Ramo spezzato sulla strada, scarto improvviso per l’automobilista che finisce contro un albero. Nessun risarcimento a carico dell’Anas

Evidente la sussistenza, in questa vicenda, dell’eccezione costituita dal caso fortuito, che ‘salva’ l’ente dalla possibile responsabilità per l’incidente subito dall’automobilista. A dare corpo a questa visione non solo la dinamica dell’episodio, col ramo spezzato all’improvviso dal forte vento, ma anche il fatto che gli alberi lungo quel tratto stradale fossero stati potati pochi mesi prima.

Sicuramente imprevisto, sicuramente imprevedibile un grosso ramo piazzato sulla propria corsia di marcia, che obbliga l’automobilista – lungo una strada statale – a uno scarto improvviso, facendogli perdere il controllo della vettura. Risultato? Duro impatto contro un albero, con danni alla persona dell’automobilista. Ma l’imprevedibilità vale, in questo caso, anche per l’Anas, che, nonostante il proprio ruolo, è esente da responsabilità e, soprattutto, dall’onere risarcitorio Cassazione, sentenza n. 22385, Terza sezione Civile, depositata oggi . Manutenzione in ballo Assolutamente cristallina la dinamica dell’episodio, mentre di più complessa lettura è la rimostranza del protagonista – assolutamente involontario – dell’incidente, ossia dell’automobilista, che addebita all’Anas la responsabilità per la mancata manutenzione della strada . Obiettivo è quello di ottenere un adeguato risarcimento, ma sia in primo che in secondo grado la domanda viene respinta in maniera netta. Per i giudici d’Appello, in particolare, andavano tenute ben presenti la natura demaniale del bene e la sua notevole estensione tale da rendere impossibile un controllo continuo ed efficace , e, allo stesso tempo, la ‘lacuna’ nella richiesta avanzata dall’automobilista, il quale non aveva dimostrato l’esistenza di una condotta commissiva od omissiva del gestore della strada . Pura sfortuna. Ad avviso dell’automobilista, però, l’ottica adottata dai giudici di secondo grado è non solo erronea ma anche datata, alla luce della giurisprudenza del ‘Palazzaccio’. E proprio questo aspetto viene evidenziato, in maniera decisa, nel ricorso presentato ai giudici di Cassazione, ai quali viene chiesta una decisione che rimetta in discussione il riconoscimento del risarcimento. Ed effettivamente, da un punto di vista giuridico, le riflessioni compiute in Appello non sono completamente legittime. Perché, senza alcun dubbio, non possono essere la natura demaniale del bene o la sua notevole estensione a risultare decisive secondo chiari precedenti giurisprudenziali, la disciplina prevista per i danni cagionati da cose in custodia è applicabile anche agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito o, comunque, preposti alla loro manutenzione , a meno che non ci si trovi di fronte alla eccezione del caso fortuito . Ebbene, in questa vicenda, non è possibile addebitare all’Anas, secondo i giudici, alcuna negligenza nella manutenzione . Per una ragione semplicissima il ramo che ha determinato il sinistro è caduto improvvisamente sulla strada, a causa del vento eccezionalmente forte che imperversava nella zona in quel momento e gli alberi posti ai margini della strada erano stati potati pochi mesi prima . Lapalissiana, quindi, l’eccezione del caso fortuito , che spinge i giudici a confermare la pronunzia di secondo grado, e quindi a rigettare per l’ennesima volta la domanda di risarcimento avanzata dall’automobilista.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 novembre – 10 dicembre 2012, n. 22385 Presidente Massera – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. M.C. conveniva in giudizio l’ANAS, davanti al Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Giulianova, per ottenere il risarcimento dei danni sofferti a causa di un sinistro verificatosi in data 27 dicembre 1999 lungo la S.S. n. 251, allorquando egli, trovandosi alla guida della propria autovettura, era stato costretto ad eseguire una brusca deviazione verso sinistra, per evitare un grosso ramo che, spezzatosi a causa del forte vento in atto, era caduto occupando la sua corsia di marcia. A seguito di tale manovra improvvisa, la sua vettura era finita contro, un altro albero, con danni anche alla persona dell’attore. Costituitosi in giudizio l’ANAS, il Tribunale rigettava la domanda. 2. Appellata tale pronuncia dal C., la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 13 ottobre 2009, rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado e ponendo a carico dell’appellante le ulteriori spese del grado. Osservava in proposito la Corte territoriale che, in tema di responsabilità della P.A. per la manutenzione delle strade, non è applicabile l’art. 2051 cod. civ., non solo per la natura demaniale del bene, ma anche perché la notevole estensione dello stesso rende impossibile un controllo continuo ed efficace. La domanda del C., d’altra parte, non poteva essere accolta neppure sotto il profilo dell’art. 2043 cod. civ., perché in simile ipotesi incombe sul danneggiato l’onere di dimostrare l’esistenza di una condotta commissiva od omissiva del gestore della strada che abbia violato norme di legge, regolamentari o tecniche, oppure comuni regole di prudenza. Nella specie, al contrario, era stato dimostrato che la caduta del ramo era avvenuta in concomitanza col transito della vettura ed era stata causata dal forte vento esistente in quel momento su quel tratto di strada, sicché l’ANAS non avrebbe potuto comunque prevedere ed evitare tale caduta, tanto più che gli alberi esistenti in loco erano stati potati pochi mesi prima del fatto. 3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila propone ricorso il C., con atto affidato a due motivi. Si è costituita l’ANAS, depositando atto di procura speciale. Motivi della decisione Occorre preliminarmente rilevare che, nel giudizio davanti a questa Corte, l’ANAS si è limitata a depositare un foglio di costituzione con relativa procura speciale in favore dell’avv. Sergio Quirino Valente, mentre non risulta depositato un atto di controricorso. L’avvenuta costituzione, però, legittima la parte - ai sensi dell’art. 370 cod. proc. civ. - a partecipare alla discussione orale, come poi è avvenuto in questa sede. 1.