Infiltrazioni dal giardino pensile: risponde dei danni chi aveva l’obbligo di manutenzione

Ove il condominio si trovi nel godimento di un giardino pensile, in forza di un titolo negoziale concluso con la proprietà, il giudizio di responsabilità finalizzato ad accertare se i danni provocati agli immobili sottostanti siano ascrivibili ad infiltrazioni di acqua provenienti dal giardino, deve essere condotto tenendo conto del riparto degli obblighi di manutenzione, tra concedente ed utilizzatore.

Con la sentenza n. 15096 depositata il 17 giugno 2013 la Corte di Cassazione si pronunciava su di un caso di risarcimento danni da infiltrazioni provocate da un giardino pensile, di proprietà dell’impresa costruttrice ed in godimento al condominio. La vicenda appare significativa poiché il giudizio di responsabilità per danni veniva ancorato al differente riparto, tra concedente ed utilizzatore, delle spese di manutenzione del bene in questione. Il fatto. Con azione risarcitoria le proprietarie di alcuni appartamenti ubicati sotto al giardino condominiale deducevano di aver subito delle infiltrazioni d’acqua provenienti dal giardino pensile sovrastante che, di fatto, avevano reso impossibile l’utilizzo delle proprie abitazioni. Chiedevano quindi la condanna del condominio al risarcimento dei danni. In primo grado la domanda era respinta. Sosteneva il Tribunale che la proprietà del giardino fosse della società costruttrice e non del condominio al quale, invece, era concesso il solo godimento del bene con accollo delle spese di manutenzione ordinaria. Adito il giudice dell’appello, in riforma della cennata pronuncia, condannava il condominio al risarcimento dei danni con riconoscimento di responsabilità ex art. 2051 c.c. per l’usuario del bene, obbligato alla manutenzione ed al risarcimento, salva la possibilità di rivalsa verso la proprietà. Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il condominio formulando diversi motivi di gravame. La censura principale, poi accolta dai giudici di nomofilachia, lamentava violazione e falsa applicazione degli artt. 1004, 1005, 117, 1126, 2051 c.c. nonché vizi di motivazione. Il condominio negava di essere depositario di obblighi di custodia ex art. 2051 c.c., diversamente sosteneva di dover vigilare sul mantenimento della destinazione del bene es. spese per l’acquisto di piante e terriccio, ecc. provvedendo, altresì, alla ordinaria manutenzione. Secondo quanto dedotto dal Condominio spettava, invece, alla società costruttrice, in quanto proprietaria, vigilare sulla struttura del giardino, provvedendo anche alla impermeabilizzazione dei locali sottostanti. In ragione di tanto, nel giudizio occorreva tener conto che una eventuale responsabilità del condominio dovesse restare circoscritta agli obblighi da questo assunti nei confronti del concedente che attenevano alle opere di ordinaria manutenzione e non già a quelle finalizzate al godimento delle proprietà sottostanti. Il riconoscimento di responsabilità ex art. 2051 c.c. presuppone la proprietà del cortile condominiale. I giudici di legittimità conoscevano l’erronea applicazione al caso di specie di un principio di diritto affermatosi in vicende con differenti presupposti fattuali. In particolare, l’indirizzo giurisprudenziale cui la corte territoriale aveva aderito in tal senso cfr. Cass. civ. n. 1477/99 e n. 2861/95 , riferiva del caso in cui il cortile di proprietà del condominio, costituente superficie di copertura di un locale interrato, aveva provocato danni da infiltrazioni di acqua nel predetto immobile sottoposto. In tale ipotesi era riconosciuta la responsabilità del condominio. Le conseguenze derivanti dal differente riparto delle spese di destinazione d’uso e di custodia. Nel caso affrontato dalla Cassazione invece il giardino utilizzato dal condominio non era di proprietà di questo, bensì gli era stato concesso in godimento in forza di un titolo negoziale. Orbene, in maniera pacifica, il condominio deduceva che la società costruttrice dell’immobile, escludendo dalla vendita il giardino, aveva optato per la sua concessione in godimento, con relativo obbligo assunto dal condominio di mantenere a proprie spese la sola destinazione d’uso, con esclusione, del potere di custodia. Conseguentemente, quest’ultimo doveva ritenersi conservato in capo alla proprietaria. Appariva evidente, a giudizio dell’organo di legittimità, come il giudice dell’appello abbia fatto un cattivo utilizzo delle norme di legge, nella misura in cui ometteva di eseguire un rigoroso accertamento in punto di fatto, finalizzato ad individuare il corretto rispetto degli obblighi di manutenzione tra proprietario ed utilizzatore. Concludendo . In effetti in ipotesi di tal specie, ove sussiste un riparto degli obblighi di manutenzione, i danni derivanti ai terzi possono dipendere da incapienza dell’uno o dell’altro soggetto. La omessa rilevanza di questa indispensabile indagine induceva la Corte di Cassazione ad accogliere il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 febbraio - 17 giugno 2013, n. 15096 Presidente Triola – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 La controversia, sorta nell'ottobre 1990, concerne la richiesta risarcitoria avanzata dalle tre odierne resistenti, signore P. , A. e H. , per l'impossibilità di utilizzare nove appartamentini, posti sotto il giardino condominiale di via omissis , danneggiati da infiltrazioni di acqua. Il tribunale di Roma il 3 marzo 2003 ha ritenuto sussistente la legittimazione della iniziale attrice A.R. e delle intervenute comproprietarie, tra le quali era sopravvenuta divisione degli immobili nel dicembre 1990. Ha respinto la domanda sul rilievo che proprietaria del giardino dal quale derivavano le infiltrazioni era la società costruttrice, la quale aveva ceduto al condominio soltanto il godimento del giardino, con i relativi obblighi di manutenzione ordinaria e giammai di straordinaria manutenzione. La Corte di appello di Roma, investita da appello di P.E. e da appello incidentale congiuntamente proposto da A.R. e H.R.J. , ha capovolto tale decisione e ha condannato il Condominio al risarcimento dei danni, apprezzati in una somma tra i 4 e i 500.000 Euro per ciascuna delle istanti, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. A tal fine ha ritenuto che il condominio, usuario del bene e tenuto alla custodia ex art. 2051 c.c., fosse obbligato alla manutenzione e al risarcimento, salva la facoltà di rivalsa verso la proprietà. La sentenza, resa il 16 giugno 2009, notificata il 27 luglio, è stata impugnata dal Condominio il 4 novembre successivo con sette motivi articolati in più censure. P. ha resistito con controricorso. A. e H. oltre a resistere hanno svolto ricorso incidentale. Il condominio ha depositato controricorso al ricorso incidentale. A. e H. in vista dell'udienza hanno dimesso memoria. Motivi della decisione 2 Il primo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 105 e 111 c.p.c. concerne l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposta dal Condominio davanti alla Corte territoriale. Il ricorrente sostiene che la P. avrebbe assunto la qualifica di interventore adesivo dipendente, non legittimata, come la signora H. , intervenuta nel 1997, a proporre autonoma impugnazione. Critica la sentenza per avere ritenuto che le suddette, dopo la divisione della comproprietà potessero intervenire ex art. 111 c.p.c La censura muove, nella parte espositiva, dal presupposto che le due appellanti all'epoca in cui era stata proposta la domanda originaria erano già contitolari del diritto fatto valere in giudizio e ne desume che quando intervennero lo fecero solo ad adiuvandum. La doglianza va respinta. Dalla stessa ricostruzione dei fatti esposta in ricorso, emerge che la domanda risarcitoria fu proposta il 19 ottobre 1990 da A.R. comproprietaria dei beni indivisi. Costei era quindi legittimata ad agire per far valere l'intera pretesa risarcitoria, attesa la concorrenza di pari poteri gestori in capo a tutti i comproprietari Cass., 31-01-2008, n. 2399 5391/90 . La divisione intervenne il 10 dicembre 1990 e gli interventi in causa furono successivi. Ne consegue che allorquando le signore P. e H. intervennero in giudizio, ormai divenute proprietarie esclusive di singole porzioni, lo fecero per far valere diritti propri, quali effettive titolari del diritto oggetto della controversia, già esercitato tempestivamente e che esse avevano titolo per far autonomamente valere. 3 Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 979, 1005,1027, 1030, 1070, 1362, e 2051 cod. civ., nonché vizi di motivazione. Parte ricorrente sostiene pag. 24 e segg. che il godimento condominiale sull'area retrostante il fabbricato, sistemata a giardino pensile, era da qualificare come diritto di servitù e non quale diritto d'uso. A tal fine richiama la regolamentazione disposta dal regolamento di Condominio circa gli obblighi di manutenzione. La censura è inammissibile perché nuova. Nel ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica - che implichi accertamenti di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa Cass 1435/13 230/06 . Nella specie la qualificazione come servitù dei diritti dell'ente sull'area a giardino, in mancanza delle specificazioni necessarie, risulta dedotta per la prima volta in questa sede. Essa però implicava necessariamente la verifica dei presupposti della servitù, sommariamente individuati, in ricorso, nell'imposizione a carico delle parti di proprietà esclusiva della società costruttrice - soggetto che inspiegabilmente non è stato evocato in giudizio - di un peso in favore della generalità dei condomini, con il connesso apprezzamento di fatto. Altrettanto dicasi per la rilevanza che il quesito annette, a questo fine, alla circostanza che non sarebbe stato previsto il limite trentennale di durata dell'uso. Anche la valutazione di tale circostanza di fatto, che non risulta rimessa al contraddittorio delle parti nelle fasi di merito, con le conseguenze ricostruttive svolte nel quesito 1, non può essere per la prima volta dedotta in cassazione. 4 Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1004, 1005, 1117, 11126, 2051 e vizi di motivazione. Il Condominio contesta sia di essere tenuto alla custodia del giardino ex art. 2051 c.c., sia che l'obbligo di manutenzione posto a suo carico dagli accordi negoziali con il soggetto proprietario comprendesse incondizionatamente le riparazioni straordinarie. Sostiene pertanto che, stante il proprio obbligo limitato a mantenere la destinazione del bene oggetto di godimento , era la società proprietaria a dover vigilare sulla struttura della cosa e a dover impermeabilizzare i locali sottostanti, ponendo una guaina di protezione. Rileva che tali protezioni non erano state previste a causa della diversa destinazione originaria dei locali interrati, abusivamente trasformati in appartamenti la questione risulta dalla sentenza impugnata, pag. 2 . Chiede pertanto che sia affermato quesito n. 1 che era tenuto alle sole opere di ordinaria manutenzione e non anche alle riparazioni straordinarie, peraltro relative quesito n. 2 e n. 3 non al godimento del giardino ma delle parti sottostanti - piano di calpestio, guaina e solaio dei locali interrati. 4.1 La censura coglie nel segno. La sentenza impugnata, seguendo la giurisprudenza Cass 1477/99 e soprattutto Cass.2861/95 secondo la quale nel caso in cui il cortile di un condominio funge da copertura di un locale interrato di un terzo, se la cattiva manutenzione del cortile provoca infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l’obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte nel disposto dell'art. 2051 cod. civ., non ha considerato che i presupposti di fatto erano nella specie del tutto diversi. I casi regolati nei precedenti ricollegabili al dictum della Corte d'appello presupponevano il godimento della cosa giardino soprastante la proprietà esclusiva da parte del condominio in forza della proprietà delle strutture. Diverso è il regime applicabile qualora il condominio si trovi nel godimento di un bene in forza di un titolo negoziale. 4.2 In tal caso occorre attribuire conseguentemente le responsabilità di eventuali danni subiti dal terzo proprietario dell'immobile sottostante. Ferma la responsabilità del proprietario dell'area soprastante - non a caso opportunamente individuata dal giudice di primo grado -, è possibile configurare la responsabilità di chi ha in uso il bene nei limiti degli obblighi che questi ha acquisito nei confronti del concedente. È la stessa sentenza impugnata a precisare che la srl Edi.Mer aveva escluso dalla vendita le aree sistemate a terrazze o a giardino pensile e aveva lasciato parte di quest'ultima in godimento al Condominio con l'obbligo dello stesso di mantenere a proprie spese tale destinazione”. Al Condominio era quindi espressamente sottratto, almeno in grandissima parte, il potere dovere di custodire la consistenza immobiliare, dovendo soltanto, come dedotto in ricorso, curare il mantenimento della destinazione a giardino spese per piante, terra, semina ed eventuale ordinaria manutenzione a ciò funzionale . La disponibilità di fatto della cosa appariva quindi disgiunta dalla disponibilità giuridica di essa, espressamente riservata al dante causa. È stato insegnato - e giova ripetere - che ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa che comporti il potere - dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. La disponibilità che della cosa ha l’utilizzatore non comporta, invece, necessariamente il trasferimento in capo a questo della custodia, da escludere in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l'effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all’utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia. Cass. 1948/03 . 4.3 La Corte d'appello ha dunque fatto malgoverno delle norme di legge che talora attribuiscono a soggetti diversi dal proprietario la responsabilità del custode e ha conseguentemente omesso di svolgere l'accertamento di fatto che, in ipotesi, le era richiesto sul punto, allo scopo di individuare il responsabile dei danni lamentati da parte attrice. Va detto che in casi come quello esaminato, in cui si coglie un riparto di obblighi di manutenzione ordinaria e straordinaria a carico di soggetti diversi, vi può essere danno a terzi che derivi da inadempienze dell'uno e dell'altro obbligo. Vi può essere anche interferenza tale tra i beni giardino e piano di calpestio da far derivare dall'omessa ordinaria manutenzione un pregiudizio alla cosa di proprietà del concedente, che diviene dannosa per il terzo anche per effetto del contributo causale derivante da mancata manutenzione ordinaria. Della possibile rilevanza di questa indagine la Corte di appello non è stata consapevole, avendo scelto una traiettoria interpretativa che prescindeva dalle indispensabili distinzioni. Discende da quanto esposto l'accoglimento del terzo motivo di ricorso, tanto sotto il profilo della violazione di legge, quanto sotto il profilo del vizio della motivazione, dipendente dal primo per le carenze che ne sono scaturite. I restanti motivi, che attengono all'accertamento di corresponsabilità delle attrici 4 ad altro possibile inquadramento della repsnsabilità 5 al risarcimento del danno 6 e 7 , sono da dichiarare assorbiti. La decisione su di essi dipende dall'esito del giudizio di rinvio, da condurre secondo le coordinate evidenziate al p. 4.2. Altra sezione della Corte d'appello di Roma regolerà anche la liquidazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta primo e secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo. Assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.