Ricade sul paziente l'incertezza sul nesso causale tra condotta del medico e danno

Nei giudizi di risarcimento del danno da attività medico-chirurgica l'attore deve provare l'esistenza del contratto, o il contatto sociale, ed allegare l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e l'inadempimento qualificato del medico, inadempimento che deve essere astrattamente idoneo a provocare quale causa o concausa efficiente il danno lamentato.

Rimane invece a carico del medico-convenuto la dimostrazione che non vi sia stato inadempimento oppure che, anche se vi sia stato, non si è trattato della causa del danno. Così la Terza Sezione Civile della Suprema Corte, nella sentenza n. 17573, depositata il 18 luglio 2013, nel rigettare il ricorso del danneggiato che già era risultato soccombente nei giudizi di merito. Il caso. La vicenda storica è quella di un paracadutista rimasto vittima di un infortunio alla gamba destra, il quale, una volta trasportato al pronto soccorso e riscontratagli una frattura, era stato ingessato e si era sentito consigliare il ricovero, mentre egli aveva po preferito lasciare l'ospedale. Dopo venti giorni dall'evento, una nuova visita presso l'ospedale aveva portato a un nuovo esame radiografico con conseguente consiglio di un immediato intervento chirurgico, in effetti eseguito. Il paracadutista aveva convenuto in giudizio l'azienda ospedaliera per vedersi riconoscere il risarcimento del danno da errata diagnosi, in particolare perchè il ritardo nel trattamento chirurgico aveva causato dei postumi più pesanti rispetto a quelli che vi sarebbero stati se l'intervento chirurgico fosse stato effettuato nell'immediatezza dell'evento lesivo. La difesa dell'azienda ospedaliera si concentra sul fatto che fu il paracadutista a rifiutare il ricovero. Il medico prescrive o consiglia? La difesa del paracadutista sostiene la tesi della distinzione tra prescrizione, che sarebbe obbligatoria, del medico e invece il consiglio, in quanto tale avente valore non precettivo, dello stesso, lamentando che nel caso di specie i medici avrebbero soltanto consigliato e in ciò consisterebbe l'errore medico l'intervento. In realtà, ricordano gli Ermellini, tale distinzione è assolutamente arbitraria e giuridicamente insussistente, dato che in nessun caso il medico può imporre una cura. La scelta spetta sempre al paziente, che per questo deve essere debitamente informato. Nel caso di specie al consiglio dei medici è seguita la libera decisione del paziente di sottrarsi alle cure della struttura ospedaliera e tale decisione costituisce fatto interruttivo del nesso causale fra la condotta dei sanitari e le conseguenze pregiudizievoli ascrivibili al ritardato intervento chirurgico dopo aver lasciato trascorrere circa trenta giorni senza controlli sull'evoluzione della patologia . D'altra parte, non può essere nemmeno attribuita una responsabilità all'azienda ospedaliera per l'asserito difetto di informazione, giacchè deve ritenersi assolto tale dovere con l'indicazione della insufficienza della riduzione incruenta della frattura e della necessità di proseguire la cura . In definitiva è stata esclusa alcuna responsabilità in carico all'azienda ospedaliera, avendo il paracadutista deciso in autonomia e liberamente di sottrarsi alle cure della struttura ospedaliera. E come dice il proverbio chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 maggio - 18 luglio 2013 n. 17573 Presidente Berruti – Relatore D’Amico Svolgimento del processo P D.F. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Pisa l'Azienda Ospedaliera Pisana esponendo che durante un lancio con paracadute era rimasto vittima di un infortunio alla gamba destra che, trasportato al pronto soccorso, riscontrata una frattura, gli era stata praticata una ingessatura e consigliato il ricovero che egli aveva preferito lasciare l'ospedale. Dopo circa venti giorni, persistendo forti dolori, si era presentato presso l'ospedale di Carrara dove era stato sottoposto ad un nuovo esame radiografico e gli era stato consigliato un intervento chirurgico immediato che veniva ivi effettuato. Sosteneva l'attore che il ritardo nel trattamento chirurgico aveva prolungato l'immobilizzazione in gesso a circa tre mesi, ritardando i processi riparativi per l'insorgenza di un quadro algodistrofico con conseguenti postumi permanenti. Per queste ragioni l'attore, ritenendo che tali postumi avrebbero potuto essere più limitati nel caso in cui i sanitari dell'Ospedale pisano, anziché applicare un apparecchio gessato, avessero proceduto all'immediato intervento chirurgico, chiedeva che l'Azienda convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni da esso subiti. L'Azienda Ospedaliera Pisana si costituiva sottolineando che era stato lo stesso attore a rifiutare il ricovero e che tale rifiuto poteva aver aggravato la patologia ed impedito una ulteriore e diversa valutazione dei medici. Contestava quindi il quantum del risarcimento richiesto e chiedeva il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettava le domande attrici. Proponeva appello il D.F. con tre motivi. La Corte d'Appello di Firenze ha rigettato il gravame proposto da P D.F. nei confronti dell'Azienda Ospedaliera Pisana avverso la sentenza del Tribunale di Pisa che ha confermato. Propone ricorso per cassazione P D.F. con due motivi e presenta memoria. Resiste con controricorso l'Azienda Ospedaliera Pisana. