Il parquet si solleva, stendere una mano di isolante era la soluzione

Il posatore viene smentito e si vede condannare, nella misura del 70%, al risarcimento danni per non aver isolato correttamente il parquet da eventuali infiltrazioni di umidità.

Il caso parquet sollevato. Il parquet, bello, elegante e caldo, dicono, ma dopo la posa possono sorgere dei problemi. Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione sentenza n. 21447, depositata il 30 novembre 2012 , la questione verte proprio sul ricorso di uno dei due posatori contro la decisione di merito di riconoscere, in favore del committente, un risarcimento danni per il rigonfiamento e sollevamento dei listelli del legno del parquet. Il ricorrente, a cui veniva riconosciuta una responsabilità pari al 70%, sostiene la sua totale estraneità nella causazione dei danni. Non è stato steso l’isolante. Il ricorso viene però rigettato dalla S.C., trattandosi di censure di merito già sottoposte all’esame della Corte d’appello. Nello specifico, i giudici di legittimità, hanno confermato quanto chiarito dal CTU nominato in primo grado, che aveva addebitato il fenomeno di sollevamento del pavimento dal piano di posa ad una esecuzione non a regola d’arte del sottofondo da parte del ricorrente. Infatti, il ricorrente, vista l’umidità proveniente dalle tracce di tubazioni, avrebbe dovuto – per effettuare un lavoro a regola d’arte, appunto – stendere una mano di isolante prima della posa. Oltre a dover risarcire il danneggiato, quindi, il soccombente dovrà pagare anche le spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 ottobre – 28 novembre 2012, n. 21477 Presidente Felicetti – Relatore Matera Svolgimento del processo A seguito di declaratoria di incompetenza per valore resa dal Pretore di Milano, con citazione in riassunzione notificata il 29-9-1998 L D.I. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano G.M. e G F. , chiedendone la condanna, in via alternativa o solidale, alla eliminazione dei vizi rigonfiamento e sollevamento dei listelli del legno del parquet manifestatisi nel pavimento di legno posato dal F. sul piano di posa realizzato dall'impresa del G. . Con sentenza depositata il 25-10-2001 il Tribunale adito dichiarava la responsabilità concorrente del G. e del F. nella misura rispettivamente del 70 e del 30% dei danni subiti dall'attore, condannando i convenuti al relativo risarcimento. Avverso la predetta decisione proponeva appello il G. . Con sentenza depositata il 13-7-2005 la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il G. , sulla base di un unico motivo. Il D.I. resiste con controricorso, mentre il F. non ha svolto attività difensive. Motivi della decisione Con l'unico motivo il ricorrente lamenta l'omessa, incongruente e carente motivazione in ordine alle deduzioni svolte con i motivi di appello circa l'assenza di responsabilità del G. nella causazione dei danni lamentati dall'attore. Il motivo è infondato. Attraverso la formale denuncia di vizi di motivazione, le censure mosse dal ricorrente si risolvono, in buona sostanza, nella riproposizione delle stesse deduzioni di merito già sottoposte all'esame della Corte di Appello e dalla stessa disattese con motivazione sufficiente e immune da vizi logici. E invero, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, il C.T.U. nominato in primo grado ha addebitato il fenomeno di sollevamento del pavimento dal piano di posa ad una esecuzione non a regola d'arte del sottofondo da parte del G. . Secondo il consulente, in particolare, il piano di posa era stato realizzato in modo poco consistente sicché l'acqua si era infiltrata nella livellina, grazie anche alla esistenza di una guaina insonorizzante di circa 6 mm. stesa sotto di essa, che aveva impedito di disperdersi, impregnando il parquet, all'umidità o condensa formatasi per il calore dovuto all'accensione dei termosifoni e presente nella soletta a causa delle tracce per le tubazioni realizzate nell'appartamento sottostante rispetto a quello del D.I. . Sempre ad avviso del C.T.U., il fenomeno si sarebbe potuto evitare stendendo una mano di isolante denominate prymer. Tali conclusioni, che hanno indotto il giudice di primo grado ad attribuire al G. la responsabilità prevalente nella misura del 70% del fenomeno produttivo del danno lamentato dall'attore, sono state contestate con l'atto di appello, con cui il convenuto, come rilevato in sentenza, ha sostenuto 1 che il prymer non esiste in commercio 2 che il cemento del quale è fatto la livellina asciuga per sua natura, sicché l'acqua non vi può stazionare 3 che le tubazioni vengono realizzate in zone circoscritte 4 che il G. ignorava che sulla livellina dovesse essere disteso un pavimento in legno. La Corte di Appello ha disatteso tali censure, rilevando che l'asserita mancanza di conoscenza, da parte del G. , della posa del pavimento di legno sopra la livellina, risulta smentita dalla descrizione delle opere allegata al contratto sottoscritto dal convenuto punto 4 che in sede di chiarimenti resi in udienza il C.T.U. ha precisato che l'umidità proveniente dalle tracce di tubazione può trasferirsi da una zona all'altra punto 3 che le affermazioni dell'appellante circa l'inesistenza del prymer in commercio e circa il fatto che la livellina asciuga, sono apodittiche e inidonee a scalfire le conclusioni cui è giunto il C.T.U. sulla base delle sue competenze tecniche e della sua conoscenza dei materiali esistenti e reperibili sul mercato punti 1 e 2 . Tutte le deduzioni svolte dall'appellante, pertanto, hanno costituito oggetto di esame da parte della Corte territoriale, la quale ha dato conto, con motivazione adeguata e congrua sotto il profilo logico, delle ragioni per le quali ha ritenuto le stesse prive di fondamento. Non sussistono, di conseguenza, i dedotti vizi di motivazione, dovendosi piuttosto osservare che le doglianze mosse dal ricorrente appaiono chiaramente rivolte a sollecitare a questa Corte una diversa valutazione delle emergenze processuali rispetto a quella compiuta dal giudice territoriale. Ma, come è noto, i vizi di motivazione denunciabili con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. si configurano solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Detti vizi non possono, al contrario, consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova tra le tante v. Cass. 14-10-2010 n. 21224 Cass. 5-3-2007 n. 5066 Cass. 21-4-2006 n. 9368 Cass. 20-4-2006 n. 9234 Cass. 16-2-2006 n. 3436 Cass. 20-10- 2005 n. 20322 . Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal D.I. nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. Nessuna pronuncia sulle spese va invece emessa nei confronti del F. , non avendo il medesimo svolto alcuna attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, che liquida in Euro 1.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.