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., dell’art. 2051 cod. civ. e dell’art. 14 del codice della strada. Osserva il ricorrente - dopo aver ripercorso le tappe evolutive della giurisprudenza di questa Corte circa la responsabilità della P.A. in tema di manutenzione delle strade, anche alla luce della sentenza n. 156 del 1999 della Corte costituzionale - che le pronunce più recenti hanno affermato che la demanialità o patrimonialità del bene strada” non consente di escludere, di per sé, l’applicabilità dell’art. 2251 cod. civ. tale norma, anzi, viene regolarmente applicata nei confronti della P.A. sulla quale viene, di conseguenza, a gravare l’onere della prova del caso fortuito. Nel caso in esame, il giudice di merito non avrebbe fatto corretta applicazione di tale principio l’amministrazione, infatti, per essere esonerata dalla propria responsabilità, avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di un’alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile. Il fatto stesso, invece, che il ramo si sia staccato dall’albero dimostrerebbe - secondo il ricorrente - che la manutenzione non è stata effettuata correttamente e che la domanda del C. doveva, quindi, essere accolta. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., dell’art. 2043 del codice civile. Rileva in proposito il ricorrente che, anche volendo ricondurre la responsabilità della P.A. alla norma ora richiamata, i giudici di merito avrebbero fatto ugualmente applicazione di principi errati. Il concetto di prevedibilità dell’evento, infatti, deve essere escluso ogni volta che l’anomalia insidia o trabocchetto derivi da un fatto atipico o eccezionale nella specie, la caduta di un grande ramo sulla sede stradale non può ritenersi fattore eccezionale, per cui la sentenza impugnata avrebbe finito col concedere alla P.A. un illegittimo ed ingiustificato vantaggio, in violazione del citato art. 2043. 3. I due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono entrambi infondati, in quanto il dispositivo della sentenza impugnata e conforme al diritto si deve, tuttavia, procederà ad una parziale correzione della motivazione della sentenza l’appello, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, del codice di procedura civile. La pronuncia oggetto di impugnazione, infatti, ha affermato - richiamando una giurisprudenza alquanto risalente di questa Corte - che l’art. 2051 cod. civ. non si applica in riferimento alle strade, non solo in ragione della natura demaniale del bene, quanto in considerazione della notevole estensione del bene stesso, il che renderebbe impossibile l’esercizio della custodia da parte dell’ente pubblico a ciò preposto. La più recente giurisprudenza di questa Corte, invece, ha in numerose occasioni chiarito che la disciplina prevista dall’art. 2051 c.c. è applicabile anche agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito o, comunque, preposti alla loro manutenzione. Si è detto, a questo proposito, che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo il fortuito sentenze 3 aprile 2009, n. 8157, 20 novembre 2009, n. 24529, 18 ottobre 2011, n. 21508, e 6 novembre 2012, n. 19154 e, in riferimento alle autostrade, attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, con pagamento del relativo pedaggio, si è ritenuto generalmente configurabile un rapporto di custodia sentenze 6 luglio 2006, n. 15383, e 19 maggio 2011, n. 11016 . Questa Corte, inoltre, ha anche avuto modo di specificare che è configurabile il caso fortuito, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, in presenza di quelle alterazioni repentine e non specificamente prevedibili dello stato della casa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possono essere rimosse o segnalate per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere in questi termini v., in aggiunta alle pronunce sopra richiamate, le sentenze 19 novembre 2009, n. 24419, 18 luglio 2011, n. 15720, e 26 giugno 2012, n. 10643 . Ciò in quanto non è configurabile la responsabilità a titolo di custodia ove questa non possa essere ragionevolmente esercitata in considerazione della particolarità dell’evento generatore di danno. 4. Il riconoscimento della fondatezza delle argomentazioni giuridiche contenute nel primo motivo di ricorso circa l’applicabilità alla fattispecie della norma dell’art. 2051 cod. civ., non conduce, tuttavia, all’accoglimento del medesimo. Nel caso specifico, infatti, le stesso odierno ricorrente ha riconosciuto che il ramo che ha determinato il sinistro è ceduto improvvisamente sulla strada, a causa del vento eccezionalmente forte che imperversava nella zona in quel momento e il giudice di merito, con accertamento fattuale correttamente motivato e, perciò, insindacabile in questa sede, ha verificato che gli alberi posti ai margini della strada in questione erano stati potati pochi mesi prima del fatto, il che esclude la possibilità di imputare all’ANAS una qualsivoglia negligenza nella manutenzione. L’evento generatore di danno, quindi, integra gli estremi del caso fortuito che, alla luce dell’interpretazione dell’art. 2051 cod. civ. fornita dalla citata giurisprudenza di questa Corte, esclude la responsabilità civile del custode. Va da sé che l’esclusione di simile responsabilità conduce anche al rigetto del secondo motivo di ricorso ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., infatti, il danneggiato avrebbe dovuto assolvere un ben più gravoso onere della prova, mentre nella specie - secondo quanto si è detto - non è stata dimostrata alcuna colpa a carico dell’ANAS, né, tantomeno, l’esistenza di un’insidia o trabocchetto sul manto stradale. 5. Così corretta la motivazione in diritto della sentenza impugnata, il ricorso è rigettato. Al rigetto segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, come da dispositivo, in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 1.500, di cui 1.300 per compensi.