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso P D.F. denuncia Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso inesatta esecuzione della prestazione medica e decisivo per il giudizio art. 360, 1 comma n. 5 cpc, con conseguente violazione dell'art. 1218 c.c. ”. Con il secondo motivo si denuncia Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso mancato esercizio del dovere di informazione e decisivo per il giudizio art. 360, 1 comma n. 5 cpc, con conseguente violazione dell'art. 1218 c.c. ”. I motivi, strettamente connessi, devono essere congiuntamente esaminati. La Corte d'Appello di Firenze ha ritenuto che l'Azienda Ospedaliera abbia effettuato una corretta esecuzione della prestazione medica e, successivamente, di aver dato una adeguata informazione al paziente consigliandogli il ricovero. Secondo il ricorrente invece, se il ricovero era necessario, bastava disporlo o prescriverlo e non limitarsi a consigliarlo un consiglio infatti non può mai essere vincolante implicando la possibilità di scelte alternative. L'Azienda doveva pertanto rendere edotto il D.F. dell'insufficienza del trattamento operato in pronto soccorso per una cura ottimale della patologia. In conclusione, il ricorrente sostiene di aver dato la prova dell'evento dannoso e dell'inadempimento della struttura sanitaria, mentre quest'ultima non ha provato che egli fu assistito e curato in modo idoneo e professionalmente corretto. Il motivo è infondato. Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno da attività medico - chirurgica, l'attore deve infatti provare l'esistenza del contratto o il contatto sociale ed allegare l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e l'inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare quale causa o concausa efficiente il danno lamentato, rimanendo a carico del medico convenuto dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno. Ne consegue che se, all'esito del giudizio, permanga incertezza sull'esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, tale incertezza ricade sul paziente e non sul medico Cass., 24 gennaio 2013, n. 4792 Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 577 . Emerge dall'impugnata sentenza che i medici dell'Azienda Ospedaliera Pisana, a seguito di un controllo radiografico, consigliarono il ricovero ospedaliero per proseguire il trattamento della lesione. La soluzione prospettata non fu perseguita per esclusiva volontà del paziente che decise di sottrarsi liberamente alle cure della struttura ospedaliera. La distinzione che il ricorrente tenta di introdurre tra prescrizione del medico, che sarebbe obbligatoria, e consiglio che sarebbe invece opinabile, è arbitraria. In alcun caso il medico può imporre una cura. Essa è sempre consigliata. E sempre il paziente, debitamente informato, è libero di seguirla. Tale decisione costituisce fatto interruttivo del nesso causale fra la condotta dei sanitari e le conseguenze pregiudizievoli ascrivibili al ritardato intervento chirurgico al quale il D.F. si sottopose presso un'altra struttura ospedaliera, dopo aver lasciato trascorrere circa trenta giorni senza controlli sull'evoluzione della patologia. Non può essere neppure attribuita una responsabilità all'Azienda Ospedaliera Pisana per difetto di informazione circa la necessità di sottoporsi ad un immediato intervento chirurgico, dovendosi ritenere assolto tale dovere con l'indicazione della insufficienza della riduzione incruenta della frattura e della necessità di proseguire la cura. La Corte d'Appello, con adeguata motivazione, ha escluso che possa essere sorta una responsabilità a carico dell'Azienda Ospedaliera, avendo il D.F. liberamente deciso di sottrarsi alle cure della struttura ospedaliera pisana e di seguire autonomamente il decorso della malattia. Il ricorrente invece, con le sue doglianze, chiede una revisione del fatto, non consentita in sede di legittimità, in presenza di una congrua motivazione, immune da vizi logici o giuridici. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.