La Corte di legittimità cancella la fattispecie del danno in re ipsa

Ai sensi dell’art. 2697 c.c. è onere del danneggiato fornire al Giudice di merito i necessari elementi di prova funzionali a dimostrare, sul piano processuale, sia l’esistenza delle conseguenze dannose sia la quantificazione delle stesse in quanto non pare legittimamente configurabile, in senso al sistema civilistico della responsabilità, alcuna fattispecie di danni in re ipsa.

La fattispecie. Nel caso in esame l’attore aveva convenuto avanti all’Autorità di giustizia, al fine di ottenere il ristoro di tutti gli asseriti danni patiti, un avvocato reo di aver prestato la propria assistenza tecnica avanti alle Magistrature superiori pur non essendo abilitato e, per non farsi mancare nulla, gravato da un provvedimento di sospensione irrogato dall’Ordine degli avvocati. A tal fine si era avvalso anche del nome di un collega, compiacente e abilitato, falsificandone la firma. Il Giudice di merito aveva accolto parzialmente la domanda risarcitoria, unicamente riguardo alla falsificazione, condannando il legale a rifondere il danno, riconosciuto in re ipsa , e forfettariamente liquidato in € 10.000,00. Il principio generale dell’onere della prova. Onus probandi incumbit ei qui dicit dicevano i giuristi dell’antica Roma e così impone anche l’art. 2697 c.c. Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda . Disposizione che, pur costituendo un principio cardine del nostro ordinamento, può essere definita in bianco posto che, non precisando quali siano i fatti che costituiscono il fondamento del diritto, deve essere completato attraverso altre norme. All’uopo la giurisprudenza era financo giunta ad affermare che, con riferimento a particolari fattispecie, la prova del danno non doveva essere fornita dall’interessato in quanto il fatto illecito stesso poteva essere considerato di per sé un nocumento. Ovviamente ai fini della quantificazione si faceva uso, e abuso, della valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c La presa di posizione della Cassazione il danno in re ipsa non esiste. In primo luogo il Supremo collegio completa lo spazio bianco dell’art. 2697 c.c. sostenendo che non tutti gli eventi dannosi sono idonei a far sorgere il diritto al risarcimento in quanto, a tal fine, è necessario che detti siano connotati dal carattere del contra ius e del non iure . Ciò premesso, cassando la sentenza di merito nella parte in cui sostiene che la mera circostanza del falso per sostituzione di persona ha arrecato un danno all’attore , asserisce che, tenuto conto dei principi del sistema civilistico, non è ammissibile alcuna categoria di danno la quale possa essere considerata in re ipsa al fatto illecito. Di conseguenza il soggetto che si ritiene leso non potrà più limitarsi a dimostrare l’esistenza del fatto illecito ma deve dimostrare, altresì, che detto è stato causa di un danno nonché la quantificazione dello stesso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 giugno - 13 dicembre 2012, n. 22890 Presidente Trifone – Relatore Travaglino Svolgimento del processo Nel corso dell'anno 1997, S D. evocò in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, l'avvocato S B., che lo aveva difeso dinanzi alle giurisdizioni amministrative superiori senza essere iscritto all'albo speciale, ed essere stato per altro verso destinatario di un provvedimento di sospensione dall'esercizio della professione - onde la falsificazione della firma, da parte del convenuto, di un altro avvocato che lo aveva affiancato nella difesa dinanzi al Consiglio di Stato. Il giudice di primo grado, respinta la domanda risarcitoria avanzata dal D. quanto alla mancata abilitazione alla difesa del B. per non avere tale circostanza procurato danno all'attore che era di converso risultato ben difeso dinanzi al Consiglio di Stato , la accolse quanto ai danni richiesti dall'attore come conseguenza del falso, liquidandoli nella misura di oltre 10 mila Euro, e rigettando nel contempo la riconvenzionale del convenuto. Entrambe le parti impugnarono tale decisione, e la a corte di appello di Roma, accogliendo il gravame incidentale del D. - rigettato quello del B. - condannò quest'ultimo al pagamento di un ulteriore, cospicua somma a titolo di risarcimento per aver operato nella qualità di avvocato senza essere a ciò abilitato. La sentenza è stata impugnata da S B. con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi di doglianza. Resiste con controricorso S D. . Motivi della decisione Il ricorso è infondato. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge in relazione all'art. 2691 c.c. determinato da errata interpretazione della decisione delle ss.uu. n, 26972 del 2008. Con il secondo motivo, si denuncia difetto assoluto di istruttoria e motivazione carente e/o perplessa con riferimento alla condanna al risarcimento danni. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge per errata e falsa applicazione della legge 15.12.1990 n. 395. Con il quarto motivo, si denuncia violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. per contraddittoria motivazione desunta dallo stesso testo della sentenza. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente attesane la intrinseca connessione, sono nel loro complesso fondati. Le sentenze rese l'11 novembre del 2008 da questa corte regolatrice in tema di danni non patrimoniali, difatti ma il principio è ovviamente applicabile a qualsivoglia tipo di danno e, più in generale a qualsiasi tipo di pretesa azionata in giudizio, stante il fondamentale disposto dell'art. 2697 c.c. hanno specificato come sia onere del danneggiato fornire al giudice del merito i necessari elementi di prova funzionali a dimostrare, sul piano processuale, tanto l'esistenza quanto l'entità delle conseguenze dannose risarcibili asseritamente subite a seguito del prodursi di un evento di danno connotato dal carattere del contra ius e del non iure, non essendo legittimamente predicabile, in seno al sottosistema civilistico della responsabilità, alcuna fattispecie di danni in re ipsa. Apodittica si appalesa, pertanto, l'affermazione rappresentativa del convincimento espresso dai giudici di merito nella sentenza oggi impugnata che conferma in parte qua il dictum di primo grado - secondo la quale la mera circostanza del falso per sostituzione di persona avrebbe arrecato un danno risarcibile all'odierno resistente a distanza di oltre due anni dalla pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato che rigettava le sue istanze , mentre del tutto sfornita di prova oltre che frutto di una inesatta lettura del decisum del massimo organo di giustizia amministrativa si appalesa la ulteriore deduzione dell'esistenza di un danno conseguente alla pretesa lesione del diritto costituzionale di difesa volta che il ricorso amministrativo era stato, in realtà, rigettato nel merito e non dichiarato inammissibile - avendo in proposito il giudice di primo grado esattamente osservato come quello stesso ricorso fosse stato correttamente impostato in diritto -, con motivazione in diritto che escludeva implicitamente qualsivoglia errore nella conduzione della difesa folio 11 della sentenza 821/1993 del C.d.S. . Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio del procedimento alla corte di appello di Roma che, in altra composizione, farà applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla corte di appello d Roma in diversa composizione, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.