 577 del 2008, hanno rivisitato l'intera problematica. A tal fine, ripercorsa l'evoluzione della teoria delle obbligazioni, con la progressiva erosione della legittimazione teorica e dell'utilità pratica della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, hanno affermato che l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento - coincidenti con quelle tradizionalmente definite di mezzi, in cui è la condotta del debitore ad essere dedotta in obbligazione, essendo la diligenza tendenzialmente considerata quale criterio determinativo del contenuto del vincolo e il risultato caratterizzato da aleatorietà, siccome dipendente anche da altri fattori esterni - non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa o concausa del danno. Da tanto hanno quindi dedotto che, nelle cause di responsabilità professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre l'esistenza di una inadempienza, per così dire, vestita, astrattamente efficiente, cioè, alla produzione del danno, di talché, solo quando lo sforzo probatorio dell'attore consenta di ritenere dimostrato il contratto o contatto sociale e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia, con l'allegazione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, scatterà l'onere del convenuto di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del danno Cass. civ. sez. un. 11 gennaio 2008, n. 577 Cass. civ. 26 febbraio 2013, n. 4792 Cass. civ. 21 luglio 2011, n. 1593 . 6 Venendo al caso di specie, il giudice di merito ha motivato la scelta decisoria adottata sul rilievo, da un lato, che non vi era alcun elemento dal quale dedurre l'esistenza di un nesso di causalità tra il deficit intellettivo di L.R. e la condotta commissiva o omissiva del personale ospedaliero dall'altro, che, a ben vedere, era mancata la stessa allegazione di una siffatta condotta, e cioè la deduzione di una inadempienza specifica, astrattamente idonea alla produzione del danno. Ciò significa che il decidente ha ritenuto non meritevole di accoglimento la domanda in ragione del suo carattere meramente esplorativo, non mancando di evidenziare che la stessa lacunosità della cartella clinica non valeva a surrogare un onere di allegazione, prima ancora che di prova, rimasto affatto inadempiuto. 7 A fronte di tale percorso motivazionale, i ricorrenti, senza neppure denunciare malgoverno del materiale istruttorie in ordine alla ritenuta correttezza dell'operato del personale ospedaliero e alla stessa tempestività della decisione di procedere al taglio cesareo, continuano a lamentare la violazione del principio per cui spetta al debitore dimostrare di avere adempiuto, ovvero che l'inadempimento è dipeso da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, dando, in sostanza, per scontato un fatto che tale non è, e cioè la non addebitabilità delle anomalie del bambino a fattori genetici. Segno tangibile della torsione interpretativa in cui sono incorsi i ricorrenti è il quarto motivo di ricorso, con il quale essi si dolgono della mancata individuazione, da parte del giudice di merito, della causa naturale, diversa, dunque, dal comportamento dei medici, che aveva determinato il deficit intellettivo di L.R. , senza considerare e neppure confutare , che, secondo il corretto approccio della Corte territoriale si trattava invece proprio di allegare qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno. 8 Né è inficiata da errore la svalutazione di ogni valenza probatoria delle riscontrate lacunosità nella tenuta della cartella clinica perché l'irregolare compilazione della stessa consente - è vero - il ricorso alla prova presuntiva, in base al criterio della vicinanza della prova, ma tanto all'interno di un giudizio in cui risulti pur sempre dedotta e provata una condotta ascrivibile al professionista, astrattamente idonea a provocare il danno confr. Cass. civ. 27 aprile 2010, n. 10060 Cass. civ. 26 gennaio 2010, n. 1538 . 9 Infine le deduzioni relative alla pretesa insufficienza delle attrezzature esistenti presso il nosocomio sono volte a criticare una valutazione di stretto merito, incensurabile in sede di legittimità, in ordine alla necessità di contestualizzare l'operato dei sanitari, e cioè di valutarlo tenendo conto delle conoscenze scientifiche e delle attrezzature disponibili all'epoca dei fatti. Peraltro le censure, basate su pretesi rilievi svolti dal consulente tecnico d'ufficio, sono gravemente carenti sotto il profilo dell'autosufficienza, non avendo la parte ottemperato all'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti dell'elaborato dell'esperto, laddove le critiche mosse alla sentenza devono possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne direttamente la decisività, senza la mediazione di altre fonti confr. Cass. civ. 13 giungo 2007, n. 13845 . In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che gli intimati non hanno svